29 Ago 2019

Massimo Angelini: “La speranza passa per la ricerca della bellezza e la cura delle parole” – Meme #27

Scritto da: Daniel Tarozzi
Video realizzato da: Paolo Cignini

Torniamo a dialogare con Massimo Angelini, filosofo della terra e della parola che ha incentrato gran parte delle sue attività sul mondo agricolo e sulla riscoperta della cultura contadina. Questa settimana vi proponiamo le sue riflessioni sull'ecologia della parola, presentandovi la sua casa editrice e descrivendo il bugiardino da lui curato ogni anno.

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Savona - Lo scorso maggio vi abbiamo raccontato la storia di Massimo Angelini, della Rete Semi Rurali, del Mandillo dei semi e di altre iniziative legate al mondo agricolo. Oggi indagheremo un altro filone del suo lavoro: quello editoriale e filosofico/culturale.  Proprio Massimo, nel nostro incontro in Sardegna, ci ricorda come sia difficile definirsi: «Siamo abituati a darci un’etichetta quando invece siamo diamanti e abbiamo moltissime sfaccettature… è molto bello farle rilucere tutte quante anche se queste non comunicano tra di loro se non attraverso di noi». Massimo, di formazione storico e filosofo, si occupa da oltre 35 anni di studi legati al mondo rurale e alla cultura contadina.

 

 

La Casa Editrice
«Intorno al 2010-2011 – racconta – mi è venuto il desiderio di pensare ad un progetto editoriale, perché da autore avevo scritto alcuni libri, ma non ero soddisfatto di come ero stato trattato dalle case editrici. Inoltre, sentivo il bisogno di uno spazio editoriale legato in modo prioritario alla cultura rurale. Così è nato il progetto Pentàgora. Un tempo – continua – mi sembrava che il mondo rurale fosse ben rappresentato in chiave editoriale. Oggi osservo una divaricazione tra una linea editoriale molto tecnica – incentrata su una agricoltura senza valori, industrializzata o amatoriale – e un modo di pensare il mondo rurale in chiave new age, con una rappresentazione utopica in cui tutto è bello e senza problemi. Il mondo rurale non è questo, non è fatto da giovani cittadini che vogliono scoprire il nuovo o tecnocrati che coltivano contributi invece che terra.

 

Pentàgora nasce quindi per tentare una via etica all’editoria, in cui l’autore non venga visto come un pollo da spennare, i libri non siano stampati per poi andare al macero e dove si cerca di rappresentare in modo realistico di quello che era, è rimasto e potrà essere il mondo rurale, visto non come alternativa alla città, ma come un altro modo di stare a contatto con il mondo, con la terra, con l’economia».  Per questo Pentàgora non è solo una casa editrice, ma anche una tipografia – con sede a Savona e in cui lavorano quattro persone – che stampa libri on demand, in base alla richiesta, riducendo al minimo le rese. Non si fa magazzino.

 

«Il nostro scopo? Far uscire libri molto curati, sinceri, che possano durare nel tempo, che teoricamente non debbano mai uscire da un catalogo e che siano soprattutto economici. Perché? Perché se un libro non è economico arriva a pochi ed è una contraddizione: scrivi qualcosa che è per tutti ma che possono permettersi in pochi».

 

La cura è spasmodica, sia nella selezione dei testi che nella cura degli stessi. In alcuni casi le revisioni editoriali durano anche nove mesi. «A volte gli autori non capiscono. Mi dicono ‘ma io ho fatto il libro’ e non sanno che il libro è una creatura che ha due gestazioni e merita un processo di pulizia e revisione». Questo lavoro è portato avanti dallo stesso Massimo con un piccolo gruppo di collaboratori, in completo volontariato.

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Il bugiardino
Ormailo avrete capito, Massimo una ne pensa e cento ne fa! E così, tra una legge sui semi e una rete nazionale, tra una casa editrice e una conferenza, il nostro filosofo della parola cura anche un almanacco tascabile: il mitico bugiardino.

 

«Nell’800 – ci racconta Angelini – in Italia giravano centinaia di almanacchi tascabili, rurali, che davano indicazioni sulla luna, sulle previsioni del tempo, sulle semine e soprattutto sulle cadenze del tempo che segnavano l’anno: i giorni della merla, le tempora, i giorni della semina ecc… Tutto questo restituiva un’idea ciclica del tempo. C’erano così tanti lunari da far diventare queste opere la forma di letteratura popolare più diffusa. In seguito sono quasi scomparsi. Io ho ripreso il modello ligure, usato ininterrottamente fin dal 1472, aggiornandolo e innovandolo. Da qui è nato il bugiardino, quasi per gioco, nel 2006. In breve tempo è diventato un ‘best long seller’. Ne vengono vendute 20 mila copie all’anno solo in Liguria. Oggi le stagioni non esistono più: si mangia di inverno quello che si dovrebbe mangiare d’estate, si fa di notte quello che si dovrebbe fare di giorno… Il bugiardino ripropone un ordine del tempo che può avere il suo valore». Lo stesso prodotto è proposto in chiave nazionale con il nome di Mira Luna, ovviamente con le opportune variazioni.

 

L’ecologia della parola
Prima di incontrare Massimo non mi ero mai soffermato tanto sull’origine delle parole. Ad esempio, parlavo con entusiasmo di biodiversità culturali, senza riflettere sul fatto che la parola diversità viene da divergere e porta quindi ad una separazione. Molto meglio usare biodifferenze! Inoltre, spesso mi scappano parolacce di vario genere e non mi soffermo molto sulle implicazioni di un linguaggio in cui i genitali sono utilizzati come costante intercalare in molteplici forme. Cosa comporta questo? Si può parlare di bellezza e di nuovi mondi senza essere consapevoli dei termini scelti? Secondo Massimo, no. È fondamentale riscoprire un’ecologia della parola.

 

«Qualche anno fa mi sono convinto che le parole sono importanti perché contribuiscono alla costruzione del nostro pensiero. Ecco perché vado in giro a parlarne; amore, desiderio, individuo, parole comuni ma di cui si è smarrito un significato certo. Oggi conosciamo sempre meno parole. Uno studio di Tullio De Mauro lo dimostra: prima chi aveva terminato la scuola dell’obbligo ne padroneggiava in media 700, ad oggi il numero è sceso a 500. Usiamo le parole con sempre meno consapevolezza e il nostro modo di pensare diventa quindi più vago».

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Lo ascolto e mi torna in mente 1984 di George Orwell. Nel romanzo, tremendo e visionario, una dittatura futurista e totalizzante raggiunge il controllo sempre più capillare sulla popolazione, riducendo costantemente il numero di parole riconosciute e ammesse.

 

Ecco perché il lavoro di Massimo è così importante. «Indago le parole per restituir loro un significato certo e per usarle come pretesto per parlare del nostro tempo. Nulla accade a caso. Ad esempio le variazioni nei termini utilizzati comunemente hanno diverse implicazioni. Prendiamo il passaggio da persone ad individui: questo dimostra una progressiva atomizzazione e solitudine del nostro tempo; il passaggio dal conoscere al sapere, racconta come oggi il nostro apprendere passi attraverso la mente, anziché attraverso i sensi. Le parole sono quindi l’occasione per interrogarsi e dialogare su come siamo e su dove stiamo andando. Ovunque vado, trovo interesse su questo tema: tolte le maschere e le etichette il nostro bisogno di andare a fondo si rivela profondamente comune».

 

Intervista: Daniel Tarozzi e Paolo Cignini
Riprese intervista e montaggio: Paolo Cignini

 

 

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