12 Apr 2016

Artigianato e antichi mestieri per una nuova economia

Si è tenuta il 3 aprile scorso a Roma la manifestazione "Dire, Fare… Artigianale – Antichi mestieri per una nuova economia", organizzata al termine del Laboratorio territoriale di Nuova Economia del III Municipio, un lavoro durato oltre un anno a cui hanno partecipato associazioni, istituzioni e artigiani. L'obiettivo? Restituire valore all'artigianato e agli artigiani, minacciati dalle regole del mercato globale e dalla logica del profitto ad ogni costo.

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L'artigianato in mostra a piazza Sempione (Roma)

L’artigianato in mostra a piazza Sempione (Roma)


Capita di arrivare a Piazza Sempione a Roma in una domenica di fine marzo con la primavera appena sbocciata e trovarla animata di una vita inconsueta. Gruppetti di persone sono radunate attorno ad alcuni stand montati in legno. Sotto al loggiato altre persone stanno sedute ad ascoltare un’animata conferenza. Sui muri sono appese foto di artigiani al lavoro, correlate da frasi.

 

Si parla di artigianato e produzione agroalimentare perché proprio qui, in Piazza Sempione, domenica 3 aprile si tiene la restituzione di un lavoro durato oltre un anno chiamato Laboratorio di Nuova Economia, a cui hanno partecipato associazioni, istituzioni, artigiani.

 

È possibile restituire all’artigianato e agli artigiani la dignità che meritano, in una società basata sulla produzione industriale di massa? È possibile ricostruire una filiera agroalimentare locale in un mercato del cibo globale in cui, per qualche strano inganno della globalizzazione, è più “conveniente” importare arance dal Marocco o ciliegie dall’Argentina che consumare quelle prodotte accanto a casa nostra?

 

Noi lo abbiamo chiesto a Soana Tortora, co-fondatrice di Solidarius Italia  e membro del comitato etico di Banca Etica (due realtà che hanno avuto un ruolo centrale nel Laboratorio di Nuova Economia).


L’incontro di domenica a Piazza Sempione nasce come restituzione di un lavoro durato un anno, di ricerca e mappatura dei mestieri artigianali nel III Municipio. Come è nata questa iniziativa?
È da un anno e mezzo che il Laboratorio di Nuova Economia è stato avviato nel Municipio III a Roma, come “traduzione” territoriale del Laboratorio Nazionale di Nuova Economia che nel 2012, a Terra Futura era nato su iniziativa di Banca Etica. Fin dall’inizio Solidarius Italia ha partecipato attivamente al tavolo nazionale ed è stato naturale che, quando si è deciso di avviare alcuni Laboratori Territoriali, si sia fatta promotrice di questo, a Roma.
C’è una precisa data di nascita: il 9 settembre 2014 quando, proprio nella stessa sede del Municipio, si è tenuto un incontro cui ha partecipato Euclides André Mance, l’antropologo e filosofo brasiliano co-fondatore delle reti di economia solidale nel suo paese e coordinatore della Rete Internazionale Solidarius.

 

Da quella iniziativa è scaturito un “gruppo di regia”, costituito da rappresentanti locali di altri organismi che avevano partecipato al Laboratorio Nazionale e realtà locali, cooperative sociali territoriali, imprese sociali e imprenditori profit, artigiani, docenti, ricercatori, studenti e singoli cittadini. Fin dall’inizio rappresentanti della Giunta hanno assicurato il collegamento costante con il Municipio.

 

Come vi siete approcciati alle realtà presenti sul territorio del III Municipio?
Analizzando la realtà locale e, assieme, le presenze, le competenze e le disponibilità di chi partecipava al “gruppo di regia” sono andati emergendo due filoni di intervento che hanno dato vita a due gruppi di lavoro con l’obiettivo di:
1) Contribuire a ri-costruire la filiera agro-alimentare a partire dai produttori presenti nel Parco della Marcigliana, sostenendo una distribuzione a Km0 in collegamento con i Gruppi di Acquisto solidali del Municipio, con negozi di prodotti biologici, fino ai mercati rionali, con mense locali e servizi di ristorazione che potranno sorgere per iniziativa di cooperative sociali;
2) Contribuire a sostenere le attività dei molti artigiani che sono in difficoltà per le troppe spese o perché non riescono ad individuare soggetti cui lasciare il “testimone” della propria attività ed esperienza. Abbiamo subito pensato ad iniziative di formazione e di coworking. Ma anche alla possibilità di ampliare la quantità di beni da recuperare e/o da riciclare togliendoli dal circuito dei “rifiuti solidi urbani”. Proprio attraverso la formazione e il coworking, infatti, questi stessi beni potrebbero essere reimmessi nel circolo virtuoso del riuso, della rivendita a basso prezzo, della trasformazione di design.

 

Artigiani presenti nel gruppo si sono riconosciuti subito in questo progetto. Abbiamo allora cominciato a guardarci intorno per individuare uno spazio comune multifunzionale nel quale raccogliere oggetti da recuperare prima che divengano rifiuto (quelli che l’Azienda Municipale chiama “gli ingombranti”), installare laboratori di recupero e, insieme di formazione pratica ma anche teorica e lanciare una prima esperienza di commercializzazione che garantisse la sostenibilità dell’intero progetto.

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Un’idea ambiziosa che, da subito, si è scontrata con la difficoltà di reperire a basso costo o in concessione gratuita – date le finalità sociali che ci proponevamo – un locale che potesse rispondere agli obiettivi che ci eravamo fissati. D’altra parte, era necessario allargare il numero degli artigiani per verificare più a fondo la fattibilità del progetto assicurando non solo la loro partecipazione attiva ma anche quella di realtà territoriali che potessero suscitare la domanda di formazione e lavoro (giovani in uscita da percorsi formativi generici, giovani provenienti da case famiglia presenti nel territorio municipale, cooperative nascenti di giovani rom già coinvolti in attività di recupero…).

 

Da qui è nata l’ipotesi di ricerca-intervento di cui questa parte di rilevazione è solo il primo passo.
Solidarius Italia aveva già elaborato ed utilizzato in altre occasioni un proprio strumento che abbiamo chiamato “La trama e l’ordito”. Non un questionario ma una traccia per instaurare un dialogo, una rapporto di fiducia che partisse dalla narrazione delle storie personali e “aziendali” di ciascuno per ripercorrere obiettivi originari e futuri, relazioni di filiera e di rete create con altri soggetti, programmi e …sogni: un primo tentativo nella direzione di ricostruire un tessuto relazionale spesso sfilacciato e strappato.

 

Banca Etica aveva messo a disposizione dei Laboratori Territoriali un contributo piccolo ma sufficiente a far partire la ricerca “ingaggiando” un gruppo di giovani ricercatori qualificati che, proprio con il coordinamento di Solidarius Italia, hanno iniziato dall’autunno scorso, la ricerca a partire da una mappatura “fredda” di un quartiere che ci era stato indicato dal Municipio come un luogo storico di presenza degli artigiani della zona.

 

Un faticoso lavoro “porta a porta”, diffidenze, rifiuti (“ma chi siete?…non ho tempo… non serve a niente…”) ma anche aperture e speranza di futuro, anche pensando che, nel frattempo, la Regione Lazio aveva approvato, all’inizio del 2015, un Testo Unico sull’artigianato che parla proprio di loro, riconoscendo la loro figura di Mastri Artigiani e la loro bottega come possibile luogo di formazione per giovani che volessero prendere il testimone di un’attività altrimenti destinata a morire… Ma poi parla di artigianato creativo, di artigianato nei settori del recupero e del riuso e anche di artigianato digitale. Da subito abbiamo detto che avremmo restituito loro, ma anche ai cittadini, alle istituzioni e a chi volesse ascoltare i risultati della rilevazione per decidere come proseguire. Da qui l’evento di domenica scorsa, 3 aprile.

 

f1712749-3e35-46e3-947c-1f2dd4e61959Quali sono stati i risultati salienti della ricerca?
Gli artigiani contattati personalmente, uno ad uno, cercati nelle loro botteghe, sono stati complessivamente circa 70. Alla fine 42 hanno accettato di raccontarsi e di mettersi in relazione con il progetto. Non sono certo “grandi” numeri, ma i risultati di questo lavoro non sono misurabili a numeri perché sono relazioni stabilite sulla fiducia, sono storie di vita raccontate, i progetti, realizzati o no, il rapporto con gli oggetti che creano o che sono affidati loro dai clienti, le generazioni che vedono passare, le relazioni con il territorio e con la comunità.

 

Sono risultati acerbi che hanno bisogno di essere sedimentati e sviluppati in percorsi comuni e condivisi, da co-progettare e da costruire rispettando le storie e le esigenze di ciascuno. Uno di loro ci ha detto: “Questo progetto? Mi sembra ben pensato… Potrebbe essere una di quelle chiavi di svolta per cercare di uscire da questa impasse del mercato ad ogni costo, del profitto ad ogni costo, della diffidenza rispetto al vicino di casa. Insomma potrebbe essere un buon viatico, per rivedere un po’ tutto il concetto della nostra economia usa e getta perché bisognerebbe fermarsi un attimo e riconsiderare il nostro modo di vivere”. Allargare a poco a poco la coscienza di tutto ciò è uno degli obiettivi prioritari del Laboratorio e realizzarlo con soggetti che l’economia la fanno in prima persona diventa decisivo.

 

Un altro risultato emerso dall’evento del 3 aprile è il fatto che tutti gli interlocutori intervenuti – dal Presidente del Municipio III, Paolo Marchionne alla consigliera regionale Cristiana Avenali, a Nicoletta Dentico del C.d.A. di Banca Etica – hanno riconosciuto il contenuto innovativo del progetto, il disegno a medio e lungo termine a questo sotteso. Un contenuto di innovazione sociale, in quanto progetto che nasce e procede dal basso attraverso un processo effettivo di democrazia partecipativa che coinvolge direttamente cittadini (con particolare attenzione alla fasce di maggiore fragilità), associazioni e imprese e, insieme, le istituzioni, a partire da quelle territoriali.

 

Innovazione sociale, ancora, perché una delle attenzioni esplicite è operare a partire dalla lotta allo spreco di risorse e di oggetti potenzialmente riusabili o recuperabili, al consumismo esasperato, alla produzione di rifiuti. Ma anche, potenzialmente, innovazione tecnologica capace di connettere abilità e saperi tradizionali con modalità produttive e di organizzazione del lavoro (artigianato digitale, coworking,…), in grado di attrarre anche le generazioni più giovani.

 

Pensi che in questo anno siano nate delle collaborazioni fra artigiani?
Parlavo prima di “risultati acerbi”. In un anno e mezzo complessivo di vita del Laboratorio e in soli 6 mesi scarsi di lavoro di ricerca e di relazioni dirette non possiamo pensare che, dal punto di vista della nascita di nuove collaborazioni, i risultati possano essere già visibili. Due elementi, però, mi preme sottolineare: il primo riguarda le relazioni preesistenti che alcuni artigiani hanno già in essere con altri artigiani del loro stesso settore o di settori di attività integrabili o di complemento, di filiera: il dialogo instaurato, le domande che il gruppo di ricerca ha proposto loro sull’argomento è stata sicuramente un’occasione per riflettere e per guardare a queste stesse relazioni con occhiali diversi; il secondo elemento, quello forse più importante, è l’iniziativa che è partita da artigiani che, partendo da professionalità differenti e proprio in vista dell’evento del 3 aprile, hanno voluto dare corpo alla loro volontà di relazioni collaborative co-progettando e realizzando la struttura complessa e fatta di oggetti di recupero e riuso che è stata assemblata il 3 aprile e che per tutta la mattina ha fatto mostra di sé al centro di Piazza Sempione con tutto il suo significato insieme pratico, creativo e simbolico. Tutti noi sentiamo profondamente la responsabilità di accompagnare con risposte durevoli e credibili questa spinta collaborativa.

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Quale può essere il ruolo dell’artigianato in una società che ha ormai da tempo virato verso la produzione di massa?
La produzione di massa per molti oggetti e beni di consumo è una conquista insostituibile. La produzione di massa, però, sempre meno assicura la qualità dei prodotti (spesso destinati ad obsolescenza programmata), il rispetto della qualità del lavoro e dei suoi diritti, il rispetto del clima nel posto di lavoro, il rispetto dell’ambiente all’interno del luogo di lavoro e sul territorio… Siamo bombardati dalla parola “crescita”, che fa rima con concorrenza e competitività. Queste 3C stanno condizionando la nostra vita, anche quella quotidiana delle nostre relazioni. Se si desse retta a questo teorema l’artigianato sarebbe certo destinato a scomparire.

 

Noi pensiamo invece – e il lavoro iniziato sembra darci ragione – che il ruolo dell’artigianato continua ad essere importante proprio perché rappresenta tutto ciò che la produzione di massa non può rappresentare. Non è un inno al “piccolo è bello” ma sicuramente il lavoro artigiano rappresenta un patrimonio sociale e culturale che, laddove resiste ed è incoraggiato, è in grado di mantenere vivo il tessuto delle nostre città. Siamo abituati sempre più a vedere divisi e distinti i tempi e le funzioni della nostra vita quotidiana: grande aree residenziali, grandi aree commerciali, grandi aree produttive e così la nostra vita rischia di identificarsi, di volta in volta in uno e uno solo di questi luoghi.

 

La presenza dell’artigianato nei nostri quartieri, anche nel cuore delle aree metropolitane avvicina il lavoro alle nostre vite, si svolge sotto i nostri occhi e impariamo a conoscerlo e a riconoscere il suo valore, il tempo necessario a realizzare un oggetto, quello che serve, a chi serve, come si fa… E questa è cultura, esperienza e saperi che altrimenti andrebbero perduti.

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Bilancio dell’iniziativa?
Per cominciare, direi senz’altro positivo.

 

Cosa è riuscito bene e cosa invece ha incontrato maggiori difficoltà?
Cosa è riuscito bene… beh, mi pare di averlo già detto. Cosa ha incontrato maggiori difficoltà? È duro superare l’individualismo proprio di chi è abituato tutto il giorno a fare i conti solo con se stesso o, al massimo con una o due persone, spesso di famiglia. E i conti poi non sempre tornano, specie di questi tempi. Allora emerge la sfiducia, la voglia di mollare. Hai voglia, allora, a parlare di rete, di collaborazione, di progetti…L’altra difficoltà è creare con le istituzioni una relazione positiva ma anche concretamente propositiva capace di venire incontro realmente alle difficoltà che molti artigiani incontrano e alle proposte che avanzano…

 

E adesso cosa succede? Quali sono i prossimi passi?
Abbiamo già riconvocato per la prossima settimana, a caldo, il “gruppo di regia” del Laboratorio. Della serie: guai a fermarsi. Sarà quella la sede nella quale raccoglieremo le proposte emerse da tutti gli intervenuti, tenteremo di farne sintesi e rilanceremo ritornando a verificarci con chi vorrà accettare dialogo, confronto e voglia di costruire proposte per il futuro…

 

Cosa ci può insegnare l’esperienza del III municipio di Roma?
Insegnare? Di fronte ad alcune realtà possiamo proprio dire che siamo apprendisti e allora il mestiere migliore che possiamo fare (e proporre) è imparare ad imparare, imparare ad ascoltare. Solo in questo modo si diventa credibili. Tessere filo dopo filo una trama ed un ordito delle realtà che vogliamo conoscere per cambiare, mai da soli, mai attraverso operazioni pre-determinate, mai per premiare interessi particolari ma attingendo ad un pensiero alto che alimenti valori condivisi e ricerca di nuovi paradigmi…

 

Pensate di replicarla?
All’evento di domenica sono venute persone anche di altri Municipi. Solidarius Italia sta collaborando con altre realtà in altre regioni su esperienze di progettazione partecipata di nuova economia e di nuovi lavori…Poter allargare questa esperienza romana utilizzando la stessa metodologia sarebbe interessante. Il termine stesso di laboratorio indica una volontà di ricerca e di sperimentazione. Quanto più numerosi sono i ricercatori che intendono raggiungere il medesimo obiettivo tanto più alte sono le probabilità di raggiungerlo.

 

Esistono già esperienze simili in atto o in programma?
Francamente non lo so e mi piacerebbe saperlo. Sicuramente nell’universo delle “buone pratiche” dell’economia solidale qualcosa di simile ci sarà pure ma finora non ho trovato esperienze analoghe… Saperlo creerebbe la possibilità di confronto, eviterebbe ad ognuno di noi di lavorare da solo e darebbe la possibilità di operare con un respiro strategico più ampio.

 

 

Credo, comunque, che quest’esperienza abbia alcune peculiarità, anche rispetto ad altre. Almeno due: pur operando in un orizzonte di un’economia sostenibile e solidale ha deciso di avere come interlocutori prioritari soggetti che probabilmente non si riconoscono in partenza in questo stesso orizzonte; in secondo luogo, definirsi come laboratorio di nuova economia, invece che di economia solidale, civile, del bene comune, di comunione od altro ancora…è decisamente una novità. Noi che siamo nati, teorizziamo e pratichiamo economia solidale non ci sentiamo “diminuiti” dal partecipare alla costruzione di una economia “nuova”. Superiamo quella “vecchia”, per favore, ricercando terreni e criteri comuni di fondo! Poi, nella transizione, ciascuno potrà sperimentare il nuovo secondo la propria identità e la propria storia…

 

 

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