24 Lug 2019

Tornare all'essenziale: la storia degli ecovillaggi raccontata dai pionieri

“Le persone dicono che non possiamo cambiare la società, ma nel ventesimo secolo l’abbiamo già trasformata quattro volte”. Sono le parole di Declan Kennedy primo presidente del GEN (Global Ecovillages Network) e uno dei pionieri della vita comunitaria che ha partecipato all'incontro annuale della rete europea degli ecovillaggi e delle comunità sostenibili.

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“C’è da sempre un anelito da parte di un gruppo di tornare alle belle idee più volte professate e tradite. Abbiamo avuto i protestanti, che chiedevano un ritorno alle origini. Abbiamo avuto i beatnik: Alan Ginsberg, Jack Kerouac, Gary Snyder. Dopo i beatnik abbiamo avuto gli hippie del dopoguerra. Proprio nel momento in cui esplodeva il benessere, negli Stati Uniti, è emersa un’intera generazione che ha riconosciuto l’ipocrisia imperante, e fra questa si è fatta forte la necessità di tornare alle origini. Le origini non solo del Cristianesimo, ma di tutta la spiritualità. Abbiamo dunque guardato all’est, all’India, e i guru hanno riempito il nostro immaginario. In tutto ciò c’era un calderone di cose più o meno sincere. Ormai gli hippie sono tramontati, ma hanno lanciato il seme di ciò che a loro volta avevano ereditato. Siamo ad un punto ulteriore, in cui siamo chiamati a cercare nuove strade per tornare all’essenziale”.

 

Mentre cammino per Bagnaia, in occasione dell’evento “Ecovillaggi nel mondo, il mondo negli ecovillaggi: pace, ecologia e giustizia sociale”, ho l’occasione di incontrare i molti volti che animano e che gravitano intorno al GEN (Global Ecovillages Network). Attivisti, visionari, alcuni pionieri dalle barbe bianche. Le parole di apertura appartengono a Francesco Casini che dopo trent’anni di vita a The Farm, nota comunità californiana di sperimentazione ecologica e sociale, è tornato a vivere a Firenze.

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Declan Kennedy, architetto, pianificatore urbano e designer di permacultura, nonché primo presidente del GEN, mi racconta una sera di come in uno dei primi incontri che avrebbero poi dato origine al GEN fossero presenti sia rappresentanti di ecovillaggi che ricercatori e di come in quell’occasione emerse forte la scelta di sostenere la sperimentazione e la pratica di alternative.

 

“La finanza, anche durante la crisi del petrolio del 1981, continuava a far funzionare il sistema, sebbene fosse marcio. C’erano poche persone che parlavano dell’inquinamento, ed io venivo additato come un fomentatore di panico. C’erano già problematiche inerenti all’acqua, alla plastica, all’abitare sostenibile per le persone comuni. Non volevamo che gli ecovillaggi fossero elitari, eravamo consapevoli di poter imparare l’uno dall’altro raccontandoci ciò che stavamo già facendo. Per esempio sentivamo il bisogno di costruzioni moderne e compost, così che quando l’edificio avesse terminato la sua funzione potesse tornare facilmente ad essere parte della natura.

 

Le persone dicono che non possiamo cambiare la società, ma nel ventesimo secolo l’abbiamo già trasformata quattro volte: la terza attraverso la televisione e la quarta attraverso internet. Nessuno lo sa ma internet è frutto dell’ingegno di sette giovani uomini, quattro dei quali vivevano in ecovillaggi”.

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Albert Bates, ex presidente GEN, come Francesco proveniente da The Farm, ricorda di come da un incontro con nove rappresentanti di ecovillaggi emerse la consapevolezza della necessità di identificare gli altri ecovillaggi, sapere dove fossero e conoscere le loro esperienze di apprendimento, così da non dover reinventare la ruota ogni volta che un nuovo ecovillaggio nasceva.

 

“Come fai ad essere autonomo in merito a cibo, acqua? Come educhi i bambini? Come ‘servi’ il mondo? Dunque dalle pratiche di costruzione, agricole alla risoluzione dei conflitti e alla trasformazione individuale. Negli incontri plenari abbiamo parlato molto di nuovi sistemi decisionali: dalla sociocrazia ad altre forme di auto-governo che consentono sistemi egualitari. Questo è molto buono, tuttavia ciò che ho imparato nei primi anni a The Farm è che non importa tanto quale sistema venga utilizzato quanto il livello di fiducia. Se la fiducia è alta e ci sono buone intenzioni si potrebbe usare perfino il manuale dei boyscout. Spesso pensiamo che se cambiassimo il sistema tutto potrebbe finalmente cambiare. Io credo che è cambiando noi stessi come persone che possiamo portare il cambiamento”.

 

A volte, parlando con loro, resto assorta nell’ascolto. Altre volte li interrompo e sottopongo loro i miei dubbi e le mie preoccupazioni. Declan Kennedy mi dice “Abbiamo una crisi economica, una crisi sociale, una crisi climatica. Che accidenti non è in crisi oggi? Non ti invidio, alla tua età, hai il doppio dei problemi che ho avuto io. Per questo lavoro spesso a supporto della tua generazione”.

 

E quando gli chiedo che consigli ha per chi, come me, cerca di portare narrazioni e pratiche diverse, risponde: “Non stare solo con coloro che la pensano come te, discuti con coloro che guardano in direzioni differenti dalle tue: potresti influenzarli, e loro potrebbero fornirti delle soluzioni che averti perso di vista. E non dimenticarti della politica”.

 

Ad Albert Bates chiedo se non siamo contraddittori a volte, noi “alternativi” nel relazionarci con la società e l’economia. Mi risponde: “Noi stiamo in due mondi, con un piede nel secolo scorso e l’altro nel nuovo secolo. Il futuro è aperto, non ancora deciso. Mentre stiamo a cavallo fra questi due mondi dobbiamo sviluppare l’abilità di respirare sia nell’acqua che nell’aria. Stare attenti a non rimanere intrappolati in una bolla, fare da ponte”.

 

 

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