19 Nov 2021

Meraki: «Dopo un brutto incidente abbiamo cambiato vita e ora celebriamo l’amore nei suoi piccoli gesti quotidiani»

Scritto da: Valentina D'Amora

Sara e Alessandro sono compagni di vita e di “rinascita” che hanno deciso di far ruotare intorno all’amore che si nasconde nei piccoli gesti quotidiani la loro nuova esistenza. Così è nato Meraki Photography, un nuovo approccio alla fotografia fondato su cura, attenzione, consapevolezza e meraviglia. Ci hanno raccontato il loro lavoro da fotografi, dedito alla bellezza dell’imperfetto.

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La Spezia - Meraki in greco significa “essenza di noi stessi”, ma esprime anche un concetto intraducibile in italiano con una sola parola: si riferisce a quando qualcosa viene fatto con l’anima, lasciando qualcosa di sé. Ed è anche il nome di una coppia, nella vita e sul lavoro, Sara e Alessandro, che ha trasformato il dolore di un evento traumatico in qualcosa di prezioso.

Nel 2015 Sara ha avuto un grave incidente, a causa del quale ha trascorso quasi 30 mesi a letto. Tra la noia di giornate interminabili e i dolori che non le permettevano di stare in piedi, la vita sembrava scivolarle via e si ritrovava spesso a guardare vecchie fotografie. Sfogliando tutti quei momenti di normalità, Sara realizzava sempre di più quanto fosse importante vivere appieno ogni giornata.

Proprio da questo slancio è nato Meraki, un diverso approccio alla fotografia. Adesso Sara e Alessandro sono passati dall’altra parte dell’obiettivo ed esplorano, da fotografi, i legami e le relazioni umane, scendendo in profondità per riuscire a scattare la vera essenza di ogni persona che incontrano. Dalla loro esperienza e dai loro “perché” sono arrivati a creare sessioni fotografiche completamente diverse da quelle tradizionali, giornate di frizzante spontaneità, senza pose e contesti patinati, che fanno di Meraki un’esperienza a tutto tondo.

Meraki gatto amore
Com’è nata l’idea di dare vita al vostro progetto “Meraki – Fotografie d’amore”?

Dopo l’incidente ho riscoperto l’importanza delle piccole cose come cucinare, vestirsi, ballare, tenere la mano di Alessandro durante una passeggiata. In quei mesi difficili ho imparato a osservare con occhi nuovi tutto ciò che mi circondava. E nel momento in cui sono riuscita a passare qualche minuto in piedi ho ripreso in mano la macchina fotografica e ho cominciato un rituale di gratitudine. Ed è lì che ho sentito il desiderio di donare agli altri ciò che mi aveva sostenuto nelle giornate buie: i ricordi di momenti felici. Prima dell’incidente lavoravo come traduttrice e interprete, ma poi la mia vita è cambiata e ora ho una nuova consapevolezza.

Cosa ci si perde, secondo voi, in uno shooting in posa rispetto alla naturalezza che proponete nel vostro tipo di fotografia? 

Essere stati molte volte dall’altra parte dell’obiettivo e aver fatto un lavoro profondo su noi stessi ci ha fatto capire molte cose. Secondo noi in uno shooting in posa si perde il valore dei ricordi autentici e dell’unicità di ogni essere umano. Tutte le famiglie che abbiamo fotografato in questi anni ci hanno confidato di non desiderare foto uguali a quelle di tutti gli altri: vogliono immagini in cui potersi riconoscere, quelle che un giorno si trasformeranno in storie da raccontare seduti insieme sul divano, sfogliando il loro album. 

Con il nostro tipo di fotografia celebriamo il legame che ci unisce a chi amiamo, i piccoli gesti che spesso passano inosservati, i momenti quotidiani che illuminano le nostre giornate. Riguardando le fotografie della nostra infanzia, le nostre preferite non sono quelle in posa e delle grandi occasioni, ma quelle dei giorni passati tra le braccia di chi ci ha donato amore, delle estati nella casa in montagna con i nonni, delle coccole, dei picnic con la famiglia. Le foto con le nostre “radici”.

Da fotografi cosa vi portate a casa dopo ogni servizio?

Con il nostro approccio entriamo nell’intimità delle famiglie che aprono le porte delle loro case e ci permettono di esplorare il loro mondo. Prima di ogni servizio, ci teniamo a conoscere le loro storie in modo da poter osservare il mondo anche attraverso i loro occhi.

Questo è il primo dono che riceviamo: la capacità di guardare ciò che ci circonda con un nuovo sguardo. Ci sono momenti, durante il servizio, in cui posiamo a terra la macchina fotografica e ci facciamo pervadere dalla bellezza. Ci abbandoniamo per farci guidare dalle loro emozioni. Ci commuoviamo insieme a loro, ridiamo con loro, percepiamo le loro sensazioni.

In alcuni casi arriviamo a “sentire” con una tale profondità da creare un legame potente con chi fotografiamo, che resta negli anni. Ricordiamo ancora un servizio fotografico di gravidanza, in cui siamo riusciti a percepire la bimba mentre veniva al mondo e i brividi che ci hanno attraversato la pelle quando, la mattina dopo, ci è arrivato un messaggio con la sua prima fotografia.

Sposi Meraki pizza
E a fine shooting come vi sentite?

Ci prendiamo del tempo per elaborare tutte le emozioni che abbiamo provato e riguardiamo tutti i gesti di cura e protezione di cui siamo stati testimoni. Può essere uno sposo che sfiora delicatamente il viso della sposa per spostarle i capelli e baciarla, un papà che allaccia le scarpe al figlio, lo sguardo di una madre mentre allatta. Impariamo sempre qualcosa di più su noi stessi, sulla profondità delle emozioni, sulle infinite pieghe in cui si nasconde l’amore. Sulla vita stessa. E ogni volta siamo grati di fare ciò che facciamo.

I soggetti riescono a mantenere spontaneità nonostante gli obiettivi?

All’inizio è normale provare un po’ di imbarazzo e lo capiamo bene perché ci siamo passati anche noi. Paradossalmente sarebbe più semplice mettersi in posa, perché siamo così abituati a “fare e performare” che si rimane spiazzati quando invece si può semplicemente essere sé stessi. Ecco perché trascorriamo i primi istanti senza macchina fotografica a cercare di entrare in connessione con chi abbiamo davanti e ci prendiamo tutto il tempo necessario affinché tutti si sentano a proprio agio.

Spesso ci ritroviamo a trascorrere la prima ora nelle camerette a giocare e a bere da tazzine vuote insieme ai più piccini. Chiediamo anche a loro il permesso di entrare nel loro mondo. È così che si scioglie ogni tensione e nascono gli scatti più autentici. C’è un istante preciso in cui sentiamo che si sono completamente dimenticati della macchina fotografica. Lo si percepisce proprio.

Un progetto così relazionale come Meraki, fondato sulla “lentezza” e sulla cura, ha alle spalle una rete sul territorio?

Le difficoltà che incontriamo nella creazione di una rete sul nostro territorio non sono poche, soprattutto perché ci piacerebbe dare vita a relazioni professionali e umane profonde con cui poterci confrontare, non solo riguardanti l’aspetto commerciale. Per noi noi è molto importante avere una visione comune con le persone con cui collaboriamo.

Apprezziamo molto l’attività delle doule della zona perché riusciamo a rispecchiarci nei loro principi e nel loro approccio. Abbiamo collaborato con delle realtà locali dedicate alle famiglie e associazioni culturali, abbiamo partecipato a laboratori artistici per bambini e anche a un festival dedicato al benessere olistico. Al momento stiamo lavorando per creare una rete ancora più solida ed essere al servizio della comunità locale e abbiamo tantissimi progetti per il futuro!

Alessandro e Sara
Alessandro e Sara
Un’attività particolare come la vostra viene da pensare che si possa scoprire prevalentemente attraverso il passaparola: è realmente questo il canale che prediligete per far conoscere il vostro lavoro o avete altri mezzi per distinguervi dai “classici” fotografi nel guazzabuglio della rete?

Sì, tanti dei nostri clienti ci contattano tramite il passaparola, proprio perché i nostri servizi vanno vissuti in prima persona e non è semplice spiegare a parole l’esperienza che vivranno. Molti vivono in altre parti d’Italia (e del mondo) e si rivolgono a noi perché si sentono rappresentati dalle nostre fotografie.

Siamo anche attivi sui social e ci distinguiamo dai “classici” fotografi sia per le immagini che per il tipo di comunicazione, che abbiamo sempre voluto mantenere intima e autentica. Ci ricordiamo ancora il grande entusiasmo con cui è stato accolto proprio sui social il nostro “Calendario dell’Avvento delle Piccole Cose”, qualche anno fa, e che ci ha permesso di entrare in contatto con tantissime persone che condividono i nostri stessi valori.

Ormai siamo abituati a vedere immagini perfette, mentre la nostra fotografia cerca di scardinare l’idea di perfezione propinata dai media per abbracciare l’unicità di ogni essere umano. La perfezione dell’imperfezione. È difficile, ma ne vale la pena.

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