4 Lug 2022

Guglielmo Rapino si racconta a I(n)spira-Azioni: “Da anni viaggio per il mondo per difendere i diritti umani” – #13

Dalla Bolivia al Congo al Guatemala, passando ogni tanto per l'Italia e per il "suo" Abruzzo. Guglielmo Rapino è un giramondo e la sua strada si incrocia sempre con quella degli ultimi, dei singoli e dei popoli che devono lottare strenuamente per vedere riconosciuti i loro diritti. Lui ha scelto di abbandonare la vita "regolare" che conduceva prima per combattere al loro fianco.

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“Un menestrello del caos e attivista per i diritti umani che ha trascorso anni in giro per il mondo. Laureato in Giurisprudenza e avvocato praticante, non smette di alternare cravatte a zaino di viaggio, quando l’abito è nell’armadio si dedica alla difesa di diritti civili di migranti e prostitute senza dimora. Sognatore, chitarrista da falò, è un fan sfegatato di cartoni Disney e dei murales nascosti nelle periferie delle città e come giornalista intende dare voce a tutti coloro che credono ancora alla bellezza della diversità”. Si descrive così Guglielmo Rapino, un viaggiatore di “mondi altri”, l’ultimo ospite del primo ciclo di I(n)spira-Azioni condotto da Daniel Tarozzi e Darinka Montico. 

Adesso Guglielmo si trova in Guatemala, ma prima è stato in Congo e in Bolivia. Lavora per l’organizzazione italiana Amka ODV che porta avanti progetti di sviluppo sostenibile e di accompagnamento comunitario da circa vent’anni in paesi con storie incredibili, spesso sconosciute alle nostre longitudini. Luoghi in cui si alternano paesaggi umani e geografici diversissimi che li rendono ancora più affascinanti agli occhi di chi ama viaggiare in modo non “consueto”. Come nel caso di Guglielmo. 

Il contatto diretto con le culture locali gli ha dato modo di scorgere anche gli aspetti meno “evoluti” di certi contesti. Culture ancestrali ricchissime e sapienti, fortemente legate al ciclo della natura, stanno perdendo il loro valore più profondo e intrinseco, svuotandosi e mistificandosi. 

«In Congo, ad esempio, è un fenomeno molto evidente. In un villaggio si usa mettere un laccio intorno alla vita dei bambini, un simbolo fetish per allontanare le energie negative. Oggi sono in pochissimi a conoscere questo significato. In molti dicono che serve a tenere su i pantaloni, ma molti di loro non li portano neanche. Qui in Guatemala invece l’approccio è diverso. Nelle case dei contadini trovi l’immagine della Virgen di Guadalupe con accanto le facce dei nahual Maya. Senti forte questa fusione, ma in maniera più costruttiva. Il colonialismo non si fa solo con le armi, ma soprattutto attraverso strumenti psicologici e sociali» racconta Guglielmo.

In questi mesi in Guatemala si trova in una comunità di ex guerriglieri, Nuevo Horizonte, nata dopo gli accordi di pace del 1997, ispirata a valori socialisti che hanno caratterizzato negli anni la guerriglia del nord del paese. Hanno combattuto per il possesso della terra contro due grandi multinazionali americane, per difendersi da un’invasione culturale prima ancora che che territoriale. Nonostante questo sono vittime di un consumismo tipicamente occidentale. Qual è l’origine di questo fenomeno così diffuso si chiedono Daniel e Darinka? Cosa spinge moltissime culture del mondo ad allontanarsi dalle proprie tradizioni – spesso anche sopravvalutate agli occhi di noi occidentali – per lasciarsi affascinare da mondi e concezioni molto distanti dalle loro?

«Il nostro collettivo culturale si chiama bellezza e resistenza perché vuole associare alla bellezza dell’autenticità dei modelli culturali un concetto di resistenza contro l’appiattimento culturale che purtroppo è evidente. Ci sono tante comunità che stanno coltivando questa resistenza. La Repubblica Democratica del Congo è grande quanto i tre quarti dell’attuale Europa, ha circa 80 milioni di abitanti, uno spazio immenso con moltissime tribù dove non è arrivato il capitalismo. Ci sono esempi anche qui in Guatemala. La popolazione garifuna, ad esempio, discendente degli schiavi africani, continua a tramandare la lingua d’origine, la cultura culinaria, le tradizioni e i cerimoniali», continua Guglielmo. 

Guglielmo Rapino cooperante

«Sacche di resistenza che incontro anche qui in Italia – risponde Daniel – e sono più numerose di quanto pensassi». Secondo Guglielmo tra gli obiettivi della cooperazione internazionale c’è anche quello di contrastare un processo di colonizzazione ancora in atto, che si evidenzia attraverso lo sfruttamento economico in molti paesi. Il lavoro con Amka ODV, ad esempio, permette di fornire loro degli strumenti per potersi difendere.

«È molto spesso la mancanza di terra a generare situazioni complesse. Qui in Guatemala operiamo nella comunità di Sant’Elena, dove una multinazionale dell’olio di palma ha comprato le terre dei contadini giocando sulla loro povertà e sulla loro ignoranza. Non avendo più alcun pezzo di terra a disposizione vanno a lavorare per la multinazionale che è ormai l’unico datore di lavoro della zona. Abbiamo un progetto di sovranità alimentare, produciamo in un vivaio della comunità 35.000 piante da frutta per poi distribuirle».

Il gruppo a cui appartiene Guglielmo Rapino lavora anche insieme a Treedom: «Io sono il coordinatore dei progetti italiani, ma c’è tutta una squadra guatemalteca che lavora con modelli di implementazione guatemaltechi e con i partner della cooperativa di nuovo Horizonte. La cooperazione orizzontale è molto diversa da quella verticale, permette di mettere in comunicazione famiglie, persone, istituzioni europee o americane o di paesi ad alto PIL che supportano progetti che danno benefici anche a livello ambientale, come nel nostro caso. La micro cooperazione è così. Nella macro cooperazione, al contrario, è più semplice trovare meccanismi economici».

Il colonialismo non si fa solo con le armi, ma soprattutto attraverso strumenti psicologici e sociali

A questi racconti più concreti si alternano anche ricordi intimisti. Tra questi la storia di Seba, un bambino di strada che Guglielmo ha raccolto sanguinante. Hanno trascorso insieme alcuni giorni a casa, poi il centro d’accoglienza dove Guglielmo andava spesso a trovarlo, poi la fuga. Legami fortissimi e di profonda connessione con persone che si conoscono appena, il cui incontro è fatto solo di cuore, empatia e bellezza. 

Questi valori sono al centro di tutte le attività di Guglielmo. È infatti attivo su più fronti con il suo collettivo culturale. Ogni anno organizza il Festival delle cose belle, che per il 2022 si svolgerà a Passignano sul Trasimeno e il tema centrale sarà #futuroanteriore, uno spazio dove poter sperimentare in maniera creativa e artistica la qualità del passato per trovare un modello sostenibile di futuro insieme, riscoprendo ritmi più lenti, in maniera più empatica e con uno stile ispirato alla lentezza anche nel modo di viaggiare.

E a tal proposito, qualche anno fa Guglielmo ha creato Cocovan, una piattaforma per mettere in connessione le persone in una maniera più reale e autentica. È possibile noleggiare un camper, ma anche organizzare esperienze insieme, condividere il viaggio per avvicinarsi e non stigmatizzare le diversità. Ed è proprio questa ricerca viscerale di contaminazione tra persone diverse, luoghi e ambienti diversi che ha portato Guglielmo a vivere così intensamente su più fronti, a metà tra il Guatemala, l’Italia e il Congo. 

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