10 Dic 2019

Stereotipi sull’autismo: se li conosci li eviti

Scritto da: Sara Bellingeri

Luoghi comuni e preconcetti riguardanti il disturbo autistico rischiano di creare gravi disagi. Partiamo dai primi cinque più diffusi stereotipi sull'autismo. Il primo antidoto? L’informazione.

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Gli stereotipi sono come piume. Se liberate nel vento è difficile fermarle, recuperarle e sì, anche contarle. Gli stereotipi non badano a confini, coinvolgono tantissimi aspetti e ambiti della vita perché svolgono una funzione di risparmio energetico, in qualche modo rassicurante. Semplificano e anche banalizzano la realtà, apparecchiando per la mente generalizzazioni che spesso sfociano in veri e propri pregiudizi. Con gli stereotipi attribuiamo, infatti, indistintamente determinate caratteristiche a un’intera categoria di persone. Le convinzioni poi si cristallizzano e producono falsi miti, fenomeni, disinformazione e non da ultimi disagi e discriminazioni.

Anche una condizione in crescita come quella dell’autismo non è purtroppo esente da questa ondata di piume. Negli ultimi anni si parla per fortuna molto di più di autismo e la divulgazione risulta essere un ottimo veicolo per conoscere e aggiornarsi. Questa però traghetta spesso anche informazioni errate scaturite appunto da preconcetti che nulla c’entrano con la situazione reale. A subirne le conseguenze sono prima di tutto le persone che convivono quotidianamente con il disturbo dello spettro autistico e le loro famiglie. A perderci poi è la società stessa e per diversi motivi. Come rendere l’idea di tutto questo? Partiamo a parlare dei primi cinque luoghi comuni sull’autismo, quelli in cui s’inciampa spesso, ricordando che la lista è lunga e purtroppo sempre in vena di crescita.

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1 – L’autismo è una malattia
Niente di più sbagliato perché l’autismo si configura come un disturbo. Dalla malattia, infatti, si può guarire o meno, il disturbo invece non implica una guarigione. È una condizione a tempo indeterminato che ovviamente può presentare miglioramenti, anche significativi, o risultare parecchio disagiante. Nel caso invece in cui qualcuno scopra di essere guarito dall’autismo allora non perda tempo a bussare alla porta di chi ha fatto la diagnosi: evidentemente il medico in questione ha chiamato autismo qualcosa che di fatto non lo era. Occorre infine prestare attenzione alle bufale e alle strumentalizzazioni. Non mancano i casi di chi lucra sull’autismo sbandierando promesse di false guarigioni.


2- Gli autistici sono tutti uguali
Avete mai conosciuto persone completamente uguali tra loro? No. Una condizione può di certo dare caratteristiche analoghe o simili ma resta il fatto che al di là di qualsiasi disturbo esiste tutto un mondo personale e peculiare che va scoperto. La vera missione sarebbe quindi “vedere” la persona senza identificarla con il suo disturbo. L’autismo provoca sicuramente determinate difficoltà, spesso anche pesanti, ma non va dimenticato che ogni bambino, bambina, ragazzo, ragazza, uomo o donna che convive con questo disturbo è diverso. Ognuno con i suoi pregi e difetti e quella bellezza che ci rende unici. A livello internazionale e al di là di ogni fragilità.


3 – Gli autistici non possono lavorare
Questo è uno degli stereotipi più duri a morire e dal quale possono scaturire conseguenze negative che si diramano non solo sul contesto familiare ma anche sulla società in generale. Essere convinti a priori che una persona non abbia possibilità di accedere all’ambito lavorativo significa non solo relegarla al puro assistenzialismo ma anche toglierle un diritto fondamentale: quello di una possibile autonomia. Ciò vale non solo per i casi di autismo con alto o medio livello cognitivo ma anche con disabilità intellettiva. Ci sono diversi esempi di inserimenti lavorativi di persone con autismo che hanno raggiunto traguardi importanti come assunzioni, anche a tempo indeterminato. Esistono poi forme molto gravi di autismo che risultano difficili da conciliare con situazioni lavorative ma questo non deve impedire comunque di creare percorsi esperienziali e inclusivi. Un diritto e una fonte di valorizzazione importanti per chiunque.

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4 – Tutti gli autistici non sanno parlare
Ancora oggi molte persone credono che l’autismo sia sinonimo di assenza di parole quando in realtà non è affatto così. Mettiamo a tappeto anche questo luogo comune ricordando, innanzitutto, che esistono autistici sia verbali che a-verbali, ossia che non hanno acquisito questo tipo di capacità solitamente maturata durante i primi anni di vita. Ma non confondiamo la comunicazione con le parole. Ci sono persone con autismo che manifestano, ad esempio, la cosiddetta ecolalia e altre che parlano. Ciò non significa però che stiano comunicando in maniera adeguata perché sono due cose ben diverse.

Esistono al contempo persone con autismo che non riescono a parlare ma che in qualche modo hanno imparato a comunicare attraverso le immagini. Uno dei metodi più diffusi è quello della Comunicazione Aumentativa Alternativa. Si tratta di un aspetto fondamentale, come afferma la Carta dei Diritti della Comunicazione ricordando che ogni persona, indipendentemente dal grado disabilità, ha il diritto di “influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della propria esistenza”. Come memento riportiamo i primi tre dei dodici punti:

  1. Il diritto di chiedere oggetti, azioni, persone e di esprimere preferenze e sentimenti.
  2. Il diritto di scegliere tra alternative diverse.
  3. Il diritto di rifiutare oggetti, situazioni, azioni non desiderate e di non accettare tutte le scelte proposte.

5 – Gli autistici smettono di esserlo da grandi.
Purtroppo non è così. Se una persona è veramente autistica, la condizione non si dilegua certo al compimento della maggiore età. Come scrivevamo prima, possono esserci dei miglioramenti significativi, soprattutto nel caso di interventi precoci. Ma a meno che la diagnosi non sia stata sbagliata, togliendo quindi l’ipotesi dell’autismo, questa è una condizione che permane per tutta la vita. L’autismo non fa solo parte del mondo dei bambini, per questo occorre pensare concretamente di costruire percorsi volti all’autonomia e al miglioramento. Sono invece numerosi i casi di famiglie che al termine delle scuole superiori si trovano nel vuoto e questo vuoto resta un’innegabile sconfitta collettiva.

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