16 Lug 2015

Io faccio così #81 – Luoghi di Sosta Pedonale: riprendiamoci la socialità urbana!

Creare uno spazio che mettesse insieme tutti: chi ha una casa, chi sta in affitto, chi ha un negozio, chi fa acquisti e così via. Insomma, tutti coloro che condividono la vita in una strada. Con questo obiettivo è nata a Bologna l’Associazione Centotrecento, chiamata così dal nome della via dov’è nata la prima piazzetta.

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Sapete come si chiama l’anziana che abita al primo piano del vostro condominio? O quanti figli ha il barista sotto casa? Oppure da dove vengono gli studenti che stanno nell’appartamento di fronte al vostro, con cui condividete il pianerottolo? Probabilmente no, non lo sapete. Perché la socialità urbana ormai si è persa e le relazioni di vicinato sono quasi inesistenti. Ma ci sono delle spiegazioni precise a questo fenomeno e anche delle soluzioni molto interessanti. Vediamo quali!

Siamo a Bologna, un gigantesco laboratorio di esperienze virtuose, legate in particolare alla sfera della socializzazione. Lì nasce il fenomeno delle Social Street. Lì c’è la culla della Transizione in Italia. E lì, nel 2007, Stefano Reyes, giovane architetto che si dedica in particolare allo studio dell’urbanistica, realizza una tesi di laurea che parla delle piazzette di strada o luoghi di sosta pedonale. «L’idea – ci racconta Stefano – era quella di costruire delle mini-piazzette per favorire l’incontro di chi abitava o lavorava nella strada, partendo da quella che viene chiamata “zona universitaria”, nel pieno centro di Bologna, dove spesso si verificano problemi di integrazione fra studenti e residenti, giovani e anziani».

C’è subito una rapida evoluzione e la tesi si trasforma in un progetto che coinvolge altri architetti e volontari: «Passando alla fase della sperimentazione pratica, ci siamo accorti che si trattava di un’iniziativa più sociale che architettonica. Lo scopo era quello di apportare piccole modifiche alle caratteristiche dell’ambiente urbano, creando uno spazio che ospitasse chi abitava la strada, chi ci lavorava e chi ci passava semplicemente, favorendo la sosta e il dialogo fra i vari utenti». In pratica, si pensò a un’area corrispondente a uno o due posteggi auto delimitata e arricchita con panchine, tavoli, sedie, fiori, ombrelloni, fontanelle e qualsiasi altro elemento d’arredo che la potesse rendere confortevole e accogliente. L’obiettivo? «Creare uno spazio che mettesse insieme tutti: chi ha una casa, chi sta in affitto, chi ha un negozio, chi fa acquisti e così via. Insomma, tutti coloro che condividono la vita in una strada».

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Nei suoi primi anni di vita il progetto è cresciuto molto, incontrando approvazione e supporto da parte di tante persone, prime fra tutte quelle toccate direttamente dall’iniziativa: «I volontari si sono riuniti, fondando l’Associazione Centotrecento – dal nome della via dov’è nata la prima piazzetta – e hanno cominciato a coinvolgere la cittadinanza, che ha risposto con entusiasmo. Le piazzette erano temporanee, ma rimanevano allestite per periodi sempre più lunghi, perché la frequentazione era continua e abbondante. Venivano organizzate cene, mercatini del baratto, letture di poesie. Ciascuno portava qualcosa per abbellire lo spazio e renderlo più fruibile, cominciando a sentirlo proprio». Il gruppo di progettisti era sempre in strada a parlare con gli abitanti, a condividere critiche, fatiche, opinioni, suggerimenti. Non erano solo spazi dedicati alla progettazione: «Per prima cosa si stava insieme – ricorda Stefano –, perché quello della creazione delle idee collettive non è un lavoro laboratoriale, ma è un momento per stringere legami, per creare comunità».

Purtroppo, il successo trasversale e diffuso che hanno avuto i luoghi di sosta pedonale, non è riuscito a contaminare l’amministrazione. «Nei cinque o sei anni in cui il progetto è andato avanti, il Comune ha dato solo un paio di contributi sporadici. Questo ci è dispiaciuto molto, sia perché il dialogo con le istituzioni è un aspetto che va curato, sia perché le piazzette forniscono in maniera sia diretta che indiretta dei servizi importanti per la comunità». Infatti, oltre ai benefici immediati, come la sperimentazione di nuove forme di socialità, ci sono anche ricadute positive secondarie: «Una strada presidiata dai suoi abitanti e fruitori è una strada più pulita e più sicura, che quindi ha bisogno di meno manutenzione e minor controllo da parte delle forze dell’ordine. Inoltre, si assiste a una riduzione di tutti i costi sociali legati alla sanità e ai servizi assistenziali, perché i cittadini sono più sereni e quindi più sani. Anche il tessuto commerciale fiorisce, generando circuiti economici locali, resilienti e virtuosi».

pranzo

La politica urbanistica di Bologna e di molti altri Comuni italiani è incompleta: «Le opere mirate a rendere le città più vivibili – denuncia Stefano – sono spesso intrise di retorica e populismo». In effetti, molte pedonalizzazioni mettono al centro aspetti che in realtà non sono fondamentali né per la coesione sociale, né per l’uso pedonale della città. Sono basate su ripavimentazioni e altri costosi interventi estetici, ma trascurano le infrastrutture funzionali al raggiungimento dell’obiettivo primario, ovvero far incontrare e dialogare le varie categorie di fruitori della strada: residenti, negozianti, studenti, anziani, bambini, lavoratori.

«Al contrario, lo scopo principale è quello di creare zone commerciali con una valenza sociale nulla, ma con un elevato ritorno economico, sfruttando un processo che in urbanistica viene definito di “gentrificazione”: l’offerta merceologica si uniforma su prodotti costosi, omologati, e taglia fuori molte persone. Il mercato immobiliare si adegua a questa tendenza e i prezzi aumentano. Si elimina ciò che è gratuito, come panchine, fontanelle e aree verdi. Non si installano servizi che invece sono richiesti dalla cittadinanza, come i bagni pubblici. Tutto è finalizzato a creare zone franche dedicate al consumo». Il risultato? Si verifica quello che Stefano chiama “effetto paguro”: «Queste aree vengono investite da enormi flussi di consumatori, che però non hanno alcun legame con il tessuto sociale della strada o del quartiere. Così, gli abitanti si rannicchiano in casa spaventati e non avviene alcuna interazione, non c’è aggregazione sociale».

comune

Un’aggregazione sociale è il momento in cui le persone si incontrano e riescono ad avere una comunicazione che è comprensibile per tutti e che consente un accrescimento reciproco. Un’aggregazione e basta è quello che succede quando le farfalle si accumulano attorno a una lampadina. «La politica urbanistica e le iniziative dei cittadini, come il nostro progetto dei luoghi di sosta pedonale, devono essere finalizzate a creare spazi di incontro e di contatto fra le persone. Non è facile, perché ciascuno ha il proprio linguaggio e le proprie abitudini, che spesso sembrano incompatibili le une con le altre. Ma noi ci siamo resi conto che si riesce far nascere un dialogo anche dove sembrava impossibile. E questo è il primo passo per creare una comunità coesa e solidale».

Visualizza “Associazione Centotrecento” sulla Mappa dell’Italia che Cambia! 

Visita il sito dell’Associazione Centotrecento.

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