14 Dic 2017

I soldi non fanno la felicità. Lo dicono anche gli economisti!

Scritto da: Domenico Villano

I soldi non fanno la felicità. Non si tratta soltanto di un luogo comune: a sostenerlo sono anche alcune ricerche condotte da economisti. Le relazioni, i valori, le esperienze, lo studio, l’attività artistica e creativa così come la vita spirituale sono gli elementi che determinano la felicità di una persona e di un popolo intero.

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Qui di seguito troverete un estratto di uno dei moduli di educazione critica alla finanza realizzati dalla fondazione finanza etica, nell’ambito del progetto EducarCi: si tratta di una piattaforma multimediale per la formazione, gratuita e accessibile a tutti, il cui lancio è previsto per l’inizio del prossimo anno. Sulla piattaforma potrete vedere dei brevi video, realizzati in collaborazione con esperti e professori, scaricare un kit pronto all’uso (slide, video, canovacci, testi, link) per l’organizzazione di seminari e discussioni, approfondire i temi trattati, leggendo brevi schede riassuntive e continuare il percorso con collegamenti ipertestuali alle più svariate pubblicazioni e organizzazioni.

 

Il paradosso di Easterlin anche detto paradosso della felicità è un concetto introdotto nel 1974 dall’economista Richard Easterlin, allora professore alla University of Southern California. Egli, riprendendo i risultati di studi quantitativi sulla felicità condotti in 14 paesi dallo psicologo sociale Hadley Cantril, provò che alla crescita del reddito personale dei cittadini il più delle volte non si accompagnasse un più alto livello di felicità.

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Una delle spiegazioni più accreditate del fenomeno è quella di un altro economista, Daniel Kahneman, basata sul concetto dell’effetto tapis roulant. Egli afferma che nelle società contemporanee il rapporto tra consumi e felicità sia paragonabile all’esperienza di correre su di un tappeto rullante in palestra: sudiamo, consumiamo energia, muoviamo molti muscoli ma siamo sempre fermi nello stesso punto. Allo stesso modo, quando compriamo un’auto nuova siamo felicissimi, emozionati, non vediamo l’ora di guidarla; ma questa sensazione positiva dura poco, passati un paio di mesi ci siamo ormai abituati alla nostra berlina e già sogniamo di acquistarne una nuova.

 

Allo stesso modo alcune persone fanno ore e ore di fila fuori ai negozi di alcuni marchi di telefonia mobile, in attesa di poter acquistare un nuovissimo smartphone; una volta ottenuto il loro cellulare all’ultimo grido saranno felici di mostrarlo ai loro amici e colleghi, ponendo l’accento sulle incredibili funzioni dei loro dispositivi all’avanguardia. Dopo un paio di settimane anche i colleghi compreranno un cellulare equivalente ed i nostri tecno-maniaci non avranno più di che rallegrarsi, il loro aggeggio di metallo non concederà loro nessuna soddisfazione ulteriore.

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Torniamo in concessionaria per fare un ultimo esempio: un tizio compra un nuovissimo SUV super accessoriato con ABS e collegamento internet integrato; per un paio di mesi sarà forse soddisfatto del proprio acquisto, ma poi, una volta abituatosi alla tenuta di strada e alla potenza del SUV, inizierà a sognare di poter acquistare una decappottabile da “millemila” cavalli per poter sfrecciare a 200 km orari in autostrada.

 

Penso che a questo punto sia chiaro il concetto; ma allora non c’è speranza per il genere umano? Siamo destinati a rincorrere sogni e desideri che ci porteranno ad una infelicità perpetua?

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Non è così: il problema di fondo delle ricerche sopra citate è innanzitutto il fatto che sono state realizzate da economisti, economisti ben intenzionati sia chiaro, ma che non riescono a mettere da parte la moneta per aprirsi alla varietà delle esperienze umane. La vita umana non si limita al consumo di beni e servizi, ad una competizione degli uni contro gli altri per il raggiungimento di un successo materiale che come provato non porta alla felicità.

 

Le relazioni, i valori, le esperienze, lo studio, l’attività artistica e creativa così come la vita spirituale sono gli elementi che determinano la felicità di una persona e di un popolo intero. Negli ultimi decenni siamo stati abituati a pensare che tutto abbia un prezzo, che tutto ciò che non contribuisca alla produzione di ricchezza non sia degno di nota, non sia rilevante, che il nostro tempo, la più preziosa delle risorse, sia da dedicare unicamente al lavoro e al consumo: lavoro insoddisfacente, usurante, e consumo quale valvola di sfogo per le frustrazioni accumulate al lavoro. Si crea così un circolo vizioso di fatica consumo e rifiuti, deleterio per noi e per il nostro pianeta.

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Milioni di persone sono riuscite ad uscire da questo circolo infernale e stanno riprendendo possesso della propria vita ridefinendo le proprie priorità e bisogni; perfino nell’accademia e in alcune istituzioni nazionali e sovranazionali è condivisa l’urgenza di costruire nuovi indicatori per il benessere delle società: ad esempio l’indice di sviluppo umano realizzato nel 1990 dall’economista indiano Amartya Sen che considera oltre al PIL anche altri elementi come la speranza di vita e il livello di istruzione di un paese; il BES (indice di benessere equo e sostenibile) realizzato dall’Istat insieme ai rappresentanti delle parti sociali e della società civile  con l’obiettivo di valutare il progresso di una società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale.

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