13 Giu 2022

“Idee in Fuga” per riscattare chi prova a costruirsi un nuovo futuro oltre i confini del carcere

Scritto da: Benedetta Torsello

Di un nuovo modello di economia carceraria – meno autoreferenziale e circolare – ci hanno parlato Carmine Falanga e Andrea Ferrari della cooperativa sociale Idee in Fuga. Con Social Wood e Fuga di Sapori si impegnano da anni a portare il lavoro fuori dalle mura del carcere e creare microfiliere virtuose sul territorio.

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UNA BOTTEGA SOLIDALE SULLE MURA DEL CARCERE

Alessandria - «Quando penso ai veri invisibili della società, penso ai detenuti. O entri dentro o non ti accorgi neppure della loro esistenza». Sono queste le parole con cui Carmine Falanga, presidente della cooperativa sociale Idee in Fuga, testimonia il suo lavoro nel carcere Cantiello e Gaeta di Alessandria. Non a caso questo istituto penitenziario è un unicum in tutta Italia con la sua bottega costruita abbattendo letteralmente parte delle mura cinta: «A sinistra si entra in carcere, a destra c’è l’ingresso della nostra bottega», chiarisce Carmine.

Concepita come uno spazio in cui il mondo esterno sconfina oltre i limiti inaccessibili dell’istituto penitenziario, sin da quando è stata aperta nel 2017, la bottega solidale ha reso la vita nel carcere meno invisibile agli occhi della comunità. «Abbiamo iniziato vendendo prodotti di economia carceraria e abbiamo scoperto come ognuno di questi rispecchi le tradizioni di un territorio o una regione. Da lì un’intuizione: perché non provare a realizzare dei prodotti con un nostro marchio?», mi racconta Carmine. Così nasce Fuga di Sapori.

QUANDO L’ECONOMIA CARCERARIA CREA MICROFILIERE VIRTUOSE

Dalla bottega solidale, nel 2020 nasce la cooperativa Fuga di Idee, impegnata in progetti di integrazione sociale e lavorativa a favore di soggetti svantaggiati. Insieme a questa viene lanciato il marchio Fuga di Sapori, una delle due anime del progetto nell’istituto penitenziario di Alessandria. «Siamo partiti prendendo dei prodotti semilavorati, come il caffè torrefatto nel carcere femminile di Pozzuoli o i canditi del carcere di Siracusa, tutti provenienti dal circuito dell’economia carceraria, e da questi abbiamo realizzato dolci, conserve e liquori, avvalendoci della collaborazione di artigiani e piccole imprese del territorio», prosegue Carmine.

fuga di sapori

Ogni etichetta non è solo una finestra sull’economia carceraria, ma un racconto di territori, tradizioni e sinergie tra il mondo al di là delle mura del carcere e le imprese. «Così – racconta Carmine – è nata ad esempio una delle nostre birre, la Rubentjna, grazie alla collaborazione tra Fuga di Sapori, il Birrificio Trunasse e Birra Madama, utilizzando il luppolo coltivato dai detenuti della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno di Torino».

All’interno dell’istituto penitenziario di Alessandria sono stati realizzati un luppoleto e un apiario, ma ciò che più sta a cuore alla cooperativa Fuga di Idee è portare il lavoro al di là delle mura del carcere: «È importante far lavorare i detenuti – spiega il presidente – ma la vera sfida è garantire loro un futuro dopo il rilascio». Ecco perché l’idea di aprire un’altra bottega in città, dove gli ex detenuti che lo desiderano possono proseguire il percorso professionale iniziato in carcere.  

«Il modello che abbiamo realizzato – prosegue Carmine – è quello di un’economia carceraria 2.0, ovvero non autoreferenziale, ma aperta al mondo dell’impresa e ispirata ai principi della circular economy». Grazie a questo progetto, Fuga di Idee è stata scelta come una tra le dieci imprese finaliste per il premio di innovazione sociale 2022 della Fondazione Zancan di Padova.

Quando penso ai veri invisibili della società, penso ai detenuti. O entri dentro o non ti accorgi neppure della loro esistenza

SOCIAL WOOD: RECUPERARE COSE E PERSONE PER CREARE QUALCOSA DI NUOVO

«Ispirandosi allo stesso modello di economia carceraria 2.0, Social Wood è l’altra anima di Fuga di Idee, un progetto nato per creare qualcosa di nuovo recuperando materiali e persone», racconta il responsabile, Andrea Ferrari. Tutto è partito dall’esigenza di trasformare il laboratorio di falegnameria interno al carcere di Alessandria da centro esclusivamente formativo a piccolo polo produttivo. «Storicamente si teneva un corso di formazione qualificante, ma parte dell’anno la falegnameria restava chiusa», chiarisce Andrea. «Abbiamo iniziato realizzando packaging in legno da materiale di recupero. Oggi siamo arrivati a produrre circa cinquemila box di legno».

«Quello che vorremmo fare è creare un collegamento tra terzo settore e impresa produttiva, riutilizzando dei materiali che dovrebbero essere buttati via e allungando la vita del legno che lavoriamo. L’idea è di collaborare con altre aziende che abbiano a cuore la sostenibilità e i valori del nostro progetto, anche perché le scatole di nostra produzione sono più costose proprio perché artigianali». Per dare una continuità lavorativa a chi inizia a lavorare in carcere e finisce di scontare la propria pena, è stata aperta una falegnameria anche ad Alessandria.

In questi anni sono stati circa una ventina i ragazzi formati e attualmente cinque di loro lavorano nella falegnameria esterna. «In un circondariale le pene sono sotto i cinque anni e quindi non tutti possono lavorare all’interno di una falegnameria», mi racconta Andrea. «Di solito ci vengono affidati i ragazzi con pene della durata di circa un anno. Non tutti si fermano da noi una volta usciti, anche perché molti di loro non sono neppure di Alessandria e preferiscono tornare nelle proprie città».

fuga di sapori 1

Quando si porta una nuova idea produttiva all’interno del carcere, sono tante le resistenze da vincere: «All’inizio sembra si proponga loro qualcosa di impossibile da realizzare. Come quando recuperammo delle barrique ricurve e intrise di vino.  Il capo dei nostri falegnami è sempre molto diffidente di fronte alle novità». Poi magicamente, intorno al tavolo da lavoro, i conflitti vengono appianati e tutti insieme si trova una soluzione.

Vedere l’impegno e il lavoro di queste persone è la più grande soddisfazione di Andrea, che mi racconta di quando di fronte alle lacrime di un ex detenuto, un uomo di cinquant’anni che firma il suo primo contratto di lavoro con la loro falegnameria, ha capito di volersi dedicare quotidianamente a Social Wood.

«L’emozione che ho provato in quel momento, davanti a quell’uomo che diceva di non aver fatto altro che rapine nella sua vita, è stata la molla che mi ha spinto a occuparmi di questi ragazzi, giorno per giorno». Così grazie al lavoro quotidiano di Carmine, Andrea e di tutta la cooperativa, le idee – e i sogni – di chi sconta una pena nell’istituto Cantiello e Gaeta sono libere di fuggire verso un altro futuro possibile, al di fuori delle mura del carcere.

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