25 Mag 2021

Mario Bonfanti: quando sadomaso è felicità e spiritualità – Amore Che Cambia #8

Scritto da: Daniel Tarozzi

Come abbiamo fatto introducendo la prima parte dell'intervista al pastore Mario Bonfanti, vi invitiamo ad avvicinarvi alla sua storia abbandonando almeno per un momento i preconcetti e i tabù che caratterizzano i due grandi filoni lungo i quali si dipana la vita di Mario, ovvero spiritualità e sessualità. In questa seconda parte lasciamo ampio spazio alle sue riflessioni, limitando volutamente all'essenziale interventi e commenti da parte nostra per darvi la sensazione di essere lì, a parlare con lui.

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Milano, Lombardia - Giovedì scorso vi abbiamo raccontato la storia di Mario Bonfanti, ex prete cattolico, pastore della Chiesa MCC, rappresentante della Spiritualità del Creato, dichiaratamente gay e praticante BDSM. Come anticipato nell’introduzione del primo articolo, l’intervista che abbiamo avuto con Mario è andata a toccare aspetti molto personali e molto delicati, che necessitavano di un articolo e di un video dedicati. E quindi, eccoci qui.

Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati, con Mario che ha abbandonato la Chiesa Cattolica (non senza scontri), ha incontrato un suo nuovo percorso spirituale e può finalmente dichiarare liberamente le sue preferenze sessuali (e praticarle). Vi lasciamo alle sue parole, riportate con un tono volutamente colloquiale per lasciare inalterate anche le sfumature meno percettibili del suo discorso.

Don Mario e la scoperta della sessualità

«Fin quando ero piccolo – ci racconta Mario – ero attratto dai maschi, alle elementari proprio. Non c’era nemmeno l’interrogativo o la domanda. Leccavo i piedi di un mio vicino di casa e per me era un gioco normalissimo. Questo aspetto – che qualcuno chiama feticismo, parafilia – io lo vivevo in modo molto tranquillo e non avevo nessuna domanda. Non c’era nessun problema. E, crescendo, non sentivo queste mie attitudini in contrasto con ma mia fede. Ero il bambino che faceva il chierichetto, il classico bravo bambino di paese, che viveva la sua fede in modo praticante. Con la pubertà, alle medie, ho cominciato a chiedermi come mai alcuni dei miei compagni avevano la fidanzatina e invece a me piacevano i maschi. Poi in adolescenza, quando ero già in seminario, la cosa si è amplificata, anche a livello ormonale. Da un lato sentivo in modo forte il desiderio ascetico e spirituale, e dall’altro vivevo questo aspetto molto carnale e fisico che mi riportava al mio corpo, mi chiamava».

Mario viveva questo contrasto in modo drammatico, «arrivando a masturbarsi cinque volte al giorno per poi andare a confessarsi prima della messa per poter fare la comunione».

Passato ai carmelitani, Mario ha dovuto affrontare le resistenze delle istituzioni religiose. «Quando provavo ad aprirmi e mostravo le mie inclinazioni mi tornavano indietro delle cose allucinanti, indicibili. Ho cominciato a sentirmi malato, pensavo che ci fosse qualcosa che non andava in me, che avevo bisogno di aiuto. A un certo punto ho chiesto anche l’aiuto psicologico ma mi è stato negato. ”Ti bastiamo noi” mi hanno detto.

Al che mi son messo a cercare, leggendo, ma beccavo sempre cose che andavano nella direzione della patologia, della perversione, qualcosa che non andava bene, da curare. Finché, una volta uscito dal convento, mi è capitato in mano un libro di Vittorio Lingiardi “Compagni D’Amore”, dove a un certo punto lui parla anche di questo aspetto sado-maso e quando ho letto le cose che dice, mi si è aperto il mondo. Mi ha dato una chiave interpretativa, anche di questa mia energia masochistica in un’altra ottica, non della perversione, ma in una ottica spirituale».

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Una chiamata per essere “schiavo”

«Lingiardi – ci spiega Mario – da junghiano riprende i simboli religiosi notando che questi rappresentano e incarnano anche aspetti BDSM. Il sado-masochismo, quindi, viene mostrato anche nel suo lato spirituale di dedizione, di donazione, di adorazione, di venerazione, fusione». Per Mario è stato un passaggio chiave. Ha sentito risonanza, riconoscimento, nelle parole dello studioso: «Per me questa attrazione non era un gioco, un modo per giocare la propria sessualità, ma qualcosa di più radicale e profondo, che ha a che fare con una energia ancestrale. Per questo spesso ne parlo come una vocazione, una chiamata a essere schiavo, con tutto quello che comporta, come capita nelle vocazioni dei profeti. Ti senti chiamato, c’è un flusso di energia e potere che è possibile proprio per la distinzione. Ho sentito che c’era un flusso dentro di me dove tutto è insieme, un’energia unica che assume diverse forme. A volte una forma più spirituale, quasi rituale, altre una direzione più sessuale. Sesso e religione, per come li vivo io, sono accomunati dalla presenza di moltissimi rituali».

La parola “schiavo” è densa di implicazioni nefaste…

Cerco di capire, come ho detto nel precedente articolo, tutto voglio fare tranne che giudicare. Eppure devo ammettere che sentir utilizzare come qualcosa di bello e affascinante la parola “schiavo” un po’ mi manda in reazione. Da studioso di comunicazione è anni che sottolineo l’importanza dell’immaginario e quello dello schiavo è un immaginario mostruoso e purtroppo tutt’oggi attuale in molte parti del mondo. Decido quindi di esprimere queste mie perplessità a Mario. «È chiaro che questo termine possa turbare», risponde. «Ammetto che su questo aspetto non ho una risposta univoca, anche io ho tante domande aperte. Mi interrogo spesso sull’uso delle parole. Prendiamo ad esempio la parola Dio. Anche questa si porta dietro molteplici significati. In nome di Dio sono state commesse atrocità, combattute guerre. È una parola spesso associata alla violenza. È anche vero che faccio fatica a trovare un termine sostitutivo che sia comprensibile. Se tolgo la parola Dio e metto vita, energia, creatività, amore, non è la stessa cosa. Tornando a noi, è vero che usiamo parole forti come troia, puttana, frocio, finocchio… parole forti… In effetti da un lato c’è questo bisogno di trovare un linguaggio diverso che sia libero da quell’immaginario, dall’altro è anche vero che a un certo punto la comunità LGBT*QI ha deciso di fare proprie alcune parole “insultanti” come queer, per togliergli il potere di insulto e di oppressione. Stiamo provando a trasformare l’immaginario. Ma è un tema complesso».

L’incontro con il BDSM

Andiamo avanti nella discussione e Mario ci racconta il suo incontro con il BDSM. «Come ti dicevo, sono sempre stato attratto da queste due cose: i piedi maschili e la frusta. Mi hanno sempre affascinato tantissimo, non so dire nemmeno perché, mi sono analizzato tantissimo su questa cosa, quando ero in convento mi è capitato disgraziatamente di parlarne e mi son tornate indietro cose su mia madre o mio padre, e no, non ho avuto situazioni abusanti, genitori di un certo tipo, no. Sinceramente, non ne capisco l’origine, per questo parlo di qualcosa di ancestrale.
Una volta uscito dal convento, in cui più che sniffare le calze di qualche compagno non è che facessi, ho iniziato a cercare, perlustrare, conoscere questo mondo nel reale.

C’è stato un periodo di ricerca, di contatti, poi ho vissuto qualche esperienza, sempre incontri di giorni o week end in cui si giocava, ma punto. Questo tipo di esperienza, non mi soddisfaceva o riempiva. Avevo bisogno di qualcosa di più radicale.

Poi c’è stata una fase in cui mi sono auto-imposto qualcosa di diverso, in cui ho avuto un compagno tradizionale, ma tutte le volte dopo un po’ di anni mi stufavo nella relazione di coppia, sentivo che avevo bisogno di altro. Finché in queste ricerche sui social, ho conosciuto un master che ai tempi abitava qua vicino, e ho iniziato a incontrarlo, conoscerlo… Ricordo benissimo le cinghiate del primo incontro, che sono state un fascino allucinante per me. Fascinosum, nel senso latino, una attrazione fatale e “spaventosa” insieme. Come incontrare il divino, ti attrae e terrorizza. Uno spavento enorme. Perché davvero per me questo sadismo che mi arrivava addosso tramite la cinghia mi ha spaventato ma affascinato tantissimo. Mi sono detto “oddio Mario, dove finisci”. Questo mi ha tenuto un po’ in stand by».

Per un po’ di mesi Mario e il suo master si sono visti una volta al mese o anche meno. Si sono così “conosciuti” con calma. «Nel BDSM ci sono pratiche che è importante fare in sicurezza, non è che ti fai legare, o incatenare, o mummificare dal primo che passa per strada. Ho avuto altre storie, altre relazioni, finché dopo un po’ di anni ho capito che volevo solo lui, volevo diventare il suo schiavo h24. Ho quindi firmato un contratto di schiavitù e da lì è nato il nostro percorso».

Ecco di nuovo che la mia mente scalpita! Schiavo… h24… 24 ore al giorno… Aiuto! Emergenza. Ok, Daniel, respira. Non sei qui per giudicare, ma per ascoltare, accogliere. E poi guardalo. Guarda Mario. Sembra felice, è luminoso mentre parla. Quindi metti da parte i tuoi pregiudizi e andiamo avanti.

Nel video qui sotto Mario racconta in modo dettagliato questa parte.

Un rapporto basato sul consenso

Il consenso è alla base del BDSM, ma devo dire che questo è un po’ il concetto chiave di questo primo viaggio nell’amore che cambia. Torna sempre. Tutto è lecito, purché ci sia consenso. E se il consenso è consapevole, devo dire che mi sembra un ragionamento sensato!

«La consensualità è basilare – afferra appunto Mario – Ti faccio un esempio. Ad un certo punto il mio master mi ha imposto di chiudere con un ragazzo di Milano, con cui il rapporto – inizialmente basato sulla reciproca passione di piedi e fruste – era diventato un’amicizia. Capita quindi che ci vediamo per mangiare una pizza, senza fare niente. Un giorno il mio master mi chiede di troncare e cancellare il suo numero. All’inizio ho accettato di sospendere, con dispiacere; ma dopo un po’ ho deciso di ricominciare a incontrarlo e non di nascosto! Ne abbiamo quindi parlato e lui si è arrabbiato, ma a quel punto non importava, perché per me era importante anche la reciprocità, il rispetto reciproco. Va bene che entri nel mio ambito, che ci metti mano, su certe cose ti do ragione, mi serve anche per arginare magari un po’ di derive, benissimo se usi la mano forte è quello che voglio, ma su alcuni temi aspetta, no. L’amicizia la tengo.

È un punto fondamentale. Anche nel contratto che ho stipulato è scritto chiaramente che nessuno dei due interferisce nella vita lavorativa e personale dell’altro. È ovvio che in questo ambito più che in altri bisogna stare attenti. Potresti incontrare il pazzo di turno, che ti rinchiude o magari ti fa qualcosa che non vuoi, che va oltre gli accordi, il consenso. Ma qui non parliamo più di BDSM, ma di violenza».

I luoghi comuni sul BDSM

Affrontiamo poi i luoghi comuni sul BDSM. Chi lo pratica è una persona che cerca di compensare infanzia difficile, insicurezza sul lavoro, ruoli di potere manageriali o altro?

«Sicuramente uno dei classici luoghi comuni è che le persone che praticano BDSM hanno subito traumi nell’infanzia. Per carità, chiunque può aver subito traumi, ma questo non è certo la base del BDSM. Anche questa associazione che le persone sottomesse, nel ruolo bottom o slave, sono persone introverse, timide.. Mi sembra spesso una sciocchezza. Guarda me, non mi pare proprio di essere introverso e timido. E viceversa i master… Di solito sono considerati egoisti, narcisisti. Non è affatto automatico! Per carità può capitare, come in qualunque rapporto. Qualcuno dice che nel BDSM uno inverte i ruoli, quindi magari fuori è un manager stronzo e poi fa lo slave. Ci può anche stare, qualcuno lo fa, ma non è così automatico o deterministico. Un altro aspetto che vorrei chiarire è quello legato alla punizione. Diverse persone mi hanno chiesto per cosa mi dovessi far punire… Un cacchio! C’è questa idea che se ti fai frustare è perché vuoi espiare… no, è perché mi fa godere. È un tema di piacere».

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Il BDSM non è violento?

Quando ho scoperto che Mario è formatore di Comunicazione Non Violenta, mi è venuto da sorridere. Ma lui subito mi spiega: «Il BDSM non è violenza. È chiaro che bisogna fare un po’ chiarezza sui termini; a questo proposito consiglio libro di uno studioso italiano – Piero Giorgi – intitolato “La violenza inevitabile: una menzogna moderna”. In questo testo, Giorgi distingue tra aggressività, aggressione e violenza. Sono cose diverse. L’aggressività è una energia di vita, che a volte può uscire con comportamenti aggressivi, che sono invece culturali. È la cultura che ti dice come gestire l’aggressività e che definisce cosa possa essere o meno accettabile. La violenza è tutt’altra cosa, è qualcosa di pianificato e sistematico per distruggere psicologicamente e fisicamente membri della proprio specie.

Il BDSM, al contrario, non è fatto per distruggere, ma per dare energia. È uno scambio di energia e vita, non ha lo scopo di umiliare. Certo, ci sono pratiche umilianti, che fanno parte di questo rito, ma lo scopo non è l’umiliazione per distruggere la personalità ma si cerca di muovere energia attraverso pratiche estreme. Queste ovviamente non sono di tutti e per tutti. Non è che chiunque debba fare BDSM. In questo senso parlo di vocazione. Anche quando vivo pratiche che da fuori sono umilianti, non mi sento per niente umiliato, perché è qualcosa di consensuale, che mi piace, mi provoca piacere. Lo scopo non è umiliare. Anche pratiche forti non hanno violenza perché non vogliono far male. Il consenso e il piacere fanno la differenza».

Una relazione d’amore

Concetti forti, per una relazione speciale. Parliamo ormai da alcune ore ma mi rendo conto che non abbiamo praticamente utilizzato il termine amore. Chiedo quindi a Mario se questo sia presente nella sua relazione. Non ha dubbi. «Sì sto vivendo una relazione di amore, anche se dietro a questa parola – nel nostro caso – non si cela il contenuto convenzionale. Se apro quella scatola, nella nostra relazione, non trovo la coppia, i cuoricini, un regalo di San Valentino, ma trovo altro. Trovo l’adorazione reciproca, il rispetto reciproco, trovo la devozione, l’energia, la vita, trovo anche la fedeltà reciproca, la passione, l’eros… tante cose. La progettualità. Poi, certo io non mi aspetterò mai che il mio master mi dica “ti amo”, lui vuole che io lo dica, lo scriva, è importante che io lo faccia perché è davvero qualcosa che io sento. Da parte sua mi arriva con un altro linguaggio, altri gesti. Ma è un amore reciproco, sennò non ci starei dentro». Mario ci confessa che in futuro potrebbe valutare una convivenza e io gli chiedo se non tema di annullarsi in una relazione così totalizzante. «Anche in un’eventuale convivenza non ho paura che venga annullata la mia identità perché è il contrario. Quando sono al suo servizio e a sua disposizione ho un sacco di energia e sto benissimo, ed emerge dell’energia che non pensavo di avere. E quindi mi rendo conto che vivere completamente a sua disposizione significherebbe per me essere pienamente me stesso».

Leggi la prima parte dell’intervista.

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