3 Ott 2022

Da Albenga a Capo Nord in bici: ecco il viaggio di Emanuele Mei

Scritto da: Emanuela Sabidussi

Oggi vi raccontiamo di un viaggio in bicicletta iniziato a fine luglio ad Albenga e che terminerà nelle prossime settimane a Capo Nord. Il protagonista è un giovane documentarista sociale, Emanuele Mei, che cura anche un blog in cui racconta le diverse tappe per condividere con i propri lettori emozioni, sensazioni e riflessioni su quanto sta vivendo e scoprendo del mondo e di sé stesso. L'abbiamo intervistato per conoscerlo un po' più da vicino.

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Savona - Viaggiare: c’è chi lo considera uno strumento per staccare dalla quotidianità, chi per conoscere sé stessi attraverso il mondo esterno. Altri ancora ritengono che il viaggio sia indispensabile per imparare a vivere nel tempo presente e apprendere con esso: l’imprevedibilità, tutto ciò che non conosciamo, infatti ci porta a essere totalmente presenti con corpo e mente in ciò che quell’esperienza ci propone.

E se il viaggio di per sé è una scoperta a tutto tondo, tra i tanti viaggi che attraverso Italia che Cambia vi raccontiamo ce ne sono alcuni che colpiscono di più e per questo assumono un significato e un interesse ancora maggiori. Si tratta dei viaggi lenti, quelli compiuti a piedi o con mezzi di spostamento che per loro natura sono fatti per consentire a chi li utilizza di vivere appieno ciò che si incontra lungo il tragitto: luoghi, odori, incontri, tramonti e molto altro.

Il protagonista del viaggio lento di cui vi parliamo oggi si chiama Emanuele Mei: documentarista sociale – tra i suoi ultimi lavori uno post-bellico in Bosnia-Erzegovina e uno in Ucraina – che ha deciso di prendersi una pausa dalla vita quotidiana per andare a scoprire nuove mete esteriori e interiori. Ha iniziato questa nuova avventura da Albenga a fine luglio con l’intento di raggiungere in solitaria Capo Nord, in bicicletta.

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Il suo progetto di viaggio si chiama Road to Nordkapp e oltre a essere un racconto di incontri e luoghi conosciuti, è anche un diario in cui Emanuele giorno dopo giorno condivide riflessioni, pensieri, emozioni. Uno sforzo emotivo, psicologico e fisico notevole – il tracciato è lungo quasi 5000 chilometri – documentato sul sito del progetto e sui canali social, che vedrà poi il tutto tradursi in un documentario e un libro. Abbiamo rivolto qualche domanda ad Emanuele per conoscerlo meglio.

Emanuele, ci racconti in breve il tuo viaggio?

Sono partito dalla spiaggia di Pippo ad Albenga. Le tappe sono tante, i chilometri più di 5000. Non serve elencarle tutte. Ho attraversato la Pianura Padana fino a Verona e poi ho tirato in su verso il Brennero. Ho attraversato l’Austria, la Baviera e dopo sono entrato in quella che trent’anni fa era la Germania dell’Est. Halle e Lipsia sono città vivaci, ma il grigiore dell’architettura sovietica è ancora ben visibile. Ho costeggiando prima il Saale e poi l’Elba fino a Wittenberg, poi mi sono diretto a Rostock per prendere il traghetto che ha portato a Trelleborg. Da qui ho percorso la costa fino Sundsvall, dove mi trovo ora.

Perché hai deciso di intraprendere questo viaggio?

A volte le cose si fanno e basta e spesso i perché si scoprono strada facendo. Quest’anno ho portato a termine un lavoro sulla guerra in Bosnia che è durato otto anni, sono stato in Ucraina dal 20 febbraio fino alla fine di aprile. Probabilmente sentivo la necessità di fare qualcosa per me. Questo nuovo progetto mi dà la possibilità di esplorare nuovi sentieri emotivi e virare su argomenti differenti rispetto a quelli di cui mi occupo normalmente. Poi sono sempre stato affascinato dal Nord. Ho sentito un richiamo a cui non ho saputo dire no.

Capo nord è lontano, è un luogo che richiede uno sforzo importante, fisico e mentale. Una destinazione spoglia di tutto, fredda, inospitale, difficile da raggiungere, archetipo del non conosciuto e della scoperta, sinonimo d’esplorazione e dell’ignoto. È un viaggio che ha un profilo verticale, fatto di curve, linee spezzate, vibrazioni in grado di azzerare il tempo. Una luce liquida che si può ascoltare, che riempie la notte e ci guida a un orizzonte stanco di tutti gli sguardi incapaci di raggiungerlo.

È una linea che non è un limite, ma il posto in cui vivono i sogni e che si trova solamente negli occhi e mai nella realtà. D’altronde c’è chi vede limiti e chi guarda oltre a essi. Così questo luogo d’incontro tra il cielo e il mare diventa il posto da cui non vorresti mai tornare indietro. Il primo appuntamento col grande nord è sul mappamondo e così il viaggio comincia prima del viaggio stesso. Il potere di declinare in immagine ogni possibilità che potrebbe presentarsi è affascinante. I pensieri sono immagini e possiamo interiorizzarne la forma.

L’immaginazione mi dà la possibilità di entrare in una zona in cui tutto assume i contorni del mito. “Al cospetto del grande nord”. La vita è fatta di incognite e avventure e nell’arco di questa ho cercato di risolvere le prime assecondando le seconde. Il nord è una sensazione, lo cerco da sempre ovunque e credo che si debba poter vedere di persona i luoghi in cui l’anima si è sentita a casa attraverso gli occhi di altri.

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Halle (Lipsia)

Il Nord lo porto dentro, non disgela mai, io che sono figlio di alloro e olivi. Il nord è una bellezza essenziale e va guardata con attenzione e guardare non è come vedere, è molto di più, comporta l’intenzione e la volontà. Guardare è un verbo dell’amore, è un passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di guardare da un’altra parte. Il nord è una scoperta, un’esplorazione di nuovi confini della propria anima, è un viaggio su strade secondarie della coscienza. Il nord è scoprire una realtà diversa da come ci appare.

Cosa resterà di un viaggio del genere?

Forse un luogo senza fine, vuoto, che risplende di una bellezza arida. Uno spazio senza gravità, dove le leggi fisiche non hanno valore, dove il passato diventa finalmente futuro, un posto in cui la mente si fonde con l’anima e genera un luogo che esiste perché esisti tu. Spesso non si hanno occhi per vedere ciò che si sta cercando, nella testa rimbombano i consigli di chi non nemmeno ha il coraggio di guardare un atlante ma a nord questi si allontanano in una eco lasciando il posto alla mia vita. Così ho deciso di partire per un sentiero appena tracciato – che sono sicuro diventerà una strada, la mia – e attendere che un vento di lasco mi riporti a casa.

Che ruolo ha il viaggio nella tua vita?

Sono un tipo piuttosto inquieto. Durante gli anni del liceo, almeno un paio di volte al mese prendevo il treno e andavo Genova per passare il pomeriggio nelle librerie della città. Tornavo a casa con lo zaino pieno di libri di vario genere, dai classici alla narrativa contemporanea, fino ai saggi che non affascinano mai nessuno. Quelli sono stati i miei primi viaggi, mondi visti attraverso gli occhi degli altri, luoghi a volte di fantasia in cui venivano raccontate storie fantastiche, cruente. Viaggi nel tempo, viaggi in luoghi remoti della terra.

La mia mente poteva vivere una vita affascinante. Arrivato il primo anno di università ho cominciato a esplorarlo io il mio mondo, osservandolo con i miei occhi. Prendevo e partivo, per giorni o anche solo per pomeriggi, a volte per settimane, da solo. Con gli anni e gli studi il viaggio è diventato la mia principale occupazione e il libro la sua sintesi. Abitualmente mi occupo di argomenti più spinosi, almeno in apparenza. Ma anche in un viaggio in solitaria in bicicletta si possono creare situazioni difficoltose e possono emergere situazioni interessanti.

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Quali sono stati i momenti più belli e quali i più complessi del tragitto compiuto sinora?

Ogni giorno è diverso dall’altro. Quando ero a Vipiteno pensavo alle Alpi, attraversate queste pensavo alla solitudine, vinta anche questa pensavo al clima. In un percorso tale ogni difficoltà è grande, ma appena superata va messa da parte per guardar subito a quella successiva. Non sono in grado di descrivere il momento più brutto perché di fatto non ce ne sono stati. Tutti i giorni ci sono momenti in cui sono felice di essere partito. La sintesi credo che sarò in grado di farla solo alla fine e dopo parecchio che sarò tornato, con la mente lucida e le emozioni rivolte altrove.

Quali aspettative emotive, fisiche e non solo avevi prima di iniziare il viaggio? Sono state soddisfatte?

Non sono un ciclista professionista, mi alleno, faccio sport con regolarità ma solo per poter avere un corpo in grado di assecondare le mie voglie. Di solito mangio bene, ma non sono per nulla fissato con l’alimentazione. Qualche dubbio sul tragitto l’ho avuto fin dall’inizio. Ma chiunque di noi è in grado di fare cose sensazionali, solo che non lo sappiamo e siamo spaventati da situazioni che invece sarebbero facilmente affrontabili.

Fisicamente stavo già bene prima, ma ovviamente la condizione fisica è migliorata dopo aver percorso 3500 chilometri, di cui la maggior parte off road. L’aspetto emotivo è quello che mi ha sempre mosso in tutto quello che faccio. La scoperta continua di territori che non conoscevo o vedere sotto una nuova veste quelli in cui già ero stato. La curiosità mi muove e mi fa ribollire il sangue in ogni direzione.

Spesso non si hanno occhi per vedere ciò che si sta cercando, nella testa rimbombano i consigli di chi non ha nemmeno il coraggio di guardare un atlante

A chi consiglieresti un viaggio lento? È per tutti o secondo te è uno strumento di conoscenza che richiede una preparazione e requisiti troppo specifici?

Viaggiare in bicicletta nel mondo della velocità significa scegliere di andare piano, riflettere, esplorare nuovi spazi e diverse dimensioni di sé stessi. Esistono ancora luoghi segreti che ci aspettano. Ci si può passare davanti decine di volte, ma per poterli vedere è necessario volerli acciuffare. L’ignoto può essere dappertutto, anche a pochi passi da casa. Alcune letture stimolano nuove visioni da cui partire per costruire una realtà personale del tutto nuova ed è possibile scoprirsi ricalcando le orme di ci ha preceduto con nuovi approcci, magari più contemporanei. La concezione e la velocità del viaggio moderno ci danno la misura della labilità e della sostituibilità dei luoghi. Oggi siamo qui, domani siamo a 1000 chilometri di distanza.

Siamo in grado di abitare tutti i luoghi e in poche ore possiamo coprire lunghissime distanze. Tutto è vicino e lontano contemporaneamente. Il momento che impieghiamo per spostarci da A a B è vissuto come tempo perso. Qual è il ruolo del viaggio all’interno di un epoca che ha annullato le distanze e che ha reso la meta l’unico punto d’arrivo? Che funzione assumono il paesaggio e l’esperienza nell’intraprendere un viaggio? Esso è ancora una metafora della vita? Che fine ha fatto il viandante che riflette inquieto verso qualcosa d’irraggiungibile? Tutti facciamo un viaggio lento, che lo si voglia o no, nessuno è escluso.

Come ti ha cambiato questo viaggio?

Ogni viaggio è un passo avanti, come ogni libro letto o ogni persona incontrata. Il modo in cui questa esperienza lavorerà sulla mia persona per ora mi è ignoto. Sono poco più che a metà percorso e sono ancora troppo impegnato a viverlo. Queste sono cose che capirò con il tempo.

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