24 Mag 2021

La comunità di Erli: dove accoglienza e bellezza trovano casa

Scritto da: Emanuela Sabidussi
Video realizzato da: PAOLO CIGNINI

Ad Erli, nell'entroterra albenganese, una comunità dagli anni '80 ha riabitato una piccola frazione ormai disabitata ristrutturando parte delle case, destinate al crollo dopo anni di abbandono. Qui da anni l'accoglienza di viandanti, artisti di passaggio e persone nomadi, fa da sovrana, creando le basi di una comunità stabile, ma allo stesso tempo aperta a tutti. La cattiva strada unisce il modello degli spazi comunitari, alla proprietà delle abitazioni, per permettere a tutti luoghi condivisi in cui socializzare, ma anche spazi personali in cui vivere.

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Savona - Nell’entroterra ligure albenganese, nella frazione di un piccolo borgo, quasi quarant’anni fa una coppia di giovani valdostani acquistò una piccola abitazione come seconda casa da sistemare, ma dopo poco tempo decise di lasciare il proprio lavoro e la Valle D’Aosta per mettere proprio lì le proprie radici. Nasce così il progetto La cattiva strada, che prende il nome dalla raccomandazione ricevuta dai parenti di alcuni abitanti, che ricordavano loro da piccoli di stare attenti a non prendere cattive abitudini o scelte non convenzionali.

Ed effettivamente di convenzionale, soprattutto per gli anni ‘80, la comunità di Erli ha davvero poco: unisce eco-vicinato a spazi comuni, scelte in linea con la sostenibilità ambientale, mixa l’autoproduzione con la condivisione, l’educazione degli abitanti più piccoli e l’accoglienza di persone di passaggio.

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IL LUOGO

La frazione di Erli in cui Carla Scenei e il marito Nico De Bernardi si trasferiscono negli anni ‘80 è un luogo nato centinaia di anni fa come punto di sosta per i viandanti che attraversavano l’antica Via del Sale, una strada emozionante che collega le Alpi piemontesi e quelle francesi al Mare Ligure.

Il piccolo borgo, come molti paesi dell’entroterra ligure, aveva subito un importante spopolamento e, proprio per questo, all’arrivo di Carla e Nico molte delle case risultavano in stato di abbandono, alcune addirittura anche di rischio crollo. Le case vengono messe in parte in sicurezza dai nuovi abitanti e dagli amici venuti a trovarli per periodi più o meno lunghi, ma anche grazie ai molti viandanti che passando a conoscere questa nuova comunità che si stava creando vivono con loro per un po’ di tempo.

CARLA E NICO

Parlando del marito Nico, Carla lo descrive come un antiquario amante degli oggetti di valore, che ad un certo punto, ancora molto giovane, si è reso conto che la vita che stava conducendo non era quella che si era immaginato. E così, nel suo viaggiare insieme a Carla, capitano per caso nel piccolo borgo di Erli, dove poi si trasferiranno e rimarranno a vivere.

L’esistenza che creano per loro stessi e per le loro figlie, nate nel frattempo, è vissuta a stretto contatto con il mondo naturale e selvatico in cui sono immersi. La semplicità in cui crescono le due bambine è accordata ai ritmi della natura, della libertà che un luogo non cittadino può offrire e della varietà che la coltivazione naturale può donare. Essendo entrambi artisti artigiani, Carla e Nico partecipano ai mercatini locali per vendere le loro creazioni.

LA COMUNITÀ

Con il passaparola di regione in regione, sin dall’inizio del loro riabitare il piccolo borgo sono in molti a vivere, per periodi più o meno lunghi, ad Erli: musicisti, artisti, spettacolanti, persone nomadi, madonnari, giocolieri, fotografi, italiani, stranieri. Alcuni trovando il loro spazio si fermano, ristrutturando abitazioni e trasferendosi, portando la popolazione dell’insediamento sino a una trentina di abitanti.

Ora il numero è diminuito e si è stabilizzato. Oltre ai viandanti, la comunità de La cattiva strada accoglie oggi anche riabitanti che nel tempo si erano spostati e che hanno poi fatto ritorno. Tra questi anche le figlie di Carla e e Nico, che dopo aver passato diversi anni a Genova a studiare e vivere hanno deciso di tornare per far crescere le loro figlie nel luogo in cui loro stesse sono cresciute.

E se inizialmente gli abitanti di Erli erano diffidenti e un po’ spaventati da queste persone così particolari che si erano trasferite lì, con il tempo hanno imparato a conoscerle e apprezzarle e oggi sono più che mai parte della stessa comunità: prova ne è il fatto che Carla è volontaria della Croce Bianca locale e sua figlia è membra del consiglio comunale.

CRESCERE IN NATURA

Quando chiedo a Lucrezia, ora mamma, com’è stato crescere in questa piccola comunità in mezzo al verde, mi racconta di un’infanzia felice, definendola «la più bella che si possa immaginare», aggiungendo: «Io, mia sorella e gli amici e amiche della stessa fascia di età eravamo padroni di un borgo intero, liberi dalla mattina alla sera». Grandi avventure accompagnate da giochi in natura e libertà, che la donna rivede oggi nel modo di passare il tempo di sua figlia: stessa voglia di arrampicarsi sugli alberi, stessa curiosità verso ogni dettaglio del contesto che la circonda.

SPAZI PRIVATI E COMUNI

Sin dalla nascita l’idea del progetto è quella di creare una comunità vicina, ma non una comune. «Sapevamo che la convivenza non è mai facile e che ognuno ha bisogno di avere un suo spazio personale, ma anche luoghi comuni in cui stare insieme per dare un senso al luogo aperto che volevamo creare». I fondatori decidono quindi di unire le proprietà private delle loro abitazioni a spazi comuni in cui condividere momenti della quotidianità.

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Tra queste aree ci sono una sala giochi per grandi e piccoli, una biblioteca sempre aperta, un centro sociale e una serra riscaldata nei mesi più freddi, con all’interno una cucina e un forno autocostruito dove mangiare insieme e condividere momenti di vita quotidiana con chi è lì. Anche per quanto riguarda gli orti ci sono pezzi di terra di proprietà e altri coltivati con gli altri abitanti. Mangiando spesso in gruppo poi, i prodotti personali e quelli comunitari si mescolano in una condivisione/dono continuo.

I CONFLITTI

Carla ci racconta che, in particolar modo durante i primi anni, ci sono stati diversi momenti di conflitto tra alcuni componenti della nuova comunità: divergenza di opinioni, programmi, pensieri contrastanti. La condivisione del progetto di vita ha però sempre vinto, aiutando a spingere le persone a risolvere le tensioni che si venivano via via a creare. «Abbiamo usato il bastone della parola tra gli strumenti: a turno in un grande cerchio ognuno poteva condividere il suo disagio e le sue emozioni, che venivano ascoltate e accolte dagli altri».

A oggi i grandi conflitti non ci sono più: continuano a sussistere, com’è normale che sia, diversità di opinioni, pensieri, litigate, discussioni, momenti di confronto più accesi. La cosa importante però è che non ci sono mai tentativi prevaricazione, come racconta Carla: «Abbiamo imparato a riconoscerci ognuno nel proprio essere, accettandoci e ricordandoci che forse alla fin fine siamo tutti uguali».

Se passate dalle valli interne albenganesi vi suggerisco di andare a far visita agli abitanti de La cattiva strada: una comunità che nel suo piccolo insegna come il percorso di una comunità possa essere magnificamente gioioso, difficile, talune volte complesso, ma mai noioso. Proprio com’è la vita, se vissuta davvero.

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