30 Ago 2018

La farsa mediatica dell'immigrazione

La questione migratoria è oggi al centro di una farsa mediatica che ha generato un allarmismo spesso ingiustificato. Ma perché tutto ciò? Chi può trarne vantaggi politici o economici e quale strategia si cela oggi dietro la mobilità delle persone?

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Rocca di Papa, la Diciotti, le azioni dimostrative di Salvini, Macron e il confine francese, le ONG, Minniti e l’Unione Europea… la questione migratoria oggi è diventata una farsa mediatica in cui il tifo da stadio prevale sulla volontà di ricercare le vere cause di ciò che sta avvenendo.

 

Ma perché tutto ciò? Si tratta di semplice impreparazione della classe politica e dei mass media rispetto alla tematica oppure fa tutto parte di una strategia precisa volta a favorire il processo migratorio che, come abbiamo spiegato in un precedente articolo, è un ingranaggio fondamentale della grande macchina capitalista, che per alimentarsi ha bisogno di nuovi mercati, nuovi consumatori, nuova manodopera?

 

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Secondo l’antropologa culturale Matilde Callari Galli, l’allarmismo che i media e parte dell’opinione pubblica creano rispetto alla questione migratoria è ingiustificato e spesso generato ad arte per favorire interessi secondari.

 

“La sensazione dilagante di vivere oggi una crisi dei processi migratori internazionali – scrive – ha profondamente influenzato ogni possibilità di politiche alternative”. Ecco dunque che chi può trarre vantaggi politici o economici dai flussi migratori fa leva sull’effetto caos generato a proprio favore.

 

L’isteria collettiva è alimentata dalla spettacolarizzazione dei media, che trasformano processi già rivissuti migliaia di volte nella storia dell’umanità in tragedie senza precedenti, omettendo ovviamente di analizzare a fondo non tanto gli effetti della cosiddetta “invasione”, quanto piuttosto le cause, per non rischiare che il grande pubblico acquisisca consapevolezza e riconosca la strategia che si cela dietro ai flussi migratori.

 

Il giornalista americano Jeffrey Kaye spiega bene il concetto nel suo libro “Migrazione globale”: “In un mercato internazionale la mobilità degli esseri umani è parte del sistema economico, importante quanto le aziende nomadi che girano il mondo in cerca di costi minori”.

 

“Spesso la risposta della popolazione all’immigrazione e ai cambiamenti culturali – scrive ancora Kaye – è quella del NIMBY (non nel mio giardino). In questi casi il dibattito si concentra sui vantaggi e sugli svantaggi a livello locale; però, per tutti, l’attenzione e il tempo dedicati all’immigrazione dovrebbero concentrarsi sulla semplice considerazione che si tratta di un fenomeno che fa parte del commercio globalizzato”.

 

Per questo motivo, costruire un nuovo modello economico può essere una delle chiavi per risolvere il problema delle migrazioni incontrollate. E, guarda caso, questo nuovo modello sarebbe anche più sostenibile dal punto di vista ambientale. “I combustibili fossili – spiega Jeremy Rifkin – sono energie d’élite per la semplice ragione che si trovano solo in determinati luoghi. Proteggere l’accesso ai loro giacimenti richiede un notevole investimento militare e assicurarsi la loro disponibilità una continua gestione geopolitica”.

 

Fra i principali paesi esportatori di petrolio figurano Nigeria, Angola, Algeria, Libia e Iraq, eppure il PIL pro capite di questi paesi non supera i 4600 dollari (per darvi un riferimento, quello italiano è di più di 30000 dollari) e nel caso della Nigeria è di soli 2200 dollari. Non c’è da stupirsi quindi che nigeriani, iracheni, algerini e cittadini di altri paesi in cui le ricchezze naturali non contribuiscono ad aumentare il benessere economico locale scelgano di emigrare.

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La lettura definitiva del fenomeno la fornisce Maurizio Pallante: “Nei paesi sviluppati la produzione e la vendita di merci non possono continuare a crescere se non aumenta la percentuale della popolazione mondiale che abbandona l’economia di sussistenza e s’inserisce nell’economia di mercato. Sostengono quindi a ragion veduta che bisogna accogliere i migranti perché ne abbiamo bisogno: per continuare a far crescere il nostro prodotto interno lordo, per mantenere i nostri stili di vita, per pagare le nostre pensioni, per svolgere i lavori che gli italiani non vogliono più fare, per dare assistenza ai nostri vecchi”.

 

Ecco dunque perché i muri “salviniani” sono ipocriti e populisti, l’accoglienza condizionata all’inserimento lavorativo è funzionale al mantenimento del sistema e l’accoglienza indiscriminata è miope e, alla lunga, non risolve il problema.

 

Una possibile soluzione sta nell’individuare le cause dell’immigrazione di massa:

  • La strategia capitalista di mercificazione dell’essere umano

  • La necessità di creare nuovi mercati e nuovi consumatori
    – Il controllo delle risorse naturali dei paesi d’origine da parte delle multinazionali occidentali
    – L’intervento militare nei paesi d’origine da parte delle potenze occidentali, che hanno generato caos, distruzione e povertà costringendo le popolazioni locali a emigrare.

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Questi sono i quattro punti da cui dovrebbe partire una politica risolutiva della questione migratoria. Naturalmente perché ciò avvenga è necessario cambiare modello economico: da quello consumista, energivoro, industrializzato e iper-produttivista a uno fondato sull’economia locale e circolare, sulle fonti energetiche pulite, sul diritto di autodeterminazione.

 

In tempi non sospetti Thomas Sankara provò ad avviare una transizione basata su questi principi nel suo paese, il Burkina Faso. Morì, così come muoiono ogni giorno migliaia di migranti, così come muoiono ogni giorno migliaia di operai che lavorano in condizioni inaccettabili, così come muoiono ogni giorno migliaia di persone il cui unico scopo nella vita è arricchire le élite. È questo il mondo che vogliamo? Se non è questo, cosa aspettiamo a cambiarlo?

 

 

 

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