19 Nov 2020

Perché serve la filosofia per curare il presente e costruire il futuro post-Covid

Scritto da: Matteo Ficara

La filosofia può essere uno strumento per aiutarci a vivere con più consapevolezza il momento di pandemia che stiamo vivendo ma anche a restituire bellezza a ciò che ormai ci sembra di aver perso, costruendo nuove alternative per il futuro. Per questo motivo è essenziale guardare alla filosofia come una "cura": delle relazioni sociali, del nostro tempo e di ciò che ci circonda.

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Dal 2002 l’UNESCO ha definito che il 19 novembre sarebbe stata la Giornata Mondiale della Filosofia. Guardare alla filosofia oggi, ai tempi del Covid 19, fa pensare che essa possa svolgere ancora di più il suo ruolo di “cura”. Una filosofia come cura e anche una filosofia della cura, insomma, che ci aiuti a riportare l’attenzione laddove è urgente e necessario, per ritrovare il “senso”. Una filosofia che può anche essere un aiuto a fare chiarezza, a gestire il passaggio verso un “new normal” e a costruire i primi passi di un nuovo futuro.

La filosofia come cura

Perché guardare alla filosofia come cura?    
In primis perché essa è sempre stata la via dell’eudaimonia, ovvero della ricerca della felicità attraverso la vita virtuosa. In secondo luogo perché l’emergenza che viviamo oggi è sanitaria, per cui il tema della cura ha sicuramente un volto che possiamo cogliere in modo diretto e immediato: è il volto di chi sta affrontando la malattia, la fatigue, la sofferenza ed il morire. Il volto chi sta dando una mano, senza sosta da mesi.

Ma cura significa anche “attenzione”. Una filosofia della cura è anche uno sguardo che torna a portare attenzione al reale e a tutto ciò, che nel vivere accelerato di ogni giorno, avevamo scordato o iniziato a dare per scontato. Tanto per cominciare, le relazioni. Troppo spesso la normalità del vivere stende un velo di trasparenza sull’importanza di persone care vicine o lontane. E per assurdo, questo “distanziamento”, che è fisico e non sociale, ha allontanato ciò che era vicino e avvicinato ciò che era lontano.

La cura è anche andare al di là del singolo e pensare al “comune”, a quel “noi condiviso” che siamo, sotto sotto, e che possiamo essere ancora. La distanza fisica può essere il luogo per ripensare la relazione sociale, lo spazio della partecipazione, il luogo ove una voce non è né un sussurro disperso e né un grido – come quello di ormai troppi social.

Quello della cura è anche il volto di chi si prende cura di ricercare le fonti di notizie da condividere (o meno) in un social network. La cura è nelle parole che usiamo e nell’azione sociale. La chiamata all’agire sociale è importante, un richiamo che, come popolo umano, non avevamo da tempo. Eppure è contornato dalla sfiducia che quella “politica” non sia più la voce della poleis, ma un’imitazione a distanza di un’eco.

La cura è l’azione consapevole delle sue conseguenze. Un’azione non solo politica, ma filosofica. Meditata, ragionata, soppesata. Un’azione che ha una testa ed un cuore, due gambe per andare lontano e gli occhi per vedere che il suo cammino non calpesti nessuno.

La filosofia come costruzione del futuro

L’esperienza inattesa del Covid-19, di un nemico invisibile, ha messo in scacco la società della rete. Il web – come dice Baricco nel suo “The Game” – è come una “copia del mondo”, che ci ha permesso di fare un salto: bypassare gli intermediari, essere in prima linea a scoprire le cose e a mettere voce in capitolo. E con il Covid19, quella rete che prima ci aveva avvicinati (nelle idee e nelle culture), ora ci fa stare troppo vicini.

La pandemia ha generato un caos enorme e rapidissimo: informazioni “impazzite”, allarmismo, eventi complessi da affrontare in poco tempo. E soprattutto: scelte. Scelte da prendere con informazioni incerte, in tempi brevi e sulle quali costruire il presente ed il futuro per sé e per altri, su tutti i livelli. Non ci eravamo abituati ancora alle coordinate digitali della nuova modalità “social” del nostro modo di fare, che le troviamo minate e siamo smarriti: “E adesso… Che si fa?”.

È qui che, secondo me, entrano in gioco la filosofia ed il suo modo di fare (poiché questo è una filosofia: un modo di vivere), che mette a disposizione tutto quello che serve in questo momento, per la ricerca di senso e la costruzione di un futuro nuovo:

  • l’attitudine al pensiero critico, per discernere le informazioni e fare chiarezza;
  • l’apertura necessaria per sapere che non è necessario “schierarsi”, perché non dobbiamo rendere la lotta delle informazioni una guerra;
  • le capacità di visione per guardare lontano e iniziare a valutare opzioni nuove, scoprire orizzonti, costruire scenari;
  • la sensibilità per ricordarci di chi abbiamo vicino e di cosa ha valore.

La filosofia nello sguardo, oltre lo schermo e oltre la mascherina

Forse per troppo tempo abbiamo abituato lo sguardo ad un orizzonte troppo piccolo, digitale e vicino, che mentiva riguardo al fatto che potevamo arrivare in ogni dove ed adesso ci troviamo costretti in quella sua dimensione, un po’ per intero: lontani nel corpo, vicini attraverso uno schermo. Forse abbiamo bisogno di alzare lo sguardo, oltre lo schermo, per ritrovare un pianeta, una realtà che ogni giorno alza la mano per chiedere aiuto. Dovremmo alzare lo sguardo al di là del confine della mascherina, per ritrovare l’altro.

Siamo chiamati a guardare vicino e lontano. A recuperare e restituire valore e bellezza al dimenticato e costruirne alternative per cambiare sistema. Questo la filosofia può fare: può prendersi cura del presente e del futuro. Dell’essere e dell’agire, con la sua “vita attiva e contemplativa”. Può aiutarci a scendere i gradini della ricerca del senso del vivere e a salire in cima alla montagna di tutti i futuri, per scorgere i migliori da realizzare.

Mi piace pensare alla filosofia come il modo di vivere di chi si prende cura del tempo, di quello passato, rammemorandolo, di quello presente, vivendolo e del futuro, costruendolo in pace.

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