2 Set 2022

A Caltabellotta, il turismo esperienziale tra pascoli e greggi di Paolo Marsala

Giovane e appassionato della vita, Paolo Marsala decide di trasferirsi al settentrione e lasciare il lavoro che la sua famiglia, da generazioni, porta avanti: pascoli e greggi non fanno per lui. La lontananza e una vita idealizzata al nord, che si rivela l’esatto opposto, lo convincono a tornare e a prendere in mano le redini dell’azienda. Turismo esperienziale, didattica e ricambio generazionale sono i suoi prossimi obiettivi.

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Agrigento - Dall’altro lato del telefono risponde una voce che sembra quella di un uomo molto adulto; scopro poco dopo che Paolo Marsala, di professione pastore, ha solo 30 anni. Comincia subito a raccontarmi la sua storia. Sembra una di quelle che si leggono nei romanzi, in cui il protagonista è determinato da una forte voglia di riscatto e cambiamento. Paolo è un animo gentile dalla voce profonda, intriso di tanta poesia e di tanta bellezza respirata e vissuta all’aria aperta durante i pascoli. Siamo nel cuore della Sicilia, nel paese di Caltabellotta in provincia di Agrigento.

Ha iniziato a “lavorare” nel Caseificio aziendale Marsala Francesco quando aveva solo 8 anni: con il padre si recava alle fiere di bestiame dei paesi limitrofi, che si tenevano durante le feste patronali, per comprare dei nuovi animali e nel giro di poco si è ritrovato a gestire otto caprette. Era contento di questa responsabilità, ma ancora inconsapevole della fatica che avrebbe provato. A 16 anni le capre erano diventate 50. Nel frattempo, a seguito di un malanno che aveva colpito il padre, si è ritrovato a gestire l’azienda da solo.

Ha abbandonato la scuola per un semestre. È riuscito a riprendere gli studi dopo qualche mese: lasciava gli animali al pascolo a un amico e con lo scooter andava a Sciacca, distante venti chilometri, per recuperare le interrogazioni e i compiti in classe persi nel semestre precedente. 

paola marsala 2

«Mio nonno e mio padre non mi hanno mai insegnato il mestiere, non avevano tempo per farlo. Ho fatto tutto da solo. Un giorno mio padre mi ha lasciato nel caseificio, dopo il panico iniziale ho preso in mano la situazione. Ho iniziato a produrre formaggio da solo», racconta.

La sua è una famiglia di pastori da generazioni, per un po’ di tempo ha pensato che questa vita non gli appartenesse. Buona parte dei suoi amici era andata al nord a cercare fortuna, era il solo rimasto in un paesino piccolo. Il lavoro con gli animali stava diventando sempre più soffocante, non aveva più tempo per i suoi sogni, così a 24 anni e con una valigia in mano ha deciso di lasciare tutto, andare dai nonni in Lombardia alla ricerca di una nuova vita, migliore.

Gli anni al nord sono stati molto diversi da come li aveva immaginati: prima un lavoro nel campo dell’edilizia stradale, poi per un’azienda di infissi. Frustrazione e insoddisfazione per una vita che si dimostrava peggiore rispetto a quella che aveva lasciato, ma non poteva e non voleva mollare. Il padre intanto, deluso dalla sua partenza, aveva dimezzato il numero di capi.

«Il primo giorno di lavoro sono stato male – racconta Paolo –, l’odore dell’asfalto caldo mi ha fatto venire un gran senso di vomito. Io ero abituato ai profumi, alla natura, al letame degli animali che è una medicina». Paolo prende coscienza della sua infelicità durante il periodo delle vacanze estive, mentre percorre a piedi uno dei tratti che faceva sempre da bambino, fino al caseificio. 

Genuinità del prodotto, calore familiare e grande sensibilità descrivono bene il suo mondo

«Siamo una famiglia fatta di solo sacrificio e lavoro, allontanarmi ha fatto bene a tutti. Quando sono ritornato abbiamo imparato a esprimere di più l’affetto che ci lega. Sono tornato nel marzo 2018, all’inizio pensavo di lavorare per un’azienda di infissi, ma quando ho rimesso i piedi in campagna ho sentito proprio un ritorno alle origini. Io ascolto molta musica, l’ho sempre portata con me durante i pascoli, avevo anche un gruppo rock in cui cantavo».

La musica lo ha aiutato molto a capire: «Sono riuscito a rilassarmi all’aria aperta, a sconfiggere giornate faticose di temporali, freddo, nebbia. La musica mi ha alleggerito le giornate. Mi pento di non aver scritto certi pensieri che ho sentito e provato in quei momenti. Portavo dei libri, leggevo. A pascolo libero, sotto il cielo, quando si tranquillizzano gli animali, qualcosa bisogna fare. Con gli altri lavori era impossibile respirare questa libertà».

Una volta tornato Paolo ha deciso di investire i soldi guadagnati al nord nell’azienda di famiglia e cominciare un processo di ricambio generazionale. Anche il numero del bestiame è ritornato a norma. L’incontro con Pierfilippo Spoto, che definisce un portatore sano di coraggio, gli ha aperto un mondo e prospettato una nuova direzione.

Tanti turisti, da lui accompagnati, hanno cominciato a visitare il caseificio di Paolo. Ha iniziato a vendere i suoi prodotti porta a porta, proprio come si faceva un tempo, usanza che durante la pandemia gli ha anche permesso di mantenere un rapporto con i suoi clienti. «Durante la pandemia ho portato la ricotta appena fatta con il siero caldo davanti alla porta, la gente è impazzita. Dal latte del 1920 al prodotto finito del 2022. Ho dato nuovo valore a ciò che faccio. Il mio è un impiego stagionale. A settembre i miei animali cominciano a partorire, pascolano allo stato brado, in maniera libera, nella tranquillità più assoluta». 

pecore caltabellotta

Genuinità del prodotto, calore familiare e grande sensibilità descrivono bene il suo mondo. Nel frattempo una nuova passione per la fotografia è sbocciata. Ora Paolo sta creando un posto dove accogliere e far mangiare le persone con un percorso di foto che racconta Caltabellotta nel tempo.

«La natura è una cura con la sua grande bellezza e sensibilità. Oggi sta diventando anche pericolosa. Prima lavoravamo anche con il maltempo, oggi se piove siamo allertati. Gli stessi animali ti avvisano quando sta per succedere qualcosa. La natura non fa mai nulla di sbagliato, è istintiva. Ho assistito a due nubifragi che mi hanno davvero turbato, abbiamo perso anche degli agnellini e siamo rimasti bloccati per ore. Mio padre non vedeva il ruscello così pieno di acqua da quarant’anni. Dovremo abituarci a un nuovo futuro».

E a proposito di futuro, Paolo ha le idee molto chiare: ricambio generazionale, didattica e turismo esperienziale sono i prossimi obiettivi. Immagina di portare i turisti con sé a pascolo, di far vivere loro una giornata nel caseificio anche attraverso percorsi dedicati. Immagina pure di accogliere le scuole con tanti bambini e adolescenti a cui raccontare un mondo che si sta perdendo ricco di fascino, colori, profumi ed emozioni che riescono ad edulcorare la fatica di un lavoro estenuante, ripagato dalla bellezza di una natura vibrante intorno. Un ricambio generazionale che attraverso l’innovazione racconta la tradizione. 

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