18 Nov 2016

Da scarto a risorsa: chi sono gli imprenditori dell'Economia Circolare?

Si sta diffondendo anche in Italia un nuovo modello economico che fa dello scarto la materia prima per la produzione di nuovo valore, vantaggi nel sociale e nuovi posti di lavoro. La Fiera delle Idee, ospitata dalla manifestazione culturale Novo Modo, è stata l'occasione per conoscere alcuni imprenditori virtuosi rappresentativi della cosiddetta Economia circolare.

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In un’epoca in cui le risorse sono diventate scarsissime e parlare di utilizzo massiccio di materie prime diventa quasi anacronistico, l’Economia Circolare risveglia in noi la voglia di cambiare le cose, secondo un nuovo paradigma in cui il rifiuto in quanto tale non esiste più ed i processi produttivi utilizzano solo materie prime seconde realizzate a partire da scarti di altre filiere.

Se l’impianto teorico è già affascinante di per sé, poter incontrare di persona chi questo tipo di economia la sta portando avanti ogni giorno è semplicemente emozionante e ci dà la misura di quanto questa scelta coraggiosa e lungimirante sia indispensabile per il futuro del nostro pianeta.

Grazie all’ospitalità di Novo Modo 2016 ed al supporto di FIRST Toscana, nasce la Fiera delle Idee, “una fucina di belle intelligenze che stanno scommettendo sulla propria intuizione”, come la definisce Giovanni Gheri, libraio di LibriLiberi, ideatore dell’iniziativa insieme ad Antonio Di Giovanni, cofondatore di Funghi Espresso, una tre giorni incentrata sul toccare con mano cosa significa fare Economia Circolare oggi.

Da sinistra: Stefano Secci, Antonio Caruso, Giulia Sala, Maria Leo, Giovanni Gheri, Marco Calcaprina, Antonio Di Giovanni, Vincenzo Sangiovanni, Irene Ivoi, Antonio Gagliardi, Giovanni Milazzo e Rachele Invernizzi con la mascotte Nini

Da sinistra: Stefano Secci, Antonio Caruso, Giulia Sala, Maria Leo, Giovanni Gheri, Marco Calcaprina, Antonio Di Giovanni, Vincenzo Sangiovanni, Irene Ivoi, Antonio Gagliardi, Giovanni Milazzo e Rachele Invernizzi con la mascotte Nini

“La Bioeconomia, definita il cuore biologico dell’Economia Circolare, conta per il 7,9% del nostro PIL nazionale, con un valore che oggi in Europa si aggira intorno ai 20.000 miliardi di euro stimati” ricorda Irene Ivoi, moderatrice della tavola rotonda che da molti anni si occupa del tema dell’economia circolare da un punto di vista del design di prodotto. Si capisce quindi che non stiamo parlando di realtà secondarie, ma di numeri che hanno le potenzialità per cambiare le carte in tavola.

I volti dell’Economia Circolare

“La buccia vale più del succo”, esordisce Adriana Santanocito cofondatrice insieme a Enrica Arena di Orange Fiber, start-up siciliana che crea filati a partire dagli scarti di spremitura delle arance, il cosiddetto “pastazzo”. Consapevoli che la moda è il secondo settore più inquinante al mondo, le due giovani imprenditrici hanno sperimentato un tipo di produzione che riduca questo impatto, utilizzando come materia prima per produrre i loro tessuti quello che veniva considerato solo rifiuto: il sottoprodotto dell’industria agrumicola rappresenta infatti un problema per le aziende di spremitura, che solo in Italia generano ogni anni 700.000 tonnellate di pastazzo da smaltire a caro prezzo.

“Il pastazzo d’agrumi potrebbe essere usato non solo nel tessile, ma trasformato per ottenere oggetti di uso comune, sostituendo materie prime che provengono dall’industria del petrolio”, dice Giovanni Milazzo, cofondatore insieme ad Antonio Caruso di Kanèsis. Questi due giovani catanesi studiano da anni i polimeri provenienti da materiali vegetali e affermano senza paura che tutte le materie prime si possono ricavare dagli scarti.

L’idea che sta alla base di Kanésis è quindi quella di rimpiazzare la plastica con biocompositi e alla Fiera delle Idee ci mostrano un primo prodotto sviluppato dalla canapa sotto forma di filamento per stampanti 3d, utilizzandolo sotto i nostri occhi grazie all’aiuto di Fab Lab, associazione culturale che supporta le intuizioni di giovani imprenditori attraverso la realizzazione di prototipi.

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A ricordarci l’importanza della produzione di biomasse organiche ed il conseguente impatto positivo che questo settore potrebbe generare su occupazione e gestione del territorio rurale, è Rachele Invernizzi, responsabile di South Hemp Tecno, impianto di prima trasformazione della paglia di canapa nato due anni fa a Crispiano, Taranto. “Se non ci fossero stati impianti di prima trasformazione, in Puglia non si iniziava davvero a coltivare canapa industriale in modo massiccio”, dice Rachele, sottolineando che “la canapa industriale è il futuro dell’economia ed è una grandissima opportunità sia per l’agricoltura che per tutti i reparti industriali”.

La paglia di canapa, considerata scarto della coltivazione di canapa industriale, rappresenta invece una materia prima seconda di grande qualità che ha tantissimi utilizzi in svariati ambiti, dalla carta, alle bioplastiche, ai pannelli per l’isolamento in edilizia, per citare solo alcuni esempi, rappresentando una risorsa preziosissima.

Sulla valorizzazione dello scarto organico in agricoltura lavora anche il CLT – Centro di Lombricoltura Toscano, con sede in provincia di Pisa, che ha incentrato la sua attività sull’idea di chiudere il ciclo dei rifiuti delle aziende agricole, contribuendo alla rigenerazione dei terreni agricoli. Marco Calcaprina, uno dei tre soci fondatori, spiega come l’azienda toscana ha improntato un sistema che utilizza l’azione dei lombrichi per trasformare lo scarto in fertile humus, che viene poi commercializzato in agricoltura e giardinaggio urbano, chiudendo così il ciclo produttivo.

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Nell’ottica di ottimizzare le risorse esistenti ed intercettare lo scarto prima che diventi rifiuto si muove Funghi Espresso, start-up fondata nel 2013 da Antonio Di Giovanni e Vincenzo Sangiovanni. A partire da uno studio realizzato con il Centro Ricerche Rifiuti Zero del Comune di Capannori su come valorizzare il fondo di caffè in agricoltura, Funghi Espresso ha creato un modello produttivo che recupera lo scarto dei bar utilizzandolo come substrato di crescita di funghi che sfruttano le sostanze nutritive in esso contenute per il loro metabolismo. “Vogliamo dimostrare che da uno scarto che viene buttato via si può creare valore”, dice Antonio, “reimmettendo sul mercato un prodotto dalle alte proprietà nutritive”. Un’impresa virtuosa che opera all’interno della città, utilizzando proprio gli scarti che la città stessa produce, in un ottica di urban farming.

“Quali possono essere le soluzioni per coltivare cibo dove non si può utilizzare il suolo perché inquinato?”. È la domanda che si pone Stefano Secci, agronomo fiorentino che insieme a Leonardo Boganini, Chiara Casazza, Alessandra Carta, e Giulia Sala, hanno presentato alla Fiera delle Idee il loro progetto di Modular City Farm, un sistema per produrre cibo negli spazi residuali della città. Unendo competenze inerenti l’architettura, il design, l’agronomia e grazie alla collaborazione con l’azienda Cammelli, hanno sviluppato un’idea di agricoltura urbana che operi attraverso sistemi modulari idroponici, in cui l’acqua sostituisce la terra come substrato di crescita delle piante. La sfida è quella di utilizzare un sistema di produzione intensivo in ambito cittadino o addirittura domestico, nonché quella di ripensare il recupero di acque piovane su larga scala da convogliare in un tipo di coltivazione come questa.

Il terreno coltivabile ancora presente nella prima periferia delle nostre città rappresenta a sua volta una risorsa da tutelare. Maria Leo ci presenta Orto x mille, associazione nata circa un anno fa con lo scopo di recuperare terreni incolti ed abbandonati per insegnare alle famiglie a coltivarli in modo naturale, creando piccoli orti familiari. L’associazione di Maria, attraverso il progetto “Adotta il contadino” attivo a Scandicci, è riuscita a rimettere in moto una rete di piccoli agricoltori che aiutano le famiglie nella realizzazione di un orto sinergico. In questo modo le conoscenze vengono tramandate, non vanno perse e le famiglie riscoprono il valore di coltivare da soli il proprio cibo.

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Il tema del futuro del cibo riveste infatti un’importanza enorme e si lega indissolubilmente con l’Economia Circolare. “Qualcuno deve parlare di Economia Circolare e cibo, fare educazione in tal senso!”, afferma Antonio Gagliardi, ricercatore del Future Food Institute di Bologna, il cui obiettivo è creare un impatto sulla società riguardo ai temi del futuro del cibo, sia attraverso il settore educativo che tramite l’innovazione d’impresa, aiutando le start-up a crescere e lavorare sinergicamente con le aziende che possono finanziarle. A Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, stanno realizzando una Future Farm, un progetto pilota per chiudere in 60 ettari il concetto di Economia Circolare.

Gli ostacoli, la sfida e uno sguardo al futuro

Tutte queste realtà hanno il grande merito di provare coraggiosamente a cambiare le cose, dimostrando che si può fare economia e creare prodotti di qualità anche senza razziare le risorse del pianeta. Gli ostacoli che incontrano ogni giorno sono la misura di quanto questo percorso sia difficile e della determinazione che hanno nel perseguire i loro progetti.

“La difficoltà più grande è stata ed è ancora quella di ottimizzare il processo”, dice Adriana Santanocito di Orange Fiber, “passando da un prodotto artigianale ad un processo su scala industriale”. Per fare questo ci vogliono soldi, investimenti e competenze.

“Ci muoviamo a tentoni nel buio”, afferma Antonio Di Giovanni di Funghi Espresso, “in un limbo normativo che ci rende difficile ogni passo, totalmente privi di punti di riferimento certi”. Non esiste infatti ad oggi una legislatura definita in merito al recupero degli scarti.

“Lo sforzo normativo a livello europeo deve indirizzarsi verso leggi che obblighino grandi settori, come ad esempio quello dell’auto, ad utilizzare percentuali fisse minime di biocompositi nei loro prodotti, aprendo così vaste aree di mercato che incentivino lo sviluppo del settore e della ricerca”, sostiene Antonio Caruso di Kanèsis.

I prodotti che questi imprenditori propongono vanno a toccare ambiti commerciali dove la competizione è fortissima e ogni fetta di mercato viene difesa strenuamente dalle grandi lobby, poco inclini a modificare i loro modelli produttivi e sensibili alle crescenti critiche che gli vengono mosse dal progressivo risveglio di una coscienza ambientale collettiva. Un panorama ostile, dove “si deve lottare contro interessi enormi, non si può mollare”, afferma Rachele Invernizzi di South Hemp Tecno.

Per questo serve unirsi. “Fare rete e cooperazione è il futuro, dobbiamo avere qualcuno che ci rappresenti nel dialogo con le istituzioni politiche italiane, ma anche con la Comunità Europea”, sottolinea Rachele Invernizzi, vicepresidente di Federcanapa – Federazione italiana canapa che da quest’anno unisce tutte le figure del settore, produttori, trasformatori e commercio. La rete permette di sviluppare sinergie, per attraversare questo momento di transizione.

La Fiera delle Idee di fine ottobre è stata un’occasione per riunire a Firenze gli imprenditori che in Italia stanno facendo innovazione a partire dagli scarti. Ecco il video con le interviste realizzate da Alessia Macchi e Marco Orazzini, Agenti del Cambiamento, durante l’evento.

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