16 Mar 2021

Il ruolo del gioco, tra funzione sociale ed educativa

Quale apporto può fornire il gioco in un processo pedagogico? Che aiuto offre ai soggetti in condizioni di fragilità? Come si è evoluta la percezione sociale sul tema? In un dialogo a due, Ruggero Poi – formatore montessoriano – e Francesco Biglia – titolare di un’attività specializzata in giochi ricreativi ed educativi – offrono le loro riflessioni e analisi, delineando quali funzioni possono ricoprire le attività ludiche per giovani, adulti e anziani.

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Biella - “Facciamo le squadre! Io scelgo…”.

Quante volte da bambini, al parco con gli amici o al centro estivo, un gioco è iniziato con la scelta dei due gruppi che si sarebbero poi fronteggiati? L’adrenalina cominciava a scorrere già da quel momento: se si veniva reclutati per primi ci si sentiva forti, carichi di energia, quasi responsabili dell’esito della partita; se eravamo chiamati per ultimi, invece, spesso passavamo per gli “sfigati”, l’ultima ruota del carro. Già la composizione dei team poteva influire e incidere sull’andamento della nostra prestazione, qualunque gioco fosse. A volte le scelte erano dettate dalle amicizie, altre dalle presunte abilità. Ma già così si creavano delle “gerarchie” tra bambini, generate implicitamente dalla scelta di chi componeva le squadre. Poteva sembrare un momento irrilevante, ma contava. Moltissimo. Stava poi a noi, durante il gioco, dimostrare qualcosa e provare a soverchiare il giudizio iniziale del nostro compagno.

Lo scorrere del tempo ha poi trasformato quel mettersi in gioco, trasportandolo in alcuni ambiti della nostra vita personale o professionale. In una partita a calcio, se si parte dalla panchina, tocca a noi dimostrare all’allenatore di aver sbagliato. Il match sportivo, così come l’attività motoria o mentale, sono solo esempi di una dinamica che vale per qualunque attività ludica: il gioco è lo specchio di molti meccanismi della società, semplicemente costruito in una dimensione diversa e parallela. Quello del gioco, infatti, è un tema vasto che si suddivide in numerose branche. In quest’ottica, per mettere in luce i suoi aspetti e il suo ruolo nella società, è nata l’idea di intervistare due esperti del settore, ma di due rami diversi. Da una parte Ruggero Poi, formatore montessoriano e direttore dell’Ufficio Ambienti d’Apprendimento di Cittadellarte, dall’altra Francesco Biglia, membro del circolo biellese Dado Giallo e titolare de Il Folletto, attività commerciale aperta da quasi vent’anni specializzata in giochi da tavolo, fumetti e manga. Ecco quali frutti sono nati da questo confronto.

Che cos’è il gioco per voi?

Francesco: È una passione che mi ha sempre accompagnato. Lavorando come negoziante, inoltre, vedo il gioco in maniera più ampia, come forte strumento di aggregazione e crescita. Non è solo una distrazione per staccare dallo stress della vita quotidiana, ma è una parte integrante della società.

Ruggero: Il gioco, fin da bambini, è un modo per allenarsi alla realtà con il “paracadute”. È sempre un’occasione per esercitare competenze che possono mettersi in moto senza rischio di farsi male, in maniera figurata e non. È inoltre uno strumento di sviluppo e tra i mammiferi una delle prime forme di apprendimento.

Quale apporto può dare un gioco a soggetti in condizioni di fragilità? Può accompagnare un percorso riabilitativo e cognitivo?

Francesco: Negli ultimi anni è stata rivolta maggior attenzione a questo aspetto. Ad esempio mi è stato chiesto di scegliere e portare determinati giochi alla biblioteca di Biella, nelle scuole o in contesti di fragilità. Ho clienti che sono assistenti sociali e si rivolgono a me per trovare giochi che possano essere utili ad affrontare i problemi personali o che favoriscano la memoria, l’intelligenza e la mobilità. Fino a quattro anni fa non mi ero mai reso conto di questa ricerca, che ora è aumentata sensibilmente. Il mondo del gioco, comunque, fa sì che ci sia un prodotto per ogni tipologia, anche per per l’ambito educativo: ce ne sono alcuni che aiutano la socialità o altri che contribuiscono a far imparare le basi della matematica e di altre materie. Chi interagisce con questi giochi ha piacere di farli e imparare da essi, perché non li sente come una cosa imposta.

Ruggero: Bisogna sempre considerare che si gioca per interesse e da protagonisti, questo è un punto di forza che permette già l’apprendimento di qualsiasi ambito. Quando ci si mette alla prova si è concentrati e la concentrazione è la base del benessere. Quindi se facciamo attività ludiche stiamo bene. Il gioco, inoltre, si è allargato a livello di target e può essere rivolto a un pubblico che va da 0 a 99 anni, rivelandosi utile anche per persone con Alzheimer o demenza senile.

In ambito pedagogico il gioco accompagna la crescita e lo sviluppo del bambino. Quali benefici porta nello specifico?

Francesco: Una componente importante del gioco è quella legata all’apprendimento. Aiuta a conoscere nozioni, risolvere i problemi e ragionare. A mio avviso la parte più importante è la socialità: la maggior parte dei giochi che ho in negozio, ad esempio, sono rivolti a più partecipanti, quindi per utilizzarli occorre interfacciarsi con altre persone, condividendo una struttura con gli altri soggetti intorno al tavolo a prescindere dalla loro età o professione.

Ruggero: Oltre a quanto detto in precedenza, il gioco permette di imparare dagli altri, anche mettendoci nei loro panni. In questo modo è favorito anche lo sviluppo dell’empatia.

Mens sana in corpore sano: come si trova un equilibrio tra le attività motorie e quelle mentali?

Ruggero: È fondamentale mettere insieme i due fattori: la scienza ha dimostrato che la capacità attentiva dei bambini cala dopo una decina di minuti se non avviene interazione. Non c’è quindi apprendimento senza interazione… e questo ci dice molto su come possa essere la scuola.

Francesco: È assodato che un corpo che sta bene aiuta la mente e viceversa. Quindi il gioco può contribuire a rendere più attive entrambe le parti con un effetto a cascata. A questo proposito, oltre alle attività all’aperto, esistono giochi da tavolo che si basano sui riflessi e sulla velocità.

Il gioco è lo specchio della propria personalità, quasi un’enfatizzazione dei nostri comportamenti. A volte, invece, un’attività ludica tende a mostrare un atteggiamento insolito in un soggetto. Dove sta la verità?

Francesco: Sono vere entrambe le possibilità. Ho notato che una persona tende a iniziare più volentieri un gioco che conosce – perché si sente a suo agio – o a farne uno in cui sa di poter avere successo o riconoscimento. È importante che si abbiano pulsioni positive nel misurarsi con gli altri, anche se non si vince. Nei giochi di ruolo, ad esempio, alcuni vestono dei panni fissi, altri molto diversi dalla propria realtà di riferimento. In quelli da tavolo, inoltre, se c’è una comunità che ti accoglie è possibile superare le tue barriere. A volte sono presenti criticità: essendo il gioco una dinamica sociale, purtroppo alcune persone non si espongono adeguatamente perché hanno paura di ricevere un giudizio negativo anche in questo contesto. Per fortuna all’interno del gioco sono molto rari i giudizi e le persone tendono a rilassarsi.

Ruggero: Anche nei giochi si cerca inizialmente la nostra comfort zone. Poi anche se si perde non è un problema, anzi, è un aspetto positivo diventare confidenti con l’errore. Nel gioco si può sbagliare senza conseguenze.

Intervistare Francesco e Ruggero è stato allo stesso tempo interessante e divertente. Viaggiare alla scoperta di lati nascosti di qualcosa che ci portiamo dietro fin dall’infanzia ha fatto sorridere il bambino che è ancora in me. Non è stato solo un lavoro, ma un’attività creativa che ha permesso di dare forma a un’idea. Questo articolo, in fondo, l’ho vissuto come un gioco, nell’accezione più suggestiva e intrigante del termine.

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