30 Mag 2022

Giovani e pandemia: quali effetti sociali e psicologici su ragazzi e ragazze?

Scritto da: Lorena Di Maria

Quali impatti ha prodotto e sta producendo la pandemia sulla vita dei più giovani? Ce ne parlano alcuni studi riportati durante il seminario "Giovani e pandemia" che si è svolto a Torino, risultato di un approfondito lavoro di ricerche, interviste e progetti che hanno coinvolto ragazzi e ragazze in questi ultimi due anni.

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Torino - “Il problema è che questi adolescenti sono da sempre disabituati a un minimo di sacrificio e rinunce, abituati ad avere tutto. Subito si trovano spiazzati e non sanno come gestire questo disagio”.

“Adesso basta. Chi vuole studia in ogni condizione. Stare a casa in DAD ti tutela la salute e se vuoi studi. Se ti manca la scuola per via della socializzazione allora è perché vai a scuola solo per chiacchierare e non per studiare”.

Quelle che state leggendo sono alcune tra le migliaia di testimonianze di cui sono stati tempestati i social network negli ultimi due anni. Post che potrebbero appartenere a un nostro parente, al vicino di casa, a un passante. Indipendentemente da chi le ha pronunciate o, in questo preciso caso, digitate sulla tastiera del proprio smartphone, ciò che le accomuna è un giudizio, un falso stereotipo rivolto ai giovani, agli adolescenti e alla loro condizione durante il periodo di pandemia.

Eppure, sui giovani e il loro vissuto durante la pandemia ci sarebbe molto altro da dire. Magari partendo da studi concreti che, facendo parlare i dati, mettano in luce come ragazzi e ragazze abbiano realmente vissuto la pandemia e che raccontino i suoi effetti in questi due anni. Uno spunto di riflessione è stato il seminario “Giovani e pandemia” che si è recentemente tenuto a Torino e che ci ha raccontato diverse prospettive di come oltre due anni di pandemia abbiano impattato sull’universo giovanile: dal piano emotivo alla cura di sé, dalle relazioni sociali all’uso del tempo, dal vivere l’emergenza al rapporto con regole e restrizioni.

Tutto questo è stato possibile grazie a un approfondito lavoro di ricerche, interviste e progetti su e con i giovani, avviate in ambito torinese da diverse realtà: il Rapporto Rota (progetto del Centro Einaudi dedicato allo sviluppo e al futuro delle città), il Dipartimento Culture Politica Società dell’Università di Torino e l’associazione di animazione interculturale Asai (che propone iniziative educative e culturali rivolte a bambini, giovani e adulti). I dati descritti durante l’incontro sono svariati e per questo abbiamo scelto di riportarne alcuni, per offrire una panoramica più ampia e variegata.

I GIOVANI E LA DAD: ALCUNI DATI

Luca Davico, docente presso il Politecnico di Torino, ha riportato alcuni dati relativi a Un anno sospeso, il ventiduesimo rapporto Giorgio Rota su Torino. Ci parla di didattica a distanza, riflettendo su alcune delle convinzioni diffuse in questi anni e relative alla pandemia. Una di queste è che “gli studenti a scuola rappresentano uno dei maggiori pericoli collettivi di focolaio Covid”.

Come ci spiega però, secondo uno studio della Oxford University condotto nella primavera del 2021, “la chiusura delle scuole ha inciso molto poco rispetto alla chiusura di altri luoghi come negozi e supermercati, chiese e cori, bar ristoranti o discoteche”. Lo studio internazionale, effettuato sulla base di dati relativi al primo anno di Covid in diverse nazioni, ha infatti permesso di stimare come la chiusura di scuole e università abbia contribuito a ridurre solo del 7% l’indice di contagio Rt, a fronte di un -26% nel caso della chiusura dei luoghi di ritrovo e a un -35% nel caso della chiusura degli esercizi commerciali.

C’è poi un altro diffuso luogo comune su cui si è posta l’attenzione, ovvero che “con la pandemia in atto, la scuola non può che essere in DAD”. I dati ci mostrano in questo caso che più lunga è stata la DAD e più sono calate le competenze degli studenti. Facciamo un esempio: Bari e Napoli hanno avuto rispettivamente il 60,6% e il 61,8% di chiusura delle scuole e hanno riportato una variazione dal 2019 al 2021 dei punteggi invalsi del -4,4%.

Al contrario, scuole che hanno tenuto aperto più a lungo, hanno rilevato una variazione minore dei punteggi invalsi, proprio come il caso di Roma, che ha visto una chiusura delle scuole del 7,6% e una variazione dei punteggi Invalsi dell’-1,8%.

E l’educazione fisica? Non c’è neanche bisogno di ricordare che l’attività fisica è considerata una delle componenti principali di una vita sana, come per i suoi effetti benefici sul nostro sistema immunitario, di cui molto si è parlato durante il periodo pandemico. Eppure questi due anni inevitabilmente hanno portato a una maggior sedentarietà anche tra i giovani. Un aspetto critico che emerge è che non abbiamo a disposizione sufficienti dati sulla percentuale di svolgimento dell’attività motoria nelle scuole. Istat, ad esempio, è ferma ai dati del 2019, il Coni a quelli del 2018, così come lo stesso Uisp.

Altra convinzione diffusa è che “uno dei problemi del contagio è che gli studenti si accalcano nei viaggi casa-scuola sui bus affollati”. Come spiega Luca Davico, «questo è vero, ma come sappiamo non è un problema degli studenti, è un problema legato alla mancanza di politiche di mobilità più ragionate. Per potenziare i mezzi pubblici si è fatto poco e soprattutto dopo un iniziale bonus bicicletta nessuno ha più parlato di politiche di incentivazione della mobilità casa-scuola in bici, per esempio».

Ma per fortuna molti studenti ci hanno pensato da soli e i dati lo dimostrano. «Dai dati di Torino e Piemonte, tra gli studenti delle scuole superiori, l’aumento dell’utilizzo della bici è stato molto consistente tra 2019 e 2021». In Piemonte infatti si è rilevato in questi anni un aumento del 73% dell’utilizzo della bici. La nota dolente è che, allo stesso tempo, non possiamo ignorare l’aumento del 40% di utilizzo dell’auto e la riduzione dell’uso dei mezzi pubblici del 15%. 

ALCUNI DATI SU GIOVANI E PANDEMIA

L’Università di Torino riporta altri dati: durante il periodo pandemico ha raccolto 1455 questionari e li ha somministrati a adolescenti (14-19 anni) e giovani (20 -29 anni), svolgendo oltre 50 interviste a giovani residenti nell’area di Torino e Provincia. Come riportato dal report “Giovani e pandemia” a cura di Sonia Bertolini e Claudia Rasetti, emerge il vissuto di un tempo sospeso: l’oggi (in isolamento, a casa, nella camera) tra un ieri e un domani che sono sfumati. «Prendendo in considerazione il campione totale è emerso che gli aspetti percepiti come più destabilizzati durante il periodo pandemico sono stati: scuola (58%), amicizie (55%), contatto fisico (51%), salute e sport (entrambi al 32%)».

A questo si aggiunge il fatto che quasi metà del campione totale, ovvero il 45% tra adolescenti e giovani, durante il periodo della pandemia ha cambiato il proprio modo di immaginarsi nel futuro. «Nella maggior parte dei casi in senso prettamente negativo: tra coloro che hanno modificato le aspettative lavorative la maggior parte evidenzia la paura di non trovare lavoro, il ridimensionamento delle aspettative, l’incertezza e l’aver dovuto rinunciare a delle opportunità a causa delle misure restrittive».

C’è poi un aspetto centrale: la paura di non riuscire a trovare lavoro non è legata solamente allo scoppio della pandemia, ma si tratta di un timore già conosciuto da lungo tempo tra le giovani generazioni a causa della crisi economica e del maggior precariato. Tuttavia, sono stati evidenziati anche alcuni elementi positivi quali l’aver deciso di non doversi accontentare o, in particolare per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, l’aver meglio definito il tipo di professione per cui si è portati.

Gli adolescenti non sono fermi, tocca a noi creare contesti in cui il loro movimento non sia fine a sé stesso

«Quest’ultimo aspetto emerge dalle frasi di risposta dei/delle intervistati/e che dichiarano che la preoccupazione legata alla difficoltà (se non impossibilità) di trovare un’occupazione è aumentata, ma non si tratta di una novità. Alcune frasi riportate sono: “Ancora meno speranza rispetto a prima”, “Se già prima c’era poca speranza, ora nemmeno più quella poca speranza”, “Credo sarà ancora più difficile trovarlo nel mio campo”. Particolare preoccupazione è emersa tra i giovani intervistati che frequentano l’alberghiero, dovuta all’inevitabile crisi che questo settore ha vissuto nei mesi delle chiusure e che in parte vive ancora adesso».

Anche l’associazione Asai di Torino, con il progetto #nonsiamostatifermi, si è occupata dei giovani e della situazione di potenziale rischio di dispersione scolastica e sociale degli adolescenti. Il suo progetto intende contrastare il fenomeno dell’invisibilità che li circonda: da qui è nata l’idea di elaborare e raccogliere alcuni articoli scritti a partire dalle esperienze degli adolescenti e illustrati da ragazzi e ragazze della Scuola Internazionale di Comics di Torino. Ciò che è uscito è una pubblicazione che racconta storie, vissuti, riflessioni degli adolescenti su scuola, DAD, volontariato, musica e ritiro sociale. 

Sono le storie di Aicha, Salma, Meryem e Hajar, quattro amiche che vivono nella periferia di Torino, dove frequentano le superiori e che ci parlano di scuola, amicizie e passioni da coltivare in tempi di Covid. È la storia di Mabel, che è sempre stata timida e introversa e che poco per volta ha cominciato a non connettersi più alle lezioni scolastiche, a non rispondere alle amiche che la cercavano, fino alla scelta di abbandonare la scuola.

Giovani e pandemia 1

È anche la storia di Alice e Axell, che trovano nella musica una possibilità di espressione e alla quale si sono dedicate nonostante i periodi di isolamento. Come spiega Riccardo D’Agostino sul sito dell’Asai, di cui è uno dei responsabili, «dal confronto con loro, di fatto, è emerso fin da subito come il fenomeno dell’invisibilità fosse un concetto percepito maggiormente dal mondo degli adulti che non da loro stessi. Al contrario, ragazze e ragazzi manifestavano un forte desiderio di esprimersi e di esserci per sé e per la comunità».

Come ci raccontano le storie raccolte dall’associazione Asai e come testimoniano i dati del Rapporto Rota e del Report dell’Università degli Studi di Torino, è importante che in questo particolare periodo storico ogni giovane individuo e gruppo sociale possa trovare il proprio spazio per incidere nella società: «Responsabilità e cura della propria comunità – aggiunge Riccardo D’Agostino – non sono ascrivibili al campo dei “doveri”, ma vanno pensati come diritti da garantire, creando varchi anche a favore dell’iniziativa dei più piccoli. Gli adolescenti non sono fermi, tocca a noi creare contesti in cui il loro movimento non sia fine a sé stesso, ma contribuisca a definire il presente e il futuro».

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