16 Dic 2021

Lanificio Leo, alla scoperta di nuovi e antichi modelli d’impresa – Io Faccio Così #337

Scritto da: Elisa Elia
Intervista di: ELISA ELIA E DANIEL TAROZZI
Riprese di: ELISA ELIA
Montaggio di: PAOLO CIGNINI

Emilio Leo ha ripreso l’antica fabbrica di famiglia datata 1873 e le ha dato una forma nuova, ispirandosi a modelli imprenditoriali virtuosi, produzioni votati alla durevolezza e alla qualità e condizioni che garantiscano il benessere di chi lavora. È ri-nato così il Lanificio Leo, un’azienda che lavora la lana nel Reventino, nel cuore della Calabria.

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Catanzaro - Tradizione e innovazione: quante volte sentiamo nominare questo binomio per raccontare delle realtà virtuose? Ma quante volte questo accostamento è reale e autentico o solo apparenza? Ecco, se c’è una domanda a cui troviamo risposta in questo viaggio nella Calabria che Cambia è questa: il Lanificio Leo è la rappresentazione concreta di cosa può venire fuori quando antico e nuovo si mescolano.

Per arrivarci, io e Daniel, abbiamo percorso le strade di montagna del Reventino piene di verde, giallo e arancione fino ad arrivare a Soveria Mannelli, dove il lanificio ha la sua sede. Qui incontriamo Emilio Leo, creative director nonché colui che ha ridato vita alla fabbrica dopo tanti anni di inattività: «Io ero l’ultimo che doveva occuparsi di questa storia: sono stato mandato a studiare proprio per sganciarmi da questo tipo di attività e paradossalmente aver studiato architettura mi ha dato strumenti per guardare questo posto con occhi diversi», ci racconta.

lanificio leo 1

Il Lanificio Leo infatti è l’antica fabbrica di famiglia, la prima a produrre lana in Calabria, fondata nel 1873 dal bisnonno di Emilio. Dopo un lungo periodo di benessere – «era la sirena del lanificio a scandire la vita in paese» –, negli anni ‘70 arriva il tracollo: «Da una parte ci sono stati un cambio generazionale dovuto al boom economico e l’ingresso massivo di merci prodotte altrove e dall’altro la decisione governativa di cambiare completamente le razze da lana in Italia», spiega Emilio.

«Si è deciso infatti di investire principalmente sulla pecora sarda, che produce più latte e la cui lana però oggi è un rifiuto speciale». La lana con cui erano (e sono fatti) i prodotti del Lanificio Leo infatti viene dalle pecore merinos, di cui una volta la Sila era piena.

Lentamente la fabbrica chiude, ma il padre di Emilio continua a mantenere in vita i macchinari per circa vent’anni. Una vera e propria “resistenza”, alla quale seguirà la decisione di Emilio di ridare vita a quel luogo di famiglia. Inizia tutto con delle sperimentazioni fra la fine degli anni novanta e il 2008: «Qui abbiamo organizzato Dinamismi Museali, un festival internazionale, durante il quale per tre notti d’estate la fabbrica apriva le porte a una serie di contenuti inediti ed eversivi: ad esempio qui abbiamo fatto concerti di musica elettronica e spettacoli di performing art con gruppi che venivano da Berlino e da Stoccolma».

Questa lunga stagione è servita come incubatore di idee e pratiche per far sì che l’innovazione potesse accordarsi bene con la tradizione. Come ci racconta Emilio, «questo è stato il meccanismo per riscrivere il software su un hardware che c’era già. La mia sfida era dimostrare che l’intelligenza che serviva non era cambiare macchine e capannoni e poi non sapere cosa fare, ma usare le stesse cose con un modo di fare completamente diverso e più intelligente». E lo fa custodendo e salvando saperi che altrimenti si sarebbero persi, senza però cristallizzarli in una forma antica non più valida e sostenibile di per sé.

Dal Lanificio Leo infatti escono coperte, plaid, cappelli, poncho: tutti prodotti convenzionali, che però sono durevoli, di alta qualità e soprattutto con un significato che si fonda sul modello di produzione: «Io credo che poter riattivare il meccanismo della produzione ha tutta una serie di vantaggi: per noi produrre significa poter dare più opportunità di lavoro e quindi creare presidi di dignità», aggiunge Emilio.

«Siamo una piccola realtà aziendale, dove la routine non è alienante, in cui le persone che lavorano sono co-creatrici del prodotto: ciò che è immaginato dai designer viene creato fattivamente poi dalle maestranze». Ed è portato avanti in una filiera che è molto legata al territorio, tranne che per il reperimento della lana.

Anche le scelte sulla distribuzione, ad esempio, fanno tesoro di questi concetti: il Lanificio vende in Italia e all’estero, ma cerca sempre di scegliere dei punti di distribuzione significativi, come accade per il flagship nel centro di Cosenza, accanto al caffè Renzelli, un luogo storico e che pure è meno conveniente, ad esempio, di un centro commerciale.

lanificio leo 2

Mentre Emilio ci racconta questa storia e ci mostra gli antichi macchinari della fabbrica, è difficile non vedere la passione con cui ne parla. È una storia affascinante anche per chi, come noi, la vede dall’esterno. «La tessitura è un po’ assimilabile al concetto matematico, grazie al telaio di legno che, di fatto, è la prima macchina automatica della storia nata già 1400 anni prima di Gutenberg», continua Emilio.

«È molto affascinante pensare che sia una macchina che attraverso una certa programmazione può gestire in modo diverso ciò che prima veniva fatto a mano: il risultato che noi vediamo nasce da qualcosa di strettamente scientifico. E questo la avvicina alla matematica e alla musica».

Sembra di sentire tornare ancora una volta il termine innovazione, che è già una base intrinseca di questi strumenti: il Lanificio Leo non ha fatto altro che seguirne la traccia, trarre ispirazione e creare qualcosa di nuovo e antico allo stesso tempo.

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