7 Gen 2019

Un “sogno trasformato” in realtà: a Roma un parco rinascerà grazie alla permacultura

Trasformare un parco semiabbandonato nella periferia romana nel più grande progetto in Europa di riqualificazione di un’area pubblica in permacultura, con inclusi orti urbani, food forest, bosco urbano, apicultura pubblica, centro del riuso e riciclo, attività culturali. Sembra un sogno, ma è un “Sogno trasformato”: così si chiama il progetto approvato da Municipio V di Roma. Abbiamo intervistato Dario Pulcini, assessore all'ambiente, e Alessandro Stirpe, presidente della commissione cultura, per farci raccontare come sono riusciti ad avviare questo processo.

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Incontro Dario Pulcini e Alessandro Stirpe in un ufficio all’interno del grande edificio del Municipio V di Roma. Il primo è assessore all’ambiente, il secondo presidente della commissione cultura. Sulla scrivania in bella vista è poggiata una scatola di Maalox. Non è un caso: come mi diranno a breve sorridendo è quello il vero segreto del successo dell’iniziativa.

 

L’iniziativa in questione è il più grande progetto in Europa di riqualificazione di un’area pubblica secondo i principi della permacultura. Già, proprio così. E non siamo in Germania, Svezia o Danimarca, ma a Tor Sapienza, un quartiere popolare della periferia romana. È vero, ancora è tutto sulla carta, i lavori devono iniziare, ci saranno nuove difficoltà e i risultati si vedranno fra un bel po’ di tempo. Ma la qualità umana e professionale con cui il processo è stato avviato mi lascia impressionato.

 

Ma veniamo al progetto: si tratta della riqualificazione del parco Giorgio De Chirico, da poco approvata in consiglio municipale. Il nome dell’iniziativa “Il sogno trasformato – Servizi ecosistemici permaculturali” è un omaggio al grande pittore metafisico. Attualmente il parco è una radura verde semiabbandonata, quasi inutilizzata dagli abitanti della zona. “Uno di quei luoghi – spiega Dario Pulcini – che i paesaggisti definiscono terzo paesaggio, spazi lasciati a se stessi nella città, non degradati, ma fondamentalmente abbandonati, senza significato né dal punto di vista sociale e né da quello naturale, visto che è una radura senza alberature. Il tutto all’interno di una zona popolare con 2500 abitanti, di cui la maggior parte con disagi economici e sociali.” Come aggiunge Alessandro Stirpe, “c’è una densissima presenza umana tutta ristretta dentro a queste colate di cemento e questo spazio completamente vuoto, due percezione completamente contrarie che convivono in questa atmosfera metafisica”.

 

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Il processo

 

L’input iniziale per il progetto – siamo nel maggio 2017 – è arrivato da una richiesta del comitato di quartiere della zona. “I cittadini del quartiere da tanti anni chiedevano alle amministrazioni degli orti urbani in quell’area, quindi hanno chiesto anche a noi, come nuova amministrazione.” Da questo spunto si è deciso di allargare il raggio e provare a ripensare in toto l’area, per trasformarla in qualcosa che fosse utile al quartiere e vissuto dai suoi abitanti.

 

La sensibilità ambientale e umana delle persone che hanno dato avvio al processo ha fatto sì che si scegliessero metodi partecipativi inclusivi e uno strumento di progettazione sistemica come la permacultura. “Utilizzare un metodo progettuale ispirato alla permacultura – spiega Pulcini – ti impone di integrare e non escludere, valorizzare le marginalità, fare un percorso sistemico. Per questo l’abbiamo scelto”.

 

“Per iniziare – continua Pulcini – abbiamo fatto una call per chiedere nell’ambito dei permacultori chi volesse partecipare alla fase progettuale, avendo più o meno carta bianca. Così abbiamo creato un gruppo di progettazione e dato inizio al processo.” Nel gruppo erano presenti rappresentanti del municipio e molti professionisti: architetti, archeologi, permacultori, agronomi. Una volta formato il gruppo il passo successivo è stato decidere come si prendevano le decisioni, optando per un metodo consensuale. “Se il gruppo era unanime si procedeva, altrimenti no.” Il gruppo di progettazione ha continuato ad incontrarsi per diversi mesi, da ottobre 2017 alla fine di luglio 2018. Infine il progetto è stato presentato, discusso e approvato in giunta nel novembre scorso.

 

 

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Il progetto

 

Ma cosa prevede il progetto? Partiamo dall’obiettivo che, si legge sul progetto, è quello di “riqualificare uno spazio verde polifunzionale tramite la realizzazione di una food forest di frutti antichi, un bosco urbano di essenze endemiche, orti urbani, percorsi educativi, spazi idonei per formazione, eventi, attività sportive, culturali e sociali, attraverso un percorso di co-progettazione partecipata tra amministrazione, cittadinanza e realtà sociali, sulla base dei principi della permacultura.”

 

Al centro di tutto sono rimasti gli orti urbani, la richiesta originaria, progettati in modo da ottimizzare gli spazi e da avere una metratura di 50mq l’uno, superiore agli standard romani. L’orto, all’interno del sistema, serve sia a rispondere agli obiettivi di sovranità alimentare e resilienza, che a creare socialità, educazione, formazione. I modelli di coltivazione previsti sono esclusivamente di tipo naturale (agricoltura biologica, rigenerativa, sinergica). A completare l’opera accanto agli orti saranno presenti una casa di paglia dove organizzare corsi di formazione, un’officina di arti e mestieri della terra, un centro di raccolta, riuso e riciclo AMA, una banca dei semi, una food forest, un bosco urbano, persino un apiario pubblico. Ma anche plateatici in cui organizzare iniziative, eventi, concerti, spettacoli e così via.

 

“Non volevamo convincere nessuno a fare niente ma solo facilitare – spiega Pulcini -. Volevamo che ci fosse una comprensione, un’espressione e un rispetto delle esigenze del territorio. Ad esempio il comitato di quartiere non ha partecipato tanto quantitativamente, ma ci ha dato alcuni elementi essenziali di comprensione di quali fossero le esigenze: volevano una pista da ballo. Noi abbiamo trasformato la pista da ballo in un plateatico per iniziative culturali. Abbiamo preso le idee che arrivavano dal territorio per dargli la massima espansione, non comprimerle o metterle in un angolo. E questa estensione è stata utilissima, perché da quello che vedevano come esigenza del quotidiano siamo arrivati a soddisfare esigenze che loro nemmeno sapevano di avere. Semplicemente proponendole, non imponendole.”

 

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Cosa succede adesso?

 

Il progetto è molto ambizioso e complesso da realizzare, per cui è stata prevista una realizzazione a stralcio. Si partirà con il nucleo fondamentale, costituito dagli orti urbani, per poi ampliare alle aree restanti del progetto. Una volta terminata la prima parte dei lavori la gestione dell’area sarà messa a bando. “Noi abbiamo costruito i binari per cui la messa a bando non diventi una speculazione. Abbiamo progettato da qui a cinquant’anni, non da qui a quando viene realizzato”, spiega Pulcini.

 

Tutto ciò per evitare che il progetto naufraghi al primo ostacolo. “Perché la prima falla, la prima frattura fra interessi fa cascare il progetto – afferma Stirpe -. È successo così negli anni sessanta con le prime cooperative rosse in Emilia Romagna. Ormai abbiamo una letteratura scientifica dei fallimenti delle micro-organizzazioni, che o diventano feudi o scompaiono, vengono assorbiti.”

 

Anche l’aspetto di sostenibilità economica è stato pensato nell’ottica di sganciare il progetto dalla dipendenza dai soldi pubblici e dall’ala protettiva della politica. Le parole chiave in questo senso sono “resilienza e autonomia”, “bioeconomia”, “scalabilità”. Sono previste attività economiche legate agli eventi culturali, all’agricoltura (secondo il modello della Community supported agriculture), a corsi di formazione, mostre e convegni.

 

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Riferimenti teorici

 

Nelle parole degli amministratori non posso non cogliere riferimenti a teorie e approcci che conosco bene. Quando gliene chiedo conferma la risposta non mi stupisce. “I riferimenti teorici – mi spiega Dario Pulcini – sono quelli dei padri fondatori di questa visione nuova della post-industrializzazione: Fritjof Capra, quindi il pensiero sistemico, Ivan Ilich, insomma chi ancor prima dei movimenti di oggi aveva già teorizzato e compreso i limiti di questo modello di sviluppo. L’industrializzazione sta finendo perché sta distruggendo il pianeta con questa modalità. L’epoca post-industriale che sarà? Innanzitutto, sarà? Perché anche questo è a rischio, e se sarà cosa sarà? Questo modello è al canto del cigno, claudicante, si protegge attraverso il feudo, mettendo barriere. Noi vogliamo abbatterle quelle barriere.”

 

Quando esco dall’ufficio dopo un’ora abbondante di chiacchierata ho una bella sensazione in corpo. Anche a Roma, nelle periferie più disastrate di questa meravigliosa e spaventosa metropoli tentacolare, le cose possono cambiare, stanno cambiando. Il progetto di riqualificazione del parco Giorgio De Chirico è stato approvato, ma ancora il percorso è lungo perché questo territorio semiabbandonato venga rimesso in sesto e vada ad arricchire l’ecosistema naturale ed umano di Tor Sapienza. Con Italia che Cambia continueremo a seguire questo percorso, e a raccontarlo passo per passo.

 

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