19 Nov 2021

L’Italia delle màtrie, radicate nella cultura popolare e ignorate dalla politica

Scritto da: Daniel Tarozzi

Con Massimo Angelini parliamo delle màtrie italiane, le terre identitarie, le bioregioni, giustapposte alle patrie della geografia ufficiale e raccontate dallo scrittore nel suo nuovo libro intitolato Un'altra Italia. Per una visione più profonda, ragionata e consapevole del Paese in cui viviamo.

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“Povera màtria, schiacciata dagli abusi di potere” di una geografia ufficiale che nei secoli è sempre stata più attenta ad asservirsi alla politica e a piegarsi alla burocrazia che a dare voce ai territori e ai popoli che li abitano. Le màtrie sono quindi un oggetto di studio raro e curioso, a cui si è dedicato negli ultimi tempi Massimo Angelini, filosofo della Terra”, grande conoscitore della cultura rurale e fondatore della casa editrice Pentagora.

Tra i libri pubblicati dalla tua Pentagora troviamo un testo da te curato intitolato Un’Altra Italia. Un libro particolare, che contiene poche pagine scritte in modo tradizionale e si svolge poi tra schede, dati e riferimenti. Ce lo presenti?

Un’Altra Italia ci parla di un Paese che conoscono tutti, ma che ufficialmente non esiste. Mi spiego: la scuola, l’amministrazione pubblica, la politica riconoscono le regioni, le province, i consorzi di comuni, ma ignorano la Maremma, la Carnia, il Siccomario, il Cilento e le centinaia di subregioni, terre identitarie, bioregioni, piccole patrie – ne ho contate e cartografate oltre 500 –, anzi màtrie, come mi è piaciuto nominarle, entro le quali chi ci è nato e ci vive si riconosce.

Il libro è composto da una carta certamente mai vista prima e da oltre 500 schede dove di ciascuna matria si dà la collocazione – non l’esatta definizione geografica, talvolta davvero impossibile da coniare –, i Comuni che totalmente o prevalentemente la compongono, l’origine del nome – quando è nota –, il centro principale – il capoluogo –, una nota sulla lingua locale che vi si parla, spesso anche l’indicazione di un libro che la racconta.

unaltra italia matrie
Cosa ti ha spinto a scriverlo e perché proprio in questa forma?

Ho desiderato restituire un modo vernacolare, popolare, domestico di pensare lo spazio geografico, profondamente diverso da quello ufficiale e burocratico. Se mi permetti un paragone, è stato come contrapporre all’anagrafe ufficiale un’anagrafe popolare composta di soprannomi di famiglia e soprannomi personali: qualcosa che per la gente esiste, che è lessico quotidiano, ma che lo Stato e le sue emanazioni ignorano.

Come si usa e a chi si rivolge?

Il libro e la carta allegata nelle mie intenzioni hanno due destinazioni differenti: il primo è un repertorio di nomi e notizie da consultare, la seconda – la carta arlecchina dell’Italia – è un’immagine da… meditare, una risposta arcobalenica – mai localista, mai escludente – della compresenza di idiomi, spazi e culture che caratterizza la forma locale di questo Paese.

A chi si rivolge? Ai cultori del territorio, agli amanti della cartografia, ai bioregionalisti, a chi pensa che la dimensione di prossimità potrebbe essere una cura “omeopatica” – viste le dimensioni ridotte, talvolta ridottissime, degli spazi – per una sempre più diffusa percezione di spazio inteso come dimensione impersonale, uguale ovunque, virtuale.

Il libro contiene anche una mappa decisamente diversa dalle solite. Quale è stata la più grande difficoltà nel comporla?

La carta parte dal contorno dei 7904 comuni italiani, piano piano ricomposti e riuniti gli uni agli altri per dare figura alle màtrie. È un lavoro pensato per dieci anni e realizzato in nove mesi, grazie a centinaia di contatti epistolari, ma soprattutto telefonici, con i referenti locali. Ma la dimensione e la lungaggine del lavoro rappresentano solo una difficoltà, neppure la più ostica da superare.

Ben più faticoso è stato tentare di circoscrivere terre la cui estensione è contestata, oggetto di polemiche talora secolari e ancora vivissime tra gli eruditi locali. Ti basti pensare alla difficoltà di tentare una definizione non vaga e diffusamente condivisa della Ciociaria, del Pianalto o della Barbagia, per suggerire solo pochi esempi.

matrie maremma
In che rapporto si pone questa opera rispetto al movimento bioregionalista?

Il libro ricostruisce un’immagine del territorio nazionale che propriamente non si potrebbe definire bioregionalista, anche se tante terre/matrie sono riconducibili a una dimensione bioregionale. Peraltro, la frequentazione e la conoscenza del movimento bioregionalista mi hanno certamente influenzato e incoraggiato a dare forma a un’idea abbozzata, la prima volta, agli inizi degli anni Ottanta, quando sulla rivista Etnie avevo incontrato una carta dedicata a un altro modo di pensare un’Europa delle regioni descritta su base linguistica.

Hai in mente qualche nuova opera legata a questa tematica?

Non più un’opera legata a un’immagine vernacolare, popolare del territorio nazionale, ma un’altra di sapore ugualmente geografico, però dedicata alle reali dimensioni dei paesi e dei continenti, utile per raccontare ancora una volta la bellissima proiezione di Peters, che restituisce una reale proporzione e confrontabilità tra le aree del mondo, tra il sud e il nord.

Non tutti infatti sanno, per esempio, che la Groenlandia è minuscola in confronto all’Africa, mentre le comuni proiezioni ce la fanno apparire enorme, né che il Congo è grande quasi quanto l’Europa occidentale. Ancora una volta si tratterà di un’immagine non ovvia, non scontata dello spazio geografico, proprio come avviene in Un’altra Italia.

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