3 Ott 2019

Aia Santa: vivere in comunità per essere più felici e per il bene comune – Io faccio così #263

Scritto da: Daniela Bartolini

Un progetto di vita comunitaria ed uno spazio di accoglienza immerso nelle colline vicino a Vicchio, in provincia di Firenze. Vi raccontiamo oggi la storia di Aia Santa, una comunità di persone che hanno scelto di convivere, per essere più felici e per il bene comune. “E questo porterà il vero cambiamento!”. Ne è convinto Ugo Biggeri, tra i protagonisti di questa esperienza ed ex presidente di Banca Etica.

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Firenze - È notte buia e calda, canti di grilli sono gli unici suoni che ci accompagnano, i nostri occhi vedono solo ciò che i fari del nostro mitico camper illuminano. Alberi, macchie di rovi, frammenti di strada. Scorgiamo un’indicazione, sfioriamo un edificio in pietra: la casa natale di Giotto, indica la segnaletica.

Siamo in ritardo… L’orario consono per l’invito a cena che ci è stato offerto è passato da un pezzo mentre l’appetito aumenta. Dopo poco Ugo emerge dall’ombra indicandoci dove sostare. Gli abiti preannunciano che sarà il nostro cuoco.

Arriviamo così ad Aia Santa, ignari del perché di questo nome, ci appare subito un luogo di pace e di ristoro. I nostri ospiti hanno già cenato ma la grande tavola, racchiusa tra due grandi edifici paralleli, è ancora apparecchiata per noi e ci sentiamo subito a casa. Mentre Ugo inizia a sfornare pizze farcite con gli ingredienti auto prodotti, ci guardiamo intorno salutando persone, scusandoci per il ritardo e iniziando a percepire la bellezza di questo luogo immerso nelle colline vicino a Vicchio. Qualcosa che potremo apprezzare solo all’indomani, quando la luce del sole svelerà ciò che ci circonda.

È intorno alla tavola, simbolo per eccellenza dell’accoglienza di Aia Santa, che iniziamo, a conoscere le caratteristiche di questo progetto avviato in un podere che ha una storia curiosa, come ci racconta Ugo Biggeri in questa video intervista.

«Noi siamo arrivati qui dieci anni fa, è stata un’esperienza possibile dal fatto che avevamo una precedente esperienza di vita comunitaria: tre famiglie che vivevano insieme e facevano percorsi di educazione sullo sviluppo sostenibile. Poi quell’esperienza si è dovuta concludere e abbiamo avuto la fortuna di incontrare una persona che ci ha aiutato a comprare questo posto che è stato intestato all’Associazione “Le Case”, associazione di case famiglia che fanno accoglienza di cui facciamo parte. Questa casa è l’unica proprietà dell’associazione. Quando siamo arrivati era un rudere di 700 mq, con 16 ettari di terra, e oggi cominciamo ad averla sistemata abbastanza, con tantissimi campi di lavoro, in particolare il campo di lavoro estivo IBO, e il nostro lavoro manuale quotidiano».

Sono dunque tre le famiglie che hanno iniziato questo progetto di vita comunitaria, due residenti nel podere e la terza che pur non abitando ad Aia Santa, frequenta regolarmente la struttura seguendo attivamente tutto ciò che vi accade, aiutando in ciò di cui c’è bisogno e offrendo un’importante supervisione esterna al progetto.

«Nella nostra esperienza di vita comunitaria – prosegue Biggeri – non avere la proprietà della casa ha aiutato moltissimo. Se dovessi dare un consiglio al di là di essere elastici e ironici nella vita comune, è proprio di non avere la proprietà privata che ti condiziona più di quello che sembra. La casa è dell’associazione. Questo ci ha aiutato e ci ha dato un senso di libertà molto forte».

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L’approccio alla vita comunitaria qui è stato molto pratico, emozionale, relazionale. La comunità è cresciuta confrontandosi continuamente, ponendosi domande sull’abitare, sul come gustare la vita in un modo diverso, sulla felicità, sulla solidarietà, su cosa è una casa. Per lunghi periodi con un sostegno esterno: supervisori con cui periodicamente gli abitanti organizzavano incontri facilitati e che li aiutavano a gestire le dinamiche interne.

«La prima scoperta del vivere in comunità è stata quella (ovvia, ma che non riusciamo spesso a vedere) che insieme si può fare di più: accoglienza, auto costruzione, attenzioni ecologiche, avere una piccola fattoria. Tutte cose che sarebbero totalizzanti in una scelta individuale, ma che insieme ad altri diventano fattibili e anche piacevoli, desiderabili. Perché si suddividono i compiti, si è più liberi di stare fuori casa, si ha la sicurezza di qualcuno a casa anche quando si è fuori, per i figli o per le cose a cui teniamo. A noi la vita di comunità piace. La scelta di cenare insieme può apparire pesante, la abbiamo anche ridiscussa al nostro interno, ma alla fine è un modo per poter comunicare tra di noi in modo molto più leggero che non facendo riunioni. Poi ci vuole tantissima elasticità e disponibilità».

Ugo ha tre figli maschi ed una figlia in affidamento che spesso viene a trovarli e c’è anche anche una ragazza congolese che abita con loro; l’altra famiglia ha tre figli, di cui uno adottato e la terza (che non è venuta a vivere qui) ha tre bambini di cui una adottata. Il tutto in un casale con molti spazi in comune aperti anche ad altre realtà e iniziative in cui ognuno ha i propri spazi abitativi, ma «non definiti “da un portone”con una chiave».  L’idea di cenare insieme e di fare dello spazio della tavola un momento di incontro e riflessione è venuta proprio dai figli che volevano mangiare insieme.

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Intorno alla casa ci sono attenzioni ambientali, pannelli foto voltaici, pannelli per l’acqua calda, abbiamo una stufa a legna per scaldarsi, la fito depurazione.

Questo luogo circondato da una natura stupenda, con animali, tra cui un asino e una cavalla che producono concime, capre, galline e maiali per auto produzione di carne e due grandi orti per l’auto produzione, è però soprattutto uno spazio di accoglienza.

«Per i primi 5 anni abbiamo accolto giovani in uscita dalle case famiglia dell’Associazione, quindi minori stranieri non accompagnati che raggiunti i 18 anni non potevano più stare nelle case famiglia e non erano coperti dai servizi pubblici. Son passati tanti giovani, da tanti paesi. Ragazzi che avevano bisogno di autonomia non di una presenza continua di un adulto, ma che non era il caso di lasciare soli».

Per cinque anni Aia Santa è stato anche un CAS, un centro di prima accoglienza, il che ha aggiunto nuovi volti alla tavola del podere. Un’esperienza molto positiva che si è conclusa a metà dello scorso settembre dopo i significativi cambiamenti avvenuti da ottobre 2018 all’interno del sistema di accoglienza richiedenti asilo e rifugiati (1).

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Ugo Biggeri è stato anche fino al maggio scorso il presidente di Banca Etica: una curiosa “doppia vita”, come racconta nel video.

«Il mio sogno è #meglioinsieme: siamo martellati dall’idea che dobbiamo fare da soli, che l’individualismo permea la società. In realtà si vive meglio insieme, si affrontano meglio i problemi insieme e si è più felici insieme. Fare le cose insieme per essere più felici e per il bene comune, e questo porterà il vero cambiamento».

  1. L’Associazione Le Case di cui Aia Santa è parte insieme ad altre sei realtà, ha deciso di non accogliere “la nuova forma di accoglienza proposta dato che questa ha perso completamente i vincoli dell’ospitalità”, un’ospitalità che qui è sempre stata familiare, all’interno delle abitazioni dei residenti stessi, come descritto nella comunicazione dell’assemblea dei soci. Ma Aia Santa “continuerà ad essere un posto di accoglienze varie ed eventuali”.

Intervista: Daniela Bartolini e Daniel Tarozzi

Montaggio: Paolo Cignini

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