17 Mag 2019

Bayer-Monsanto: un colosso di condanne e scandali

Il glifosato ha provocato il cancro. È arrivata qualche giorno fa la terza condanna consecutiva inflitta dai giudici americani a Bayer, il colosso chimico e farmaceutico tedesco che lo scorso anno ha comprato l'azienda americana Monsanto. Quest'ultima, intanto, è al centro di un'inchiesta aperta dalla procura di Parigi in seguito alla schedatura illegale di personalità francesi da parte della multinazionale.

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Una giuria di Oakland, in California, ha condannato Bayer a pagare 2,055 miliardi di dollari a una coppia che ha usato Roundup per oltre 30 anni e ha contratto il cancro. La giuria ha stabilito che l’uso del diserbante al glifosato ha rappresentato un “fattore significativo” nell’insorgenza della malattia.

 

Si tratta della terza condanna consecutiva per il colosso chimico e farmaceutico tedesco che lo scorso anno ha comprato l’americana Monsanto. Nel mese di marzo una giuria statunitense ha stabilito che Bayer deve versare 80 milioni di dollari in risarcimenti e danni a Andrew Herdemann, un coltivatore californiano che si sarebbe ammalato di linfoma non Hodgkin in seguito alla sua esposizione al diserbante al glifosato Roundup. Prima di Edwin Hardeman la multinazionale era stata portata a processo anche da Dewayne Johnson, giardiniere e utilizzatore dell’erbicida Roundup, colpito dallo stesso tumore di Hardeman. Era l’agosto del 2018 e Bayer veniva condannata al risarcimento di 289 milioni di dollari (poi ridotti a 78,5 milioni).

 

In totale sono oltre 11 mila coloro che negli Stati Uniti hanno fatto causa alla multinazionale Monsanto-Bayer, affermando che l’esposizione agli erbicidi a base di glifosato causa il linfoma non Hodgkin.

Foto tratta dalla pagina Facebook della Marcia Stop Pesticidi

Foto tratta dalla pagina Facebook della Marcia Stop Pesticidi


“Non è la prima volta che le sentenze dei giudici anticipano le leggi – commenta la dottoressa Fiorella Belpoggi, Direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini – è successo con l’amianto, con il cloruro di vinile monomero, utilizzato nella produzione di Pvc, e probabilmente succederà anche con il glifosato. Non è un caso. I giudici analizzano le prove e hanno una visione meno burocratica. Tendono a considerare le reali condizioni di vita e a emettere un verdetto imparziale. È, insomma, l’esatto contrario di quanto succede con le agenzie regolatorie che subiscono le pressioni delle lobbies industriali”.

 

“Le sentenze delle corti americane – continua Belpoggi – sono allora importantissime perché predittive rispetto al processo di re-autorizzazione del glifosato in Europa. Non dimentichiamo che l’Efsa basava le sue decisioni sulle autorizzazioni solo sugli studi dell’industria che erano, tra l’altro, coperti da segreto industriale. In seguito all’azione e alla richiesta dei Verdi europei, la Corte di Giustizia europea ha da poco stabilito che l’Efsa dovrà rendere pubblici gli studi delle multinazionali. Insomma, l’industria non avrà più modo di barare e se la Commissione Europea considererà tutte le prove, come fatto dai giudici, allora è probabile che si arrivi a un verdetto simile a quello delle corti americane”.

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Intanto i giudici francesi indagano sulla Monsanto. La procura di Parigi ha infatti aperto un’indagine in seguito alla schedatura illegale di personalità francesi da parte della multinazionale Monsanto. La multinazionale avrebbe schedato illegalmente giornalisti, scienziati e politici in base alla loro posizione sul pesticida glifosato e sulla loro presunta disponibilità a essere influenzati. Nelle liste vengono evidenziati 74 “obiettivi prioritari” suddivisi in quattro gruppi: gli “alleati”, i “potenziali alleati da reclutare”, le personalità “da educare” e quelle “da sorvegliare”. La Bayer ha affermato di non essere a conoscenza di questi elenchi.

 

“Questo documento è un’ulteriore prova che le lobby delle multinazionali non si fermeranno davanti a nulla per proteggere i loro affari, credendosi al di sopra delle regole”, hanno commentato Karine Jacquemart e Ingrid Kragl, direttore generale e direttore della comunicazione della ONG Foodwatch.

 

 

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