Visione 2040 Disabilità

“Le barriere culturali e fisiche che impedivano una completa integrazione delle persone disabili non esistono più. La disabilità non è più vissuta come un problema o un elemento discriminante, ma come una caratteristica distintiva del’individuo.”


Hanno contribuito: Eleonora Lazzaro – Cooperativa Lindbergh | Pietro Scidurlo – Free Wheels |Luciana Pasetto – Arcipelago Sagarote |Alessia Biagini e Massimo Rosoni – Art4Sport Ha facilitato: Giulia Rosoni


SITUAZIONE ATTUALE

Affermava Giuseppe Pontiggia in un celebre aforisma: “Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde ‘razza umana’, non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. È questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza”. E’ compito difficile fornire un quadro attuale di quello che è il nostro Paese nei confronti della disabilità, ma di certo le maggiori criticità riguardano i campi della Sanità, Educazione, Autonomia e Lavoro, Affettività e Sessualità, Sport, Istruzione e Integrazione Sociale, Mobilità. Qui di seguito cercheremo di analizzarli meglio, consci del fatto che in Italia la cultura della disabilità è ancora indietro, cosa che comporta conseguenze dirette in ogni ambito.

SANITA’

In ambito sanitario permane forte, in Italia, un’ottica assistenzialista: non si danno gli strumenti volti al raggiungimento di una certa autonomia della persona preferendo, in sostituzione, l’inserimento di risorse umane, in quanto meno costose. Anche qualora la risorsa umana sia imprescindibile, la relazione non dovrebbe tendere all’assistenzialismo ma all’empowerment e allo sviluppo dell’autonomia della persona. Inoltre si registra una carenza di sostegno psicologico alle famiglie con figli con disabilità: spesso si verificano casi in cui lo stato non interviene a formare e sostenere le famiglie nella gestione delle problematiche che il figlio con disabilità incontra nel quotidiano.

Altra importante criticità è la burocrazia e le complicate procedure volte all’ottenimento di quello che è un diritto già sancito. Anche questo può dipendere da una non conoscenza di ciò che significa affrontare e portare a termine certi iter per una persona con disabilità. Manca una formazione specifica nei professionisti per far sì che si eviti il pregiudizio: capita spesso che problematiche medico-psicologiche siano trattate come dirette conseguenze della disabilità, atteggiamento questo che rischia di rendere meno approfonditi i controlli necessari; va specificato inoltre che  per alcuni tipi di disabilità ci sono patologie correlate (comorbilita’) alla disabilità stessa. In altre parole, è fondamentale evitare di etichettare con una formula medica e riuscire a guardare alla persona nella sua interezza. Per questo e’ necessario che i professionisti non cadano nella logica del pregiudizio.

Discorso a parte merita il fenomeno dei falsi invalidi: accade che le commissioni preposte a certificare l’invalidità accertino disabilità inesistenti togliendo risorse statali a chi invece ne ha bisogno. Tuttavia attualmente risulta difficile reperire dati validi riguardo l’entità del fenomeno, che conseguentemente distorce anche il dato sulla disabilità.

EDUCAZIONE

Manca oggi nelle persone un’idea chiara di cosa significa convivere con una disabilità; si pensa spesso che il problema sia la barriera architettonica o la difficolta nell’approccio e nella relazione per le disabilità legate alla sfera cognitivo-intellettiva o psichica/psichiatrica, e non quella culturale. Per educare, bisogna far conoscere alle persone questo grande mondo, le cui difficoltà non riguardano solo ed esclusivamente ciò che viene mostrato, ma ciò che ne deriva. Manca la curiosità di conoscere un mondo che in realtà  esiste da sempre, senza etichettarlo. Manca un processo di sensibilizzazione a 360° correlato alle effettive problematiche che una persona con disabilità deve affrontare nella quotidianità, senza comprendere che la disabilità oggi può essere vista e vissuta come opportunità. Esistono chiari esempi di come una persona diversamente abile.

La disabilità o l’handicap si struttura nell’incontro con la società;  così sono disabile o handicappato e la società, se è civile, deve comprendermi al suo interno e permettermi massima autonomia possibile.

L’educazione parte dal nucleo familiare: è fondamentale che la famiglia, di fronte alla nascita di un figlio con disabilità, sia in grado di agire e reagire in modo propositivo ed accogliente. La famiglia è il primo esempio di accoglienza in assoluto che una persona con difficoltà ha. Tutto parte da qui. Se la famiglia non accoglie, come possiamo pensare che lo faccia la società? Oggi anche a causa di questo il 93 % delle persone con disabilità vive in famiglia.

AUTONOMIA E LAVORO

Attualmente gli imprenditori tendono a non assumere persone con disabilità (anche con professionalità) in quanto non esiste un corretto ed efficace sistema di orientamento al lavoro. Questo non permette alla persona disabile di svolgere attività idonee alle proprie competenze e capacità; le attività assegnate alla persona con disabilità sono spesso dequalificanti, o non tengono conto delle effettive capacità. La persona è vista nell’ottica della sua disabilità e non delle sue abilità. Una volta assunta la persona con disabilità, l’imprenditore ha una serie di sgravi fiscali, ma questo non cambia la questione delle assunzioni. È importante però sottolineare che esistono esempi virtuosi (vedi sezione “Esempi virtuosi).

A livello normativo la legge del 12 marzo 1999 n. 68 “Norme sul diritto al lavoro dei disabili” è la disciplina che regola attualmente l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità e rappresenta una profonda innovazione culturale nell’ambito dell’integrazione lavorativa, in quanto ha introdotto una disciplina ispirata al concetto di “collocamento mirato”, consentendo di superare i limiti burocratici e assistenzialistici della precedente normativa (legge n. 482/68). La legge promuove e sostiene l’inserimento individualizzato nel mondo del lavoro delle persone con disabilità in base ad un’analisi delle capacità lavorative del singolo soggetto, delle caratteristiche del posto di lavoro, incoraggiando un’attivazione di azioni positive di sostegno e prevedendo quindi la rimozione dei problemi ambientali e relazionali” (“la disabilità in Italia: quadro della statistica ufficiale” ISTAT, 2009). Secondo l’Istat il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia è del 19,3%, ma il dato risale ad alcuni anni fa. Infatti  secondo l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che opera in collaborazione con il ministero del Welfare e altri enti pubblici, solo il 13 per cento dei disabili ha trovato un impiego attraverso gli uffici di collocamento. Gli avviamenti al lavoro nel 2007 sono stati circa 31mila, le persone disabili iscritte agli uffici di collocamento sono circa 700 mila. È colpa del sistema statale di collocamento? Delle imprese? Per le aziende che non assumono persone con disabilità, la legge prevede sanzioni pecuniarie, che sono però talmente irrisorie  rispetto ai costi di assunzione da non spingere realmente il datore ad assumere; questo avviene anche per una errata visione della persona disabile sul posto di lavoro, che non è ritenuta una reale risorsa capace di produrre guadagno.

In definitiva chi assume una persona disabile, lo fa ancora prevalentemente in un’ottica assistenzialista e caritatevole. Manca inoltre una strutturazione delle buone prassi esistenti che rimangono ad ora delle esperienze personali ma non diventano mai sistema. Si stanno certamente ampliando sul panorama nazionale, ma sono ancora poche.

AFFETTIVITA’ E SESSUALITA’

La sfera affettiva e sessuale ancora oggi è per molti un tabù. Se poi pensiamo ad avvicinarci ad una persona che ha delle problematiche e che queste problematiche possano ripercuotersi su di noi, il tabù diventa ancora più grande. Infatti fino ad alcuni anni fa la dimensione della sessualità era negata alla persona con disabilità; questo si traduceva in strategie e interventi che di fatto impedivano l’espressione dei bisogni psico-sessuali della persona. Queste soluzioni si sono rivelate fallimentari per il fatto di trascurare la promozione del benessere dell’individuo.

Perché accade questo? Perché la sessualità è spesso interpretata come il mero atto sessuale tra due persone e non come il desiderio mentale di due anime. Non solo: mettendosi nei panni del genitore di un/a figli* con un deficit intellettivo, l’idea di accompagnarl* in un percorso di autonomia rispetto alla sfera affettiva/sessuale rappresenta un bel salto nel buio e non sempre si trovano i supporti giusti in questo viaggio emozionante ma spaventoso; è fondamentale inoltre porre il focus  non solo sull’approccio fra persone normodotate e persone con disabilità fisiche, ma anche di emotività, affettività, sessualità fra persone con disabilità cognitiva o psichica o persone con problematiche psichiatriche.

Le cause correlate alle problematiche di tipo sessuale/affettivo sono diverse:

SPORT

Oggi lo sport è senza dubbio una delle chiavi di lettura e di rinascita della vita di ogni persona. Tutavia esistono sport di serie di “Serie A” e sport di “Serie B”. Questo, proiettato nel mondo della disabilità, comporta che uno stesso sport riscuota un’attenzione minore se praticato da persone con disabilità. Ritorniamo pertanto ad una criticità di tipo culturale: manca un approccio egualitario, manca un’eguale visibilità dello sport praticato da persone con disabilità rispetto a quello tradizionale. Inoltre la formazione dei preparatori atletici non è adeguata sotto svariati aspetti, tra cui la conoscenza di base del mondo della disabilità stesso.

ISTRUZIONE E INTEGRAZIONE SOCIALE

Esistono ancora oggi situazioni di strutture scolastiche incapaci di accogliere persone con disabilità a causa della presenza di barriere architettoniche e mentali. Spesso l’amministrazione è caratterizzata da una mentalità reattiva e quasi mai pro-attiva: il “problema” viene preso in considerazione solo nel momento in cui c’è invece di attivarsi preventivamente per poter fornire un egual servizio a tutti. A ciò si aggiunga, nelle strutture scolastiche in special modo dalle elementari in poi, la difficoltà oggettiva data dalla scarsità di fondi (pochi insegnanti con tanti alunni e sempre meno ore per il sostegno) e una mentalita’ prevalentemente assistenzialistica che ancora fatica a promuovere occasioni di autentica integrazione. In questo panorama e’ chiaro che affrontare la problematica significa quasi sempre per le istituzioni aderire ad un approccio di forma: adeguare le strutture, eliminare le barriere architettoniche, ecc, tutte misure necessarie ma non sufficienti per il conseguimento di una reale integrazione.

Le soluzioni solo formali causano spesso – o perlomeno non affrontano – fenomeni di emarginazione sociale che accrescono una mentalità che vede la disabilità sempre più come limite e non come caratteristica distintiva. Esistono chiari esempi di professionisti dell’educazione lasciati soli nell’affrontare situazioni complesse senza una formazione adeguata e in assenza di un’adeguata valutazione diagnostica che dovrebbe essere a cura delle Aziende Sanitarie Locali.

La situazione nelle strutture scolastiche vede sempre meno insegnanti (soprattutto di sostegno) e sempre più alunni. Ciò avviene a discapito della relazione (ambito in cui pochi docenti sono davvero formati) e dei momenti di integrazione delle diversità. La penuria di risorse economiche, poi, aumenta il rischio di affidarsi a figure poco preparate che occupano il tempo-scuola degli alunni con disabilità con attività prive di obiettivi a lungo termine e senza la visione di un’integrazione profonda con i pari o con il tessuto sociale. L’assenza di continuità nella figura dell’insegnante di sostegno conduce inevitabilmente ad un irregolare percorso didattico con il conseguente disagio da parte dell’alunno, che deve ogni volta ricominciare un percorso da zero con il nuovo insegnante.

MOBILITA’

La mobilità per una persona con disabilità è quella libertà di movimento che in un paese come il nostro spesso non viene garantita. Pertanto, laddove i mezzi pubblici possono esser usati solo ed esclusivamente da “normodotati”, una persona con disabilità è praticamente costretta ad affacciarsi a servizi privati che, oltretutto, riservano tariffe diverse a seconda dell’utenza. Manca una politica di pari opportunità sull’uso dei mezzi pubblici. Manca una politica volta all’ottenimento dell’autonomia di una persona con disabilità nel vivere la città, mancano infrastrutture adeguate e sicure ad uso di tutti, manca il rispetto degli spazi riservati a persone con disabilità.


VISIONE 2040

Non abbiamo la pretesa di definire globalmente il mondo della disabilità, ma è importante far riferimento al fatto che la disabilità dipende dall’incontro tra un deficit come dato di fatto e caratteristica personale e le condizioni contestuali.

Più la società permette l’integrazione del deficit al suo interno, più si riduce il grado di disabilità. Per questo riteniamo che la disabilità si delinea e si declina nella quotidianità e nelle sue specifiche, esattamente nel contesto in cui è inserita.

MENO ATTI EROICI, PIU’ QUOTIDIANITA’

Siamo esseri umani diversi e ricchi di potenzialità e quando ci concentriamo sulla quotidianità pensando a come vivere una vita dove le possibilità e le disponibilità di tutti possano diventare concretezza, dobbiamo citare le parole di Prof. Andrea Canevaro. Egli sostiene che la convivenza della diversità non può passare da grandi atti eroici, ma proprio e unicamente attraverso piccole regole di comportamento quotidiano condiviso e rispettato.

Egli racconta di quando, in un parcheggio di un autogrill, fece notare ad un guidatore che aveva impropriamente parcheggiato nella zona riservata ai veicoli per persone disabili; il guidatore in questione lo liquidò dicendo che qualora ci fosse stato un disabile che avesse avuto necessità di parcheggiare, avrebbe potuto parcheggiare in uno degli altri posti liberi e lui stesso lo sarebbe andato a prendere per aiutarlo, portandolo in braccio fin dentro l’autogrill se fosse stato necessario.

Ecco queste non possono essere le basi solide su cui costruire la strada dell’inclusione e dell’integrazione; gli atti eroici e l’assistenzialismo servono solo per auto-incensarsi pensando di essere bravi e disponibili per chi ha bisogno ed è meno fortunato di noi.

UNA CULTURA UNIVERSALE DELLA DISABILITA’

Oggi non esiste purtroppo una cultura universale sulla disabilità. Spesso le persone non comprendono la gravità che recano nell’usurpare un servizio dedicato ad una categoria di persone che hanno indiscutibilmente esigenze e tempi diversi: “Per educare, bisogna informare e condividere”.

Se nella sfera personale ognuno deve porsi quotidianamente in un atteggiamento di ascolto e problematizzazione, anche nell’improntare un metodo che abbia come finalità l’emancipazione da relazioni d’aiuto assistenzialistiche tou cour, deve imprescindibilmente prevedere l’utilizzo dell’ascolto come strategia di approccio alla persona, in ogni sua sfera (relazionale, cognitiva, familiare, psichica, ecc.)

In secondo luogo, è senz’altro buona prassi la capacità di lavorare in rete e sinergia, di tutti gli attori coinvolti su un territorio.

COSA VOGLIAMO

Qualunque tipo di cambiamento in qualunque ambito, non può prescindere dalla modifica di una mentalità che ancora oggi non permette una completa e reale integrazione.

Oggi spesso le persone non conoscono le reali problematiche quotidiane che una persona con disabilità vive:“non bisogna aver paura di ciò che non si conosce, ma far si che il confronto con il nuovo sia spunto di arricchimento”.

L’integrazione vera autentica può avvenire con la frequentazione e il contatto.

Non esiste una rete tra le risorse, uno strumento dove siano convogliate tutte le informazioni.

COSA POSSIAMO FARE COME PAESE?

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RIFERIMENTI

BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA

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