20 Set 2019

Clima: non è tutta colpa della CO2

Scritto da: Annalisa Jannone

I cambiamenti climatici sono un fenomeno complesso, molte variabili incidono su cause e conseguenze. Bisogna capire cosa possa rendere l’impatto di tale variazione meno distruttiva per l’habitat umano. Gli ecosistemi hanno capacità di resilienza basata sulla possibilità di trasformare i rapporti che intercorrono tra i soggetti del sistema stesso. E’ possibile ridisegnare l’architettura dell’intero sistema agendo sulle relazioni tra gli elementi. Nuove connessioni basate sulle conoscenze ecologiche e sui bisogni degli esseri umani possono creare le condizioni di massima resilienza.

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Come molti sistemi complessi, il clima non ha un andamento lineare, subisce cambiamenti e accelerazioni improvvise, a volte estreme, che poi perdurano nel tempo assestandosi sulla nuova “normalità”. Questo perché i fenomeni che lo influenzano sono molti e a loro volta instabili per intensità e velocità di variazione ma soprattutto non sono tutti conosciuti, misurabili e prevedibili.

 

L’aumento di temperatura che sta investendo il Pianeta Terra pone questioni profonde, nuove e complesse.

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Tornado – Foto da Pixabay

Sappiamo che la temperatura sta sconvolgendo il ciclo delle acque e quindi il suolo, la sua fertilità, generando povertà e ingiustizia sociale. Sappiamo che l’inquinamento incide sulla salute delle persone, impoverisce la fertilità del suolo, minaccia la biodiversità che espone i territori agli eventi climatici improvvisi creando povertà e instabilità sociale. O ancora, l’ingiustizia sociale provoca emarginazione, malattie, migrazioni, ignoranza, conflitti sociali e violenza togliendo di fatto la gestione del territorio alle comunità che vi abitano e la possibilità di autogoverno. 

 

La crisi climatica non è l’unica crisi in corso, questa è una crisi sistemica e le emissioni di CO2 che causano l’effetto serra non sono le uniche variabili su cui è necessario agire.

 

L’impatto che l’instabilità climatica ha in un sistema dipende in gran parte dalla capacità che ha quel sistema di rimanere stabile nella sua organizzazione. L’aumento di temperatura ha conseguenze a catena su ogni aspetto e come una valanga sta alterando velocemente gli equilibri diventati, negli ultimi decenni, più fragili e suscettibili ai cambiamenti.

 

In un ecosistema ogni fenomeno influenza tutti gli altri in modo più o meno visibile. Cosa rende un sistema capace di adattarsi ai cambiamenti? Come un sistema può attenuare una forza anomala per intensità e velocità?

 

La resilienza è quella proprietà di un sistema che permette di assorbire colpi e modifiche importanti e veloci, entro un determinato range, senza distruggere il sistema stesso.

 

In Natura i sistemi complessi, quindi anche noi esseri umani, fondano la propria capacità di essere resilienti sulla biodiversità e sulla capacità di feedback, cioè attraverso la diversificazione dei soggetti e dei fenomeni che lo compongono. Così l’energia dell’impatto di un evento improvviso e pericoloso può essere attutito se diffuso tra i componenti e integrato, nelle diverse modalità a disposizione, trovando un nuovo assetto. Alcuni elementi periranno, altri si saranno trasformati, altri rinvigoriti, ma il sistema ha mantenuto una propria coerenza; si è adattato alle nuove condizioni.

 

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Così ad esempio la perdita di biodiversità è uno dei maggiori problemi che abbiamo. Tra le diverse specie animali e vegetali si instaurano equilibri dinamici che permettono il controllo a catena di ogni specie sull’altra impedendo la supremazia di una sulle altre. 

 

I sistemi agricoli basati sulle monocolture impoveriscono il suolo, inquinano e divorano acqua creando un sistema fragile, esposto alle malattie che per esistere ha continuamente bisogno di fitofarmaci e fertilizzanti.

 

L’agroecologia permette invece maggiori possibilità di prevenire eventi impetuosi e incontrollabili come invasioni di singole specie, epidemie, frane, erosione, contaminazioni di altri habitat, etc. La biodiversità è una condizione fondamentale per la resilienza ambientale come per quella economica di ogni sistema sociale.

  

La visione ecologica o sistemica, al contrario di quella ultra-specializzata e riduzionista, pone l’interesse non sui singoli fenomeni, che nella realtà non esistono da soli, ma sull’architettura complessiva definita dalle relazioni tra i soggetti. Ogni elemento è un nodo di una rete in cui ogni cosa influenza l’altra attraverso il tipo di relazione esistente.

 

Bisogna tenere conto di questo per capire cosa poter fare.  Ognuno di noi è un nodo di eventi, di scelte, di relazioni e può cambiare la catena di eventi che gli compete.  Questo sì, è nel nostro potere: trasformare le relazioni con noi stessi, con gli altri, il mercato e quindi le scelte di consumo per ridisegnare un nuovo design della società. Attraverso azioni locali e connessioni utili e soddisfacenti è più facile mettere a disposizione le proprie capacità potendo anche controllare con i feedback la direzione verso cui tendere secondo la visione complessiva

 

Per gestire il caos e le contraddizioni in cui siamo immersi, bisogna essere capaci di immaginare (in-magia-agire) un nuovo che non c’è mai stato, in un’ottica più lontana. Il caos spesso è un passaggio obbligato quando è in atto un cambiamento da una fase ad un’altra. E noi forse siamo qui, nel mezzo, ed è necessario progettare il nuovo.

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Bisogna elaborare insieme il lutto del fallimento di questo modello di sviluppo, la paura per il futuro, il disorientamento che la narrazione mediatica, basata sull’emotività, fomenta. I flussi di ricchezza devono essere diffusi in ogni nodo della rete perché distribuendo l’energia (conoscenze, ricchezza ambientale, partecipazione, espressione di se, possibilità tecnologica, etc.) si rivitalizza tutta la trama della rete ristabilendo l’equilibrio delle forze in campo.

 

Solo progettando nuove connessioni basate sulla fiducia e sulla cooperazione possiamo creare un nuovo disegno dei rapporti di forza, dei flussi di denaro, dell’accesso alle materie prime, della cura e del rispetto delle persone.

 

Nessun governo sarà in grado di modificare il sistema su cui è fondato, anche se metterà in campo soluzioni più sostenibili. Lo sviluppo sostenibile ha molte declinazioni. Un modello basato sulla violenza e sullo sfruttamento, che consuma risorse invece di produrle, non può garantire un futuro possibile se sappiamo che è tutto collegato.

 

La ricerca scientifica e la tecnologia non sono considerabili ancore di salvezza perché hanno per lo più dimostrato di non riuscire e raggiungere gli obiettivi prefissati come sfamare la popolazione e proteggere l’ecosistema e la salute. Sono piegate a chi le finanzia che impone obiettivi e metodi per mantenere e incrementare il proprio profitto. 

 

Nelle scuole del mondo ricco e “avanzato” negli ultimi anni vediamo aumentare i bambini problematici che hanno bisogno del sostegno; ci si ammala sempre di più e sempre da più giovani, i dati sono alla portata di tutti.

 

Assistiamo allo stanziamento di migliaia di finanziamenti, da parte di enti governativi internazionali e finanza, per la conversione delle aziende verso un economia a basso contenuto di carbonio; ci verrà proposto un sostituto green per ogni oggetto o servizio ma il flusso di potere, il modello gerarchico predatorio esige di permanere anche se mitigato. 

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Casa degli insetti – Foto da Pixabay

Imparare ad essere persone migliori, con capacità di critica verso ciò che siamo abituati a pensare e immaginare, quindi disposti a cedere una parte dei propri obiettivi per investire nelle relazioni “organizzanti”, è il modo che forse ci permette di avere un impatto realisticamente più concreto.  Ognuno dovrebbe dare ciò che può, insegnare ciò che sa e imparare dagli altri, aiutare e ricevere aiuto. La cooperazione è quella caratteristica che in natura caratterizza le specie più evolute; è un sinonimo di intelligenza biologica e migliora la resilienza.

 

Le comunità, per migliorare la propria resilienza, prediligono le economie di scala rispetto al mito della “grandezza”, sanno rivedere la velocità e il ritmo delle azioni potendo gestire i feedback, scelgono le tecnologie appropriate e fanno rete con le altre migliorando l’efficacia dei propri obiettivi.  

 

In un articolo di Permacultura e Transizione ci viene suggerito che oltre agli obiettivi tattici, a breve termine, sono necessari obiettivi di visione condivisi da tutti i soggetti che compongono la comunità ecologica o sociale. Questo è possibile solo se le relazioni sono di tipo mutualistico e simbiotico. Le reti di relazione sono il Capitale Sociale su cui investire perché migliorano il senso di sicurezza, appagano il bisogno di stima e riconoscimento delle persone infondendo coraggio e aumentando l’intelligenza collettiva.

 

I sorrisi delle migliaia di persone che Italia che Cambia ha intervistato in questi sette anni parlano di questo, dell’energia rigeneratrice, della sensazione di pienezza, della libertà che si prova scoprendo di poter gestire in modo creativo il proprio tempo e le proprie risorse condividendo il surplus con altri. 

 

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 E se per proteggere ciò che di buono esiste e per proiettarsi nella dimensione dell’universale (verso l’uno) c’è bisogno di sacralizzare la nostra presenza sulla Terra, celebriamo la vita e i cicli della natura per quello che percepiamo, e rispettiamo con umiltà tutto ciò che non sappiamo e non possiamo prevedere. Impariamo insieme a stare nel cambiamento, nella transizione che è la naturale condizione dei sistemi in veloce trasformazione. 

Siamo espressione della vita che è tanto più inafferrabile e enorme di noi. Non è mai troppo tardi per imparare ad esserci.

 

Clarice Lispector: “Cambia, ma comincia lentamente, perché la direzione è più importante della velocità.”

 

 

  

 

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