Visione 2040 Cicli produttivi e rifiuti

I rifiuti non esistono più, e con essi sono spariti gli inceneritori e le discariche: oggi gli scarti di una determinata produzione diventano materia prima per un’altra produzione. L’evoluzione delle stampanti 3d e dei Fablab ha abbattutto la produzione di risorse inutili e l’obsolescenza pianificata è stata spazzata via, sostituita da prodotti duraturi e facilmente riparabili.”


Hanno contribuito: Rossano Ercolini – Zero Waste Europe | Rachele Invernizzi – Federcanapa | Daniele Poddighe – &Makers | Danilo Pulvirenti – Rifiuti Zero Sicilia | Domenico Sturabotti – Symbola. Hanno facilitato: Danilo Pulvirenti, Giulia Rosoni e Daniel Tarozzi


SITUAZIONE ATTUALE

I rifiuti sono il simbolo delle disfunzioni del sistema che abbiamo costruito: un sistema che sottrae risorse al pianeta, le trasforma e le getta via a ritmi sempre maggiori. Questo meccanismo di economia lineare crea da un lato un consumo di materie prime molto superiore alla capacità rigenerativa del Pianeta, dall’altro un accumulo di materiale indistinto e inutilizzabile, difficile da smaltire.

In un ecosistema che funziona i rifiuti non esistono: gli scarti di un soggetto diventano materia prima e nutrimento di un altro soggetto. Gli escrementi, ovvero i rifiuti del nostro corpo (come quelli di tutti gli animali), diventano nutrimento per le piante. L’ossigeno, il “rifiuto” delle piante nel processo di fotosintesi clorofilliana, diventa un elemento indispensabile per la vita animale. E così via.

Per questo abbiamo deciso di unire queste due tematiche (cicli produttivi e rifiuti): perché non è più immaginabile (e tantomeno lo sarà nel 2040) creare qualcosa senza porsi il problema di come questo qualcosa si integrerà all’interno dell’ecosistema una volta svolta la sua funzione primaria.

INCENERITORI E DISCARICHE

Quello dei rifiuti in Italia è un sistema complicato e spesso inefficiente. L’esito di questa inefficienza non è visibile solo nelle differenze locali rispetto alla raccolta differenziata, o nel degrado cui alcune città vengono abbandonate, ma anche e soprattutto nei costi di servizio.

Dati alla mano infatti, esiste una differenza di costi lungo lo stivale: nell’Italia settentrionale, dove la raccolta differenziata è migliore, i costi di gestione sono inferiori rispetto a quelli dell’Italia centrale e Meridionale.

Bisogna considerare poi l’impiantistica: i 44 impianti di incenerimento per i rifiuti urbani diventano un ostacolo ai progressi dovuti alla raccolta differenziata e ai processi industriali che ne derivano. In pratica gli inceneritori finanziati con i CIP6 ci rendono ancora schiavi della combustione per la produzione di energia, con elevati rischi di inquinamento ambientale.

Per chi non lo sapesse, il CIP6 è una delibera del 1992 che stabilisce che chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate ha diritto a rivenderla al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) a un prezzo superiore a quello di mercato. La dizione “assimilate” fu aggiunta alla previsione originaria in sede di approvazione del provvedimento per includere fonti di vario tipo, fra cui proprio gli inceneritori. Così una legge che nasceva per favorire l’impiego delle rinnovabili, è diventata un incredibile volano per il business dell’incenerimento dei rifiuti.

Le discariche costituiscono ancora la via principale per smaltire i rifiuti, modalità che (oltre a essere una pericolosa fonte di inquinamento) alimenta affari illeciti e impedisce lo sviluppo di un ciclo virtuoso fondato su riciclaggio e riduzione.

Una mostruosa quantità di rifiuti finisce in discarica e in parte bruciata in impianti dal nome fuoriviante di termovalorizzatori, che convertono l’inquinamento del suolo in inquinamento dell’aria.

Altro grosso problema è quello della ecomafia che porta ad una smaltimento ancora più inconsapevole e senza scrupoli dei rifiuti in innumerevoli discariche abusive sparse in tutto il territorio. Il mercato che viene alimentato è enorme, ma il danno incalcolabile all’ambiente è difficile da sopportare.

Abbiamo notato che alcune leggi attuate sinora sono pressoché inutili in quanto basano sul punire più che sul prevenire: un’azienda che si vede tassata a livelli elevatissimi per l’inquinamento prodotto, valuterà di esportare i suoi impianti di produzione in altri paesi dove non paga queste tasse.

LO SVILUPPO (E I LIMITI) DELLA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Pur con tutti i limiti e le complessità del caso, la raccolta differenziata in Italia ha finalmente preso piede e attualmente supera nel suo complesso il 40%. I dati contenuti nel report “Noi Italia 2015” dell’Istat, riferito all’anno 2013, mostrano come in quell’anno la fetta di rifiuti conferiti in discarica fosse pari al 36,9% e sia stato avviato a raccolta differenziata ben il 42,3% dei rifiuti urbani, 2,3 punti percentuali in più rispetto al 2012.

Il paradosso da questo punto di vista è che nonostante il nostro paese sia uno dei grandi produttori di macchine per l’industria meccanica, tessile o alimentare, nei settori del riciclo dei rifiuti urbani continua ad essere dipendente da tecnologie Norvegesi e tedesche. Si potrebbe ripartire proprio da qui per rilanciare il sistema di gestione dei rifiuti e farne un pezzo trainante dell’economia, dell’industria, dell’innovazione: dalle capacità, dalle tecnologie, dalle migliori pratiche già in campo, dalle imprese che sono già in prima linea a livello internazionale.

Al tempo stesso, nel progettare sistemi e tecnologie di differenziazione e riciclo dei rifiuti è importante tenere a mente che l’orizzonte verso il quale muoviamo è quello della riduzione dei rifiuti fino alla loro scomparsa dal nostro sistema. Infatti la raccolta differenziata (anche quella porta a porta) da sola non è sostenibile se non è inquadrata in un processo di riduzione/scomparsa dei rifiuti. Considerare questo aspetto è fondamentale, altrimenti il rischio è quello progettare sistemi che hanno bisogno di un afflusso costante di rifiuti per funzionare e che quindi ne alimenteranno la produzione invece di diminuirla.

IL MODELLO CIRCOLARE “RIFIUTI ZERO”

Uno dei modelli più conosciuti quando si parla di gestione dei rifiuti è quello conosciuto come “Zero Waste”, rifiuti zero, ideato da Paul Connett. Questo modello parte dalle considerazioni che abbiamo fatto in apertura: nell’ultimo secolo il modello dei rifiuti e dei cicli produttivi (e più in generale quello relativo alla gestione delle risorse) è stato quello lineare: estrazione di materie prime dalla natura, produzione di oggetti, consumo, rifiuti.  Il sistema così costruito ha degli intoppi evidenti perché si trova a funzionare su un pianeta dalle risorse finite e nel tempo ha provocato danni evidenti, fra cui inquinamento e disoccupazione.

Per rispondere all’esigenza di una inversione di tendenza, il chimico americano Paul Connett, ha ideato un modello di gestione Circolare, basato su 10 passi che partono dall’osservazione che la natura stessa è ciclica: basti pensare al ciclo dell’acqua, il ciclo dell’azoto o a quello del carbonio, dove ogni anello è risorsa dell’altro. Questo modello è chiamato Rifiuti Zero (Zero Waste).

I 10 passi sono:

  1. Separazione alla fonte: ciò che normalmente chiamiamo raccolta differenziata. Tale passaggio risponde al concetto per cui il problema non è tecnologico, ma organizzativo; così diventa fondamentale il coinvolgimento della comunità.
  2. Raccolta porta a porta: sembra l’unico sistema efficace di raccolta per raggiungere in poco tempo e su larga scala percentuali superiori al 70%;
  3. Compostaggio: questo passo deve essere previsto in aree rurali, vicine al luogo di utilizzo da parte degli agricoltori;
  4. Riciclaggio: realizzazione di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali, finalizzato al reinserimento nella filiera produttiva;
  5. Riduzione dei rifiuti: diffusione del compostaggio domestico, sostituzione delle stoviglie e bottiglie in plastica, utilizzo dell’acqua del rubinetto (più sana e controllata di quella in bottiglia), utilizzo dei pannolini lavabili, acquisto alla spina di latte, bevande, detergenti, prodotti alimentari, sostituzione degli shoppers in plastica con sporte riutilizzabili;
  6. Riuso e riparazione: realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli, mobili, vestiti, infissi, sanitari, elettrodomestici, vengono riparati, riutilizzati e venduti. Questa tipologia di materiali, che costituisce circa il 3% del totale degli scarti, riveste però un grande valore economico, che può arricchire le imprese locali, con un’ottima resa occupazionale dimostrata da molte esperienze in Nord America e in Australia;
  7. Tariffazione puntuale: introduzione di sistemi di tariffazione che facciano pagare le utenze sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili da raccogliere. Questo meccanismo premia il comportamento virtuoso dei cittadini e li incoraggia ad acquisti più consapevoli;
  8. Recupero dei rifiuti: realizzazione di un impianto di recupero e selezione dei rifiuti, in modo da recuperare altri materiali riciclabili sfuggiti alla RD, impedire che rifiuti tossici possano essere inviati nella discarica pubblica transitoria e stabilizzare la frazione organica residua;
  9. Centro di ricerca e riprogettazione: chiusura del ciclo e analisi del residuo a valle di RD, recupero, riutilizzo, riparazione, riciclaggio, finalizzata alla riprogettazione industriale degli oggetti non riciclabili, e alla fornitura di un feedback alle imprese (realizzando la Responsabilità Estesa del Produttore) e alla promozione di buone pratiche di acquisto, produzione e consumo;
  10. Azzeramento rifiuti: raggiungimento entro il 2020 dell’ azzeramento dei rifiuti, ricordando che la strategia Rifiuti Zero si situa oltre il riciclaggio. In questo modo Rifiuti Zero, innescato dal “trampolino” del porta a porta, diviene a sua volta “trampolino” per un vasto percorso di sostenibilità, che in modo concreto ci permette di mettere a segno scelte a difesa del pianeta.

Questo modello in Italia ha attecchito molto bene: basti pensare che l’Italiano Rossano Ercolini nel 2013 è stato premiato con il Goldman Enviromental Prize a San Francisco (sorta di premio Nobel per l’ambiente). Questo grazie al grande fermento che si è creato oggi in italia intorno alla rete nazionale Rifiuti Zero.

Siamo precursori nell’introduzione del divieto di commercializzare le buste per la spesa monouso, e campioni europei nel riciclo industriale: in Italia infatti si è raggiunto il più alto valore nel recupero di rifiuti industriali. Il settore del recupero dei materiali in senso stretto ha performance brillanti e cresce a ritimi incredibili.

CICLI PRODUTTIVI

Come più volte affermato all’interno di questo documento, è impossibile intervenire in maniera isolata sul tema dei rifiuti senza tirare in ballo il modo in cui vengono prodotti e confezionati gli oggetti (e non solo). Ragionare in un’ottica di sparizione dei rifiuti significa anche rivedere profondamente il sistema di produzione che abbiamo costruito nei secoli.

Ad oggi nel mondo il sistema produttivo è funzionale ad un sistema economico lineare di mercato, in cui i processi di produzione, consumo e smaltimento dei prodotti sono in mano a soggetti diversi e scollegati fra loro. Ciò comporta che da un lato chi progetta e realizza i prodotti non è interessato alle modalità del loro smaltimento. Anzi è spinto dal mercato a progettare prodotti “fragili”, con una durata limitata nel tempo, o con un tasso di invecchiamento molto rapido (è il caso dei prodotti tecnologici) in modo da non saturare mai la domanda e incentivare i consumi (fenomeno conosciuto come obsolescenza programmata). Dall’altro che, come abbiamo già visto, chi smaltisce i rifiuti non ha interesse a ridurne la quantità perché il suo business ne risentirebbe.

Il sistema produttivo inoltre è drogato dalla onnipresenza della plastica, scarto di lavorazione del petrolio che ha rimpiazzato una varietà enorme di materiali. Il petrolio infatti (così come altri combustibili fossili), nel processo di raffinazione e lavorazione produce alcuni scarti che, opportunamente lavorati, possono essere utilizzati come materiale per produrre oggetti. L’abbondanza di petrolio ha portato ad un’abbondanza di queste materie plastiche molto economiche che dunque hanno preso il sopravvento nei mercati produttivi.

Nel mezzo fra chi produce e chi smaltisce ci sono coloro che “consumano”, i consumatori appunto. Essi giocano un ruolo fondamentale in quanto sono in grado di condizionare con le loro scelte l’andamento dei due cicli di produzione e smaltimento. Nell’ultimo decennio, complici anche le emergenze ambientali sempre più visibili e pressanti, l’attenzione dei consumatori verso queste tematiche è cresciuta molto e si sono sviluppate decine di soluzioni. Alcune di queste passano attraverso la reintroduzione di materie prime differenti, come la canapa. Altre dalla messa in discussione dei cicli produttivi e dall’introduzione di nuove variabili come lo smart packaging, l’autoproduzione e la produzione diffusa (complice anche la diffusione di tecnologie come quella che permette la stampa 3D). Qua sotto approfondiremo alcune di queste soluzioni.

NUOVI MATERIALI: LA CANAPA

Prima dell’avvento della plastica l’Italia era la seconda produttrice mondiale di questa preziosissima pianta che dà la possibilità di avere prodotti per il tessile, per il settore alimentare, per il settore della bioedilizia per citarne solo alcuni, senza considerare i benefici agronomici che questa pianta ha sul terreno. La canapa fino agli anni 50’ era trainante per l’economia italiana con una superficie coltivata di 80.000 ettari, soprattutto dedicati alla fibra per il tessile; poi, in seguito ad un fenomeno di demonizzazione nato negli Stati Uniti, ne è stata definitivamente bandita la coltivazione, nel mondo ed anche in Italia.

Ora, dal 1997, grazie a una legge della comunità europea per cui si può liberamente coltivare, il settore è ripartito, inizialmente con molta calma e dal 2013 in poi andando incontro ad una crescita a dir poco incredibile. Nel novembre 2016 il parlamento ha approvato una legge sulla canapa industriale che introduce importanti novità: 1) non è più necessaria alcuna autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di THC al massimo dello 0,2%; 2) gli unici obblighi per il coltivatore sono quello di conservare i cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a dodici mesi e di conservare le fatture di acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente; 3) la percentuale di THC. 4) sono previsti finanziamenti nell’ordine massimo di 700mila euro l’anno “per favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa”.

Oggi la canapa si usa per mille scopi industriali ma il settore tessile non si è ancora ripreso: è molto difficile infatti essere competitivi con la produzione cinese e dell’estremo oriente che riempie i nostri mercati a prezzi ad oggi irraggiungibili.

Con la canapa si possono preparare materie prime per l’edilizia (calce e canapa), per la zootecnia (lettiere), per l’agricoltura (pacciamature); con la parte legnosa della pianta (canapulo) e con la fibra viene prodotta materia prima per il settore cartario (la fibra di canapa contiene l’83% di cellulosa), automotive, bioplastiche (utili anche per le stampanti 3D come vedremo sotto), pannelli isolanti e fonoassorbenti per l’edilizia, imbottiture e tessitura artigianale.

La canapa è una pianta che osserva in pieno la biodiversità, non necessita di acqua, di diserbanti, di chimica in nessun modo, ristruttura i terreni, è ottima in rotazione con le altre specie vegetali, pulisce e disinquina i terreni; ogni sua parte serve per fare prodotto.

Nonostante questo è difficile convincere gli agricoltori a cambiare mentalità, fortemente legata ad una agricoltura tradizionale che non fa loro vendere o avere guadagni.

Oggi in Italia c’è una sempre più nutrita rete di agricoltori che stanno rimettendo in campo questa stupefacente pianta anche se ancora la filiera industriale è tutta da costruire. Anche in questo caso enormi sono le potenzialità sia in termini di posti di lavoro che di potenzialità scientifiche. Ad esempio, attraverso lo sviluppo della chimica verde, è possibile ottenere prodotti derivati dalla canapa che un tempo non erano tecnologicamente realizzabili.

I FABLAB: NUOVI ARTIGIANI DIGITALI

In un contesto di grande cambiamento e di fermento non solo Nazionale, i Fab Lab sono certamente un tassello molto importante per quel che riguarda un nuovo modo di produrre oggetti. E’ difficile ad oggi definire cosa sia un Fab Lab in quanto il potenziale che ci sta dentro è ancora tutto da scoprire.

Il concetto è stato sviluppato nel MIT presso il Center for Bits and Atoms, e non nel gruppo di ricerca High-Low Tech e definisce un innovativo spazio per la sperimentazione sull’incontro tra bit e atomi, tra informazione e materia. Un FabLab mette a disposizione spazio, strumenti, processi e conoscenze per lo sviluppo di rappresentazioni fisiche di dati digitali, e la elaborazione di dati digitali da contesti fisici e reali.

Ogni FabLab fa parte di due comunità: quella locale dei propri utenti e quella globale della rete di tutti i FabLab. Da un lato, un FabLab costruisce una comunità locale di persone interessate alla fabbricazione digitale con molti obiettivi differenti, facilitando la collaborazione fra di loro e fra loro e le persone che lavorano nel FabLab. Dall’altro lato, c’é sempre uno scambio di informazioni e collaborazione tra tutti i FabLab.

Grande aiuto a questo nuovo modo di rappresentare i dati virtuali in dati reali lo ha certamente dato la stampante 3D che riesce a trasformare un disegno virtuale in 3D in un vero e proprio oggetto. Questo, nell’ottica del Riuso può certamente avere uno sviluppo enorme. Basti pensare al fatto che molti pezzi di ricambio che potrebbero essere sostituiti e che spesso l’industria non produce per i costi troppo elevati costringendo a le persone a sostituire tutto l’elettrodomestico potrebbero essere realizzati da queste piccole fabbriche che tornerebbero a far rivivere le piccole botteghe artigiane.

Interessante è anche lo sviluppo che sta prendendo sempre più piede eseguire le stampe utilizzando plastiche vegetali. Interessanti sono i brevetti sulle plastiche in canapa che sfruttano un processo industriale che utilizza come materia prima il canapulo prodotto dalla canapa.

Con l’avvento dei fab lab molti cicli produttivi sono radicalmente cambiati, incidendo anche sull’idea di azienda e cambiando quelle che sembravano essere delle basi inamovibili per creare un business.

Fondamentale è l’avvento dell’era digitale che ha la stampante 3D e i makers come protagonisti.

Grazie alle digital fabrication le merci possono viaggiare alla velocità della luce direttamente dentro le nostre caselle di posta elettronica, eliminando il tradizionale trasporto merci che causa inquinamento; nessun magazzino, nessuna logistica, si produce dove e quando serve, e solo quello che serve, aprendo la strada a cicli produttivi che possono operare nel pieno rispetto dell’ambiente e possono trattare direttamente materie prime provenienti da riciclo.

All’interno dei Fab Lab in altre parole qualsiasi persona ha la possibilità di accedere ad una fabbrica in cui trova esperti pronti a dare supporto e in cui un‘idea si trasforma in prodotto ad una velocità mai vista prima e con costi irrisori.

Si attua inoltre una vera e propria lotta all’obsolescneza: sia realizzando nuovi prodotti che durano nel tempo, sia costruendo un database di pezzi di ricambio e offrendo il servizio di stampa ai cittadini e/o riparatori di settore.


VISIONE 2040

Nel 2040 gli effetti del sistema attuale sull’ambiente saranno ormai evidenti e il riscaldamento globale farà sentire i suoi effetti su tutto il pianeta. In Italia e nel mondo però si saranno verificati una serie di cambiamenti sistemici volti a mitigare tali effetti e a far sì che questi svaniscano nel tempo. I sistemi di produzione e la gestione dei rifiuti saranno state fra le prime cose ad essere modificate.

I rifiuti quasi non esisteranno più. La stragrande maggioranza dei prodotti sarà progettata per durare nel tempo, e per essere facile da riparare. Grazie alla diffusione dei fablab sarà possibile creare nel proprio quartiere i pezzi di ricambio per aggiustare oggetti ed elettrodomestici. Inoltre con lo sviluppo dei modelli di economia circolare i materiali di scarto di un sistema produttivo saranno le materie prime di un’altra e così via, riducendo al minimo l’estrazione e l’utilizzo di nuovi materiali dal sottosuolo.

L’Italia sarà all’avanguardia delle buone pratiche, dimostrando, con un gran movimento dal basso, di non essere marginale né periferica. Saranno stati applicati i principi normativi del testo unico ambientale, seguendo la strada della riduzione a monte nella produzione dei rifiuti e facendo sì che tutto diventi risorsa.

LA (QUASI) SCOMPARSA DEI RIFIUTI

Nel mondo della gestione dei rifiuti, in linea con le direttive europee già oggi in atto, la strategia rifiuti zero avrà introdotto una vera rivoluzione. Con una diminuzione dei rifiuti avviati in discarica (ridotti ad un terzo, dal 38% al 12% del totale), col raddoppiamento della raccolta differenziata (dal 43% all’82%), col rifiuto urbano residuo indifferenziato che si ridurrà ad un terzo (dal 57% al 18%), e l’incenerimento più che dimezzato (dal 17% al 7%).

Questa rivoluzione cambierà, ovviamente, anche la dotazione impiantistica: drastica riduzione delle discariche e degli inceneritori e forte aumento di impianti di compostaggio e digestione anaerobica. Sarà raddoppiato, inoltre, il fabbisogno di impianti di preparazione al riciclo per imballaggi, rifiuti tessili, prodotti di arredo, pannolini, terre di spazzamento e Raee.

In campo ci sono non solo vantaggi ambientali – minor consumo di risorse, minor consumo di territorio, minori emissioni: il nuovo sistema di gestione dei rifiuti potrà evitare emissioni climalteranti per quasi 19 milioni di tonnellate di CO2, più del 4% delle emissioni nazionali – ma anche rilevanti vantaggi economici, soprattutto in un Paese già dotato della più forte industria manifatturiera del riciclo d’Europa.

L’IMPATTO SU ECONOMIA E OCCUPAZIONE

In termini di contenimento dei costi complessivi dei servizi di gestione dei rifiuti, attivazione di nuove imprese, generazione di occupazione. La capacità industriale di preparazione al riciclo raddoppierebbe da 12 milioni di tonnellate attuali a 24 milioni di tonnellate, il recupero di materia nei processi industriali passerebbe dall’attuale 24% dei rifiuti al 48,5%, il recupero per usi agronomici dal 13% al 30%, mentre il recupero per usi energetici dal 19% attuale scenderebbe al 14%, privilegiando soluzioni meno inquinanti e più innovative. Una rivoluzione che porta con sé nuove imprese, e nuova occupazione.

Nel ciclo di gestione dei rifiuti si avrebbero circa 22.000 occupati in più (+37%), per effetto di una forte crescita nei settori a più alta intensità di lavoro, in particolare nella raccolta (+17.000 unità) e preparazione al riciclo (+9.000), mentre si ridurrebbe l’occupazione nella gestione degli impianti di smaltimento (-3.800 unità). Nel settore del riutilizzo si genererebbero fino a 10.500 nuovi occupati (solo in parte sostitutivi di occupazione esistente). Lo sviluppo del riciclo determinerebbe una crescita di 12.000 occupati rispetto alla situazione attuale. Il valore della produzione nell’industria di preparazione passerebbe da 1,6 miliardi attuali a 2,9 miliardi. Difficile stimare, invece, le conseguenze occupazionali ed economiche nella manifattura, che dal nostro scenario circolare potrebbe ricevere una leva potente. Nel complesso, questa transizione verso un nuovo paradigma – di gestione dei rifiuti e, insieme, manifatturiero – porterebbe i costi legati ai servizi di gestione dei rifiuti urbani giù del 20% circa (meno oneri per i cittadini, insomma).

Si tratta di stime, fatte quasi sempre al ribasso, che, al di là dei decimali, descrivono uno scenario in cui l’ambiente, l’efficienza, l’innovazione, la qualità e la competitività saranno tornati protagonisti. Uno scenario in virtù del quale il Paese avrà rafforzato il proprio protagonismo manifatturiero, e conquistato posizioni su terreni di frontiera, come le tecnologie innovative al servizio del riciclo, e la produzione di materie prime seconde di qualità (soprattutto quelle più scarse, come le terre rare e alcuni metalli). Parlando di rifiuti, insomma, parliamo del futuro – un futuro migliore – per il Paese.

base di gran parte della comunicazione.

L’informazione contribuirà allo sviluppo di una coscienza critica collettiva. La “paura indotta” dai media sarà stata eliminata.

CONSAPEVOLEZZA

Queste misure ovviamente non accadranno in un contesto isolato e frammentato ma faranno parte di un cambiamento sistemico complessivo, che attraverserà tutti i campi della vita umana e si muoverà attraverso tutti gli agenti: cittadini, politici e imprenditori.

Saranno svanite le resistenze dovute ai costi maggiori di gestione, e sarà diffusa un’ottica ad ampio raggio e a lungo termine, grazie ad un profondo cambiamento culturale e di mentalità.

I cittadini saranno più consapevoli; l’industria dovrà rispondere ad un nuovo tipo di richiesta di mercarto, che non mirerà più solo a prezzi bassi, ma guarderà nel dettaglio i prodotti, tenendo conto di tutto il ciclo produttivo, raggiungendo il massimo grado dell’espressione del consumo critico.

Nel 2040 si sarà sviluppata la consapevolezza che la tecnologia può essere impiegata per rendere l’ambiente e la vita migliori. I nuovi prodotti verranno così pensati e realizzati sulla base di una vera “economia” in cui non si sprecano le risorse, ma si utilizzano le tecnologie per ottimizzare quelle esistenti.

Con il passare del tempo si attingerà alle vecchie discariche come fossero miniere, nuove tecniche di recupero dei materiali verranno passate al vaglio e approvate e anche la bonifica dei territorio creerà nuovi posti di lavoro. La discarica cesserà di essere un “reattore biologico”, per diventare finalmente un “deposito minerale”: solo per scarti di trattamento e rifiuti stabilizzati o mineralizzati.

Nel complesso il 2040 sarà un’epoca in cui la transizione verso un mondo al cento per cento sostenibile non sarà ancora del tutto compiuta, ma già se ne vedranno gli effetti sulla struttura sociale, la cultura e l’economia del nostro Paese e dell’intero Pianeta.

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RIFERIMENTI

BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA

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“Il Tyrrhenian Link è l’ultimo tentativo di colonizzare l’Isola, poi non resterà più niente”

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Ponte sullo Stretto, dubbi e anomalie di un progetto senza fine

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