Federica Ooyen: “Superiamo le paure e i tabù legati alle malattie mentali”
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Genova - Federica Ooyen ha 29 anni ed è un’artista genovese che diversi mesi fa abbiamo intervistato per farci raccontare la sua storia. Le sue parole sono arrivate al cuore di tantissimi lettori che, nel frattempo, l’hanno contattata per condividere le proprie difficoltà e sentirsi meno soli. Sia chi soffre di disturbi simili ai suoi sia coloro che, invece, vivono accanto a persone con queste patologie, oltre al dolore affrontano anche solitudine, derisione e veleni. “Perché andare da uno psicologo quando posso stare col mio gatto che è gratis?” o “preferisco parlare con un amico dei miei problemi” sono solo alcune delle frasi che ruotano attorno alla poca consapevolezza in merito ai problemi psichiatrici.
Per approfondire l’argomento ho deciso di ricontattarla e affrontare con lei il tema della percezione delle malattie mentali.

Come viene percepita la malattia mentale nell’immaginario collettivo?
La malattia mentale viene avvertita come l’etichetta di una categoria, quella dei “folli”, oppure, al contrario, viene vista come una cosa che addirittura non esiste. Ciò che non si vede e non è tangibile non viene riconosciuto. Esistono tante sfumature. Anche il vento non si può vedere. Eppure c’è. E un malato psichiatrico non deve essere per forza “pazzo”. Esistono tante patologie diverse all’interno della psichiatria e anche nella stessa malattia vi sono spesso vari gradi di gravità. Io stessa sono stata diagnosticata come bipolare di tipo 2 e ho avuto una diagnosi borderline, eppure non ho mai sfiorato la psicosi. Sono solo una persona che ha subito e subisce delle depressioni fortissime e che è stata molto male.
Perché, secondo te, se ne parla poco? Pensi sia ancora un tabù?
Proprio per questa associazione di parole: “psichiatria/follia”. Anche un tumore al cervello può portare alla perdita di lucidità, eppure questo non viene stigmatizzato perché la parola “cancro” è accettata dalla società. Davanti a un malato oncologico si empatizza, con quello psichiatrico no. I pazienti psichiatrici hanno paura dei giudizi e della discriminazione. Di recente ho dato vita a un progetto con cui, attraverso le mie creazioni artistiche dedicate alla salute mentale, mi occupo anche di sensibilizzare e fare attivismo sui social. Spesso mi arrivano messaggi di persone, vittime di bullismo e mobbing, che purtroppo sono all’ordine del giorno. Io stessa ne sono stata vittima in passato.
Una ragazzina di 16 anni, per esempio, mi ha raccontato che per un periodo ha frequentato il liceo assumendo stabilizzatori dell’umore, con tutti i vari effetti collaterali che ne conseguono. La studentessa faticava a restare vigile, a ricordare ciò che studiava, aveva ripetuti attacchi di panico. Nonostante le difficoltà riportate e i certificati medici, alla madre è stato comunicato dal preside e dai docenti che non si potevano fare favoritismi. Quando un alunno si rompe una gamba e ha le stampelle, però, gli viene concesso di prendere l’ascensore, quando scopre di avere allergie alimentari gli viene prescritta una dieta diversa e un nuovo menù alla mensa scolastica. Perché in questo caso, invece, nonostante la patologia diagnosticata da medici specializzati, i comportamenti sono differenti?

Un antidoto allo stigma sociale è la conoscenza, mentre la consapevolezza è il primissimo stadio della cura. Cosa si può fare, secondo te, per combattere l’ignoranza e soprattutto la paura delle malattie mentali?
L’unica cosa che si può fare è parlare. Ci sono molte più persone che stanno male in silenzio di quante non possiamo immaginare. Mi hanno contattata numerosi ragazzini che non hanno il coraggio di parlare coi genitori, ma anche giovani che non si sono mai confidati nemmeno con un amico, come se fossero colpevoli di qualcosa. Essere depressi, avere un disturbo di qualunque tipo come attacchi di panico o di ansia, prendere psicofarmaci non è una colpa. Chi vi risponde facendovi sentire sbagliati o dicendovi che le medicine fanno male, è ignorante. Ogni farmaco fa male, anche la chemio fa male, ma se una patologia richiede una pastiglia per vivere o per migliorare la qualità della vita, è giusto assumerla.
Colgo anche l’occasione per abbattere un altro tabù: gli antidepressivi e gli stabilizzatori dell’umore non creano dipendenza, quelle sono le benzodiazepine e non curano nessun disturbo, si usano solo ogni tanto all’occorrenza per calmare o dormire. Ascoltate i medici, non i “dottori senza laurea”. E se state male, non vergognatevi. Non siete soli.
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