26 Mar 2021

Wråd: il movimento che ridisegna la moda a partire dalla sostenibilità

Scritto da: Luca Deias

«L’industria della moda non può più essere legittimata a consumare risorse essenziali per la vita sulla Terra». Sono queste le parole di Matteo Ward, CEO di WRÅD, la startup diventata best practice internazionale nel campo della moda etica che, in una collaborazione con la Fondazione Piemontese Cittadellarte, ci racconta gli obiettivi del suo brand in una dimensione di sostenibilità globale.

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Biella - Di fronte alla criticità mondiale che ci dimostra che l’industria della moda è la seconda più inquinante a livello globale dopo quella petrolifera, c’è chi lavora a più livelli per ovviare al problema. Un esempio è WRÅD, brand nato nel 2015 su iniziativa di tre giovani: Matteo Ward, Silvia Giovanardi e Victor Santiago. Insieme non hanno dato vita a un semplice marchio con finalità commerciali, ma a un movimento che si forma e articola attraverso un processo di sensibilizzazione sociale dei consumatori.

WRÅD, infatti, da semplice startup è divenuta una best practice riconosciuta in tutto il mondo, che propone anche format educativi sul settore. Nel tempo si è ramificata e si è sviluppata una community digitale che ha visto WRÅD fare rete (attraverso partnership e collaborazioni) con realtà quali Cittadellarte Fashion B.E.S.T. e Fashion Revolution, solo per citarne alcune. Porre il design e l’innovazione al servizio della sostenibilità, negli anni, ha inoltre portato diversi e prestigiosi premi al brand. L’ultimo, in ordine cronologico, è la menzione speciale conferita a WRÅD dalla Galleria delle Eccellenze Italiane. A partire da questo riconoscimento, proponiamo un’intervista a Matteo Ward, co-fondatore e CEO del brand.

Partiamo dalla menzione speciale che WRÅD ha ricevuto nel contesto delle 100 eccellenze italiane 2020. Che valore ha questo riconoscimento?

Ricevere questo riconoscimento nel 2020, a seguito di un anno particolarmente complesso, è stato molto importante e gratificante per l’intera community WRÅD. Tutti nel nostro team nell’ultimo anno hanno lavorato costantemente per rendere ancora più rilevante lo scopo e l’obiettivo di WRÅD che penso abbia raggiunto un nuovo grado di consapevolezza e maturità proprio nel 2020. Ci siamo semplicemente chiesti: cosa possiamo fare per supportare i nostri clienti e partner in questo contesto difficile? Il premio è un riconoscimento dello sforzo, un segno che il cambiamento è possibile e noi, tutti assieme, possiamo realizzarlo.

L’industria della moda è la seconda più inquinante a livello globale dopo quella petrolifera. Quali sono le peculiarità che rendono invece etici i vostri capi? Come fashion designer, senti la responsabilità di dover contribuire, nel tuo ambito di competenza, al raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite?

L’industria della moda, una delle più impattanti al mondo, deve fare i conti con il fatto che oggi non può più essere legittimata a consumare risorse essenziali per la vita sulla Terra al fine di produrre beni non essenziali (e per giunta inquinanti e non riciclabili). Dal primo giorno abbiamo dunque cercato di investire il prodotto di una funzionalità che lo trascendesse. E per noi questo non si è mai risolto nella semplice scelta di materiali o di filiere etiche. La bellezza e complessità del nostro lavoro sta nel provare a ingegnerizzare prodotti e processi capaci di creare reale valore positivo e di rispondere a reali esigenze dell’umanità. Il prodotto per noi deve essere uno strumento polifunzionale per rispondere e/o affrontare sfide e obiettivi come quelli appunto presentati dalle Nazioni Unite con gli SDGs, ma sempre con approccio sistemico.

Ultimamente stiamo assistendo a una maggiore attenzione verso la sostenibilità nel settore moda da parte di numerose aziende. A tuo avviso è solo un modo per adeguarsi al mercato oppure oltre a inseguire un trend c’è una reale ricerca etica?

Ogni azienda ha la sua verità: lavorando molto anche come consulenti per terzi posso affermare con certezza che ci sono molte aziende che hanno genuinamente amplificato o iniziato a maturare strategie per lo sviluppo sostenibile. Altre invece si pongono nei confronti della sostenibilità in modo pericolosamente superficiale per rispondere a esigenze di mercato. Spesso la comunicazione viene usata come mezzo per creare maggiore confusione, con messaggi sbagliati o falsi, in un momento storico in cui c’è invece bisogno di verità e certezza. Le pratiche di greenwashing dovrebbero essere criminalizzate: stiamo parlando di un campo d’azione dal quale dipende la vita di miliardi di persone.

WRÅD collabora con altri fashion designer che fanno della sostenibilità la parola chiave dei propri lavori. Fare rete può essere utile per alimentare una sensibilizzazione sociale, anche tra le giovani generazioni, sul tema della moda sostenibile?

La rete è la nostra ancora di salvezza e costante benzina nel motore per mettere in discussione lo status quo. Lavorare in sinergia, creare rapporti di economia simbiotica, è la chiave per creare reali ecosistemi funzionali a generare quel tipo di cambiamento paradigmatico che ci auspichiamo tutti noi oggi. Anche perché, come dici tu, consente di amplificare la comunicazione al pubblico finale e alle comunità di riferimento di ognuno di noi.

Nell’ambito alimentare, gli ingredienti dei cibi industriali forniscono informazioni fondamentali sulla qualità del prodotto. L’etichetta, in un capo, è l’unica che rivela dettagli sul vestito. Quelle attualmente sul mercato, che indicano materiale e provenienza, sono a tuo avviso adeguate o dovrebbero essere maggiormente diffuse le cosiddette etichette narranti per rendere più consapevoli i consumatori?

Avere etichette narranti è sicuramente importante ma, come sempre, se il loro inserimento non è supportato dalla comunicazione e consapevolezza del mercato non credo risulterebbero efficaci. Nel mondo del cibo l’attenzione agli ingredienti nelle etichette è strettamente legata a due fattori: strutturate campagne di educazione sul significato e impatto degli ingredienti nei cibi (penso ai grassi saturi per esempio) e alla consapevolezza che ciò che mangiamo ha irrimediabilmente un impatto sul nostro corpo.

Oggi nella moda mancano ancora queste due dimensioni perché non c’è abbastanza informazione sui materiali e sul loro reale impatto, e non è scontato sapere cosa si nasconda dietro sigle come PA o PC, che compaiono in più della metà dei vestiti nei nostri armadi. Non solo: non è immediato capire che ciò che indossiamo può avere un effetto negativo sul nostro corpo, direttamente attraverso la pelle e indirettamente attraverso l’impatto che la produzione tessile ha nell’ambiente. Bisogna anche valutare che in genere, quando acquistiamo abbigliamento, non attiviamo la parte razionale del nostro cervello ma quella automatica, istintiva ed emotiva, che risponde ad altri impulsi.

Una delle criticità che ruotano attorno alle produzioni etiche è il prezzo. Come rendere un capo sostenibile anche alla portata di un target di pubblico meno abbiente?

È il modello di business che cambierà inevitabilmente, con formule come il renting (affitto), swapping (scambio) e pagamento rateizzato, che renderanno più accessibili prodotti il cui prezzo è reale manifesto del loro valore sociale, ambientale e umano.

Immaginiamo che WRÅD prenda forma in un capo d’abbigliamento. Quale sarebbe e come lo descriveresti?

Non sarebbe un capo di abbigliamento ma un servizio funzionale, capace di rispondere a esigenze che trascendono la necessità di vestirsi, adatto a trasformare le persone in attivisti per il cambiamento, inclusivo e ispirazionale.

La moda sostenibile potrà cambiare il mondo? Se sì, come?

La moda sostenibile non esiste. Esistono prodotti più o meno responsabili, risultato del lavoro di persone orientate a restituire al design la capacità di rispondere alle reali esigenze dell’umanità senza arrecare danni. Sono queste persone che cambieranno il mondo.

Leggi l’articolo completo su: Journal Cittadellarte

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