26 Ott 2018

Rumore di fondo

Cos'è il rumore di fondo della nostra civiltà? E cosa c'entra con la propaganda xenofoba, le partite di Champion's League, i cambiamenti climatici e la possibile estinzione del genere umano? Una serie di riflessioni a ruota libera che hanno il rumore prodotto dagli uomini come filo conduttore. Sia un rumore reale, frutto dall'attività antropica, che uno più metaforico ma non per questo meno insidioso.

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Oggi pomeriggio a pochi metri da casa mia, a San Lorenzo, il quartiere romano dove vivo da oltre dieci anni, Matteo Salvini è stato accolto da una folla con sentimenti contrastanti: chi lo invocava come salvatore della patria, chi lo insultava e gli dava dello sciacallo. Il motivo della visita è il drammatico caso di una ragazza sedicenne violentata e uccisa proprio qui. Ancora ignoti gli autori, ma si sospetta che siano stati dei pusher extracomunitari, ed ecco spiegata la visita del ministro degli interni. Nel frattempo è partita la giostra mediatica e la ricerca delle categorie di colpevoli: i genitori, gli immigrati, la droga.

 

Sono passate poche ore, è un mercoledì di Champions. Sotto la finestra del salone mi tengono compagnia le grida dei tifosi del Napoli e dell’Inter impegnate nei big match contro Psg e Barcellona. Poco distanti alcuni ragazzi allegri e alticci cantano canzoni incomprensibili con voci sgangherate.

 

Pochi giorni fa è uscito l’ennesimo rapporto dell’Ipcc, il panel internazionale che studia i cambiamenti climatici. Ne emerge un quadro quasi apocalittico: il previsto aumento delle temperature di un grado e mezzo entro il 2030 porterà probabilmente conseguenze irreversibili, le possibilità del genere umano di adattarsi e sopravvivere sono proporzionali alla velocità con cui saremo in grado di cambiare drasticamente rotta. Quindi piuttosto scarse.

 

cambiamento climatico

 

I giornali ne hanno parlato per qualche giorno, come avviene ogni volta che qualcuno lancia un allarme sul clima, per poi tornare a parlare di altro. Avvenne lo stesso negli anni Settanta all’uscita del pionieristico studio sui limiti della crescita, avviene all’incirca ad ogni pubblicazione dei report dell’Ipcc. Il problema è che il tempo ha il brutto vizio di poter scorrere in un solo senso, per colpa dell’entropia che ci impedisce anche solo ipoteticamente di invertirne il verso. Dunque eccoci qui, sull’orlo di un tracollo di civiltà. Chi studia i sistemi complessi ha dato persino un nome a ciò che probabilmente ci attende: Seneca cliff, o dirupo di Seneca, per via di una frase del filosofo che si chiedeva già due millenni fa come mai per ogni cosa al mondo la crescita fosse lenta ma il tracollo immediato. E non è certo il clima l’unico grosso pasticcio che abbiamo combinato.

 

Ma non voglio fare il solito articolo in cui elenco le innumerevoli ragioni che ci collocano sull’orlo del collasso. Non stasera. Stasera sono d’umore malinconico, disincantato, mi sento stanco. E non – mi spiace per voi – di quella stanchezza che ti fa dormire: è piuttosto una spossatezza dell’animo, che ti fa stare sveglio e ti porta a scrivere un po’ a ruota libera. Ma se avrete pazienza e fiducia cercherò di far emergere un senso da questo flusso di pensieri apparentemente casuale.

 

Gordon Hempton è un saggista ed ecologista statunitense che ha iniziato a censire i “luoghi del silenzio”, ovvero i luoghi al mondo dove fra l’alba e il tramonto ci sono almeno cinque minuti di fila non disturbati da rumori dell’attività umana. La sua conclusione è che questi luoghi stanno scomparendo. Subito mi è tornato alla mente quando qualche anno fa, dormendo in aperta campagna, mi accorsi con sgomento di non riuscire a prendere sonno per l’assenza dei rumori della città.

 

Il rumore della nostra civiltà è talmente alto da inquinare praticamente ogni cosa. Hempton associa questo dato ad alcuni studi che mostrano come le frequenze a cui il nostro orecchio è più sensibile sono quelle fra duemila e cinquemila Hertz. Frequenze a cui non appartiene, udite udite, la voce umana. Troppo bassa. Invece ne fanno parte svariati suoni della natura, fra cui il canto di molti uccelli. Probabilmente il motivo di questa particolare sensibilità è da ricercarsi in ragioni evolutive: il canto degli uccelli indicava la presenza di alberi, quindi frutta e un habitat adatto all’essere umano: per questo l’evoluzione del nostro cervello lo ha privilegiato. Non ho mai letto il saggio di Hempton, di cui onestamente fino a stamattina ignoravo l’esistenza, ma ho visto un bel video che ne parla e che vi metto qua sotto. 

 

 

Sono subito rimasto affascinato dal lavoro dell’ecologista americano. Tuttavia è questa sera che mi pare di averne colto una ulteriore chiave di lettura, un senso più profondo. Il rumore di fondo. C’è un rumore di fondo fisico, emesso dalle nostre voci, le macchine, gli aeroplani, le industrie, che offusca e annichilisce gli unici suoni che ci fanno stare bene, quelli naturali. E poi c’è un rumore di fondo metaforico, fatto di chiacchiericcio mediatico, di battaglie social, di dichiarazioni urlate, che ci impedisce di dare il giusto peso alle cose, di organizzare una scala di priorità coerente e condivisa, di ascoltare gli altri e persino noi stessi.

 

Tutto sembra finire nel medesimo calderone, un brusio indistinto in cui ogni notizia viene svuotata del suo peso relativo e messa sullo stesso piano di tutte le altre: il dramma di una ragazzina, le dichiarazioni xenofobe di un politico in cerca di consensi, una partita di pallone, la possibile fine della nostra civiltà. Succedono cose in continuazione, alcune enormi, altre gravi, altre meravigliose e complessivamente il contesto evolve a velocità sempre maggiore. Fino a un secolo e mezzo fa la società  cambiava talmente lentamente che non esisteva nemmeno il concetto di futuro; oggi il futuro permea le nostre vite ancor più del presente. Ci sentiamo in balia di una corsa agitata e sempre più affannosa verso una meta ignota: aumentano le variabili, crescono gli indicatori, nuove tecnologie fanno il loro ingresso sul panorama globale. E sale ancora il rumore di fondo, al pari del frastuono di stasera giù per strada e della mia disillusione.

 

Com’è possibile, mi chiedo, comunicare l’urgenza e la gravità di alcune tematiche se il rumore di fondo è così alto? E poi dovremmo agire talmente in fretta e in misura così sostanziale che alcune sere, come questa, mi chiedo se valga la pena anche solo provarci, o non convenga piuttosto abbandonarsi al flusso degli eventi, rassegnarsi e godersi serenamente – popcorn alla mano – la “final season” del genere umano, come l’hanno definita i The Pills.

 

Altre volte mi viene voglia di gridare al mondo con tutto il fiato di fare silenzio, che ci sono cose più importanti. Ma sarebbe inutile. È come trovarsi in un’aula affollata di gente urlante a cui si debba comunicare di uscire immediatamente perché la stanza sta per andare a fuoco potendo contare solo sulla propria voce. Il primo istinto è di urlare più forte degli altri per farsi sentire: e infatti è quello che fanno tutti, ognuno convinto che il proprio messaggio sia il più urgente, quello che tutti devono ascoltare. E alcuni messaggi lo sono davvero, importanti. Il problema è che così facendo contribuiamo soltanto ad aumentare il rumore di fondo.

 

E poi c’è un’altra verità, più scomoda e fastidiosa da confessare. Ovvero che il mio trovarmi al quinto piano stasera ad ascoltare le urla dei tifosi e non per strada assieme a loro dipende principalmente dal fatto che la Fiorentina non gioca in Champions League. Solo le mie scelte infelici in fatto di fede calcistica mi permettono di avere un punto di vista distaccato sull’umanità sottostante.

 

La verità è che in questo momento anche io sono turbato tanto dai cambiamenti climatici quanto dalla tragedia della ragazzina uccisa a pochi metri da casa mia. Così come in me convivono un improvviso e destabilizzante senso di insicurezza verso il quartiere dove vivo e l’insofferenza per un clima di diffidenza, paura, razzismo, odio, diffuso anche qui. E se avesse giocato la Fiorentina sarei felice, o triste, o incazzato anche per l’esito della partita. Sono parte, come tutti, del rumore di fondo di un’umanità allegra e disperata, di un mondo sull’orlo della rivoluzione e del collasso.

 

È anche questo senso d’insicurezza, di paura, questa confusione interiore ed esteriore che ci porta ad aumentare il volume, a gridare contro gli altri e sugli altri, senza stare ad ascoltare. L’altro diventa un nemico, un impiccio, un impedimento alla nostra possibilità di comunicare con il mondo. È come trovarsi in una strada affollata con il nostro treno che sta per partire: facciamo lo slalom fra le persone e le malediciamo per mettersi in mezzo al nostro cammino senza renderci conto che noi rappresentiamo il medesimo ostacolo nel cammino degli altri.

 

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E il rumore di fondo non ci impedisce soltanto di ascoltare gli altri. Non ascoltiamo nemmeno noi stessi. Ci facciamo scudo delle nostre idee, del nostro messaggio importante e rinchiudiamo in un angolo tutte le sensazioni complesse, le vocine contrastanti che come un impiccio si frappongono fra noi e il treno che sta per partire. Come possiamo sperare di accettare la diversità altrui se non siamo in grado di accogliere nemmeno le nostre contraddizioni?

 

Quindi che fare? Non lo so, ne parliamo un’altra volta, stasera non sono in vena di occuparmi di soluzioni e ho già fatto fin troppa filosofia. Ma un tentativo lo voglio fare: voglio provare ad ascoltare il rumore di fondo che proviene dalla mia finestra fino a distinguerne le varie voci, a comprenderne i messaggi. E mentre lo faccio immaginare la storia di tutte le persone che gridano quei messaggi sgangherati e inconcludenti. Non servirà a niente ma mi fa stare bene. Dopo un po’ sono invaso dalla convinzione che quelle voci strambe potrebbero benissimo provenire da dentro di me.

 

Ho il sospetto che il segreto del cambiamento stia almeno in parte nel trovare un equilibrio fra il lasciarsi andare e il saper guidare, fra l’osservare dalla finestra e lo stare per strada, nel flusso. Per stasera, vorrei ripartire da questo senso di appartenenza al rumore di fondo di questa folla urlante e fastidiosa qua sotto, a questa umanità complicata e inconcludente, capace tanto di odio viscerale quanto di slanci di amore inaspettati. Non so se riusciremo o meno a salvarci, come genere umano. Ma se potessi vedere la Fiorentina in Champions il prossimo anno sarebbe già qualcosa.

 

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