3 Ago 2023

Irene Zembo: “Da Milano alla Val Borbera, la mia nuova vita in Appennino” – Io Faccio Così #390

Scritto da: Lorena Di Maria
Video realizzato da: Paolo Cignini

“Venire a vivere nelle zone montane significa diventare dei cittadini responsabili”. È il caso della Val Borbera (AL) e della storia di Irene Zembo, che oggi fa parte dei nuovi insediati di questo territorio. Geologa e guida ambientale escursionistica, prima viveva a Milano, poi ha deciso di lasciare la città per trasferirsi tra il verde e i piccoli paesi dell’appennino. Oggi ci racconta la sua storia, convinta che possiamo sempre prenderci cura dei fragili e preziosi luoghi che ci ospitano.

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Alessandria - Le strette di Pertuso sono una spettacolare gola fluviale formata dal torrente Borbera, che dà il nome all’omonima valle. Coloro che attraversano in questo luogo di passaggio non possono che apprezzarne le acque chiare, la piccola spiaggia di sassi che nei mesi caldi dà refrigerio e un silenzio che dà pace. Ma è solo chi conosce in profondità questo luogo che riconosce “le strette”, come in molti le chiamano, un luogo chiave di questo territorio.

Non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche da quello geologico, storico e culturale. Infatti qui il passato si mescola con il presente e fin dal passato questo luogo, oggi area protetta della Rete Natura 2000, ha delimitato il passaggio tra la bassa valle e l’alta valle.

È qui che ci siamo dati appuntamento con Irene Zembo, che di professione è geologa e guida ambientale escursionistica, una combinazione che non lascia spazio a dubbi sulla sua precisa scelta di questo posto. Così, in una calda giornata giornata di maggio, io e Paolo arriviamo nella verde Val Borbera (AL), dove comincia l’appennino. Stiamo lavorando da qualche mese a un’indagine sui territori interni e di confine, sulla vita e le storie delle persone che li abitano. Oggi siamo accompagnati da Paolo Ferrari, antropologo ed esperto del territorio che per noi è una preziosa guida e che ci ha messo in contatto con Irene.

Accompagnati dallo scorrere delle acque azzurre del fiume, parliamo con Irene Zembo e subito ci accorgiamo che è fonte di ispirazione: da un lato per la sua coraggiosa scelta, fatta diversi anni fa, di lasciare Milano per trasferirsi in Val Borbera, in una piccola frazione dell’appennino; dall’altra per una seconda scelta, forse ancora più coraggiosa, di rimanere in appennino nonostante le difficoltà e contribuire a rendere migliori questi luoghi.

«A questo territorio sono sempre stata affezionata e qui avevo comprato in tempi passati una seconda casa. A un certo punto ho avuto bisogno di ricominciare dalle basi, di ricostruire una vita che avesse una dimensione più umana, cercando di dare, nel mio piccolo, un contributo nella riqualificazione di questo territorio che è stato abbandonato in più epoche». La Val Borbera infatti, come molte aree interne nel nostro paese, ha sofferto nel tempo di un forte spopolamento e di un conseguente senso di abbandono. Negli ultimi anni però è in atto un fenomeno legato al neo-ruralismo da parte di chi, come Irene, queste aree intende rivitalizzarle.

Irene Zembo3

«È un fenomeno ancora puntuale di nuovi insediati che oscillano tra i 30 e i 45 anni», spiega Irene. «Arrivano con un bagaglio di esperienze, anche culturali o lavorative, importante. Vogliono cambiare vita e cercano di insediarsi. Certo, non tutti ci riescono perchè, come dico sempre, la Val Borbera ti mette fortemente alla prova. Solamente chi impara a resistere riesce a superare le sue prove». 

Anche per Irene il passaggio dalla grande metropoli alla piccola frazione non è stato facile, specialmente per una donna sola con una bambina da accudire. «A Milano lavorava in ambito idrogeologico e legato alla difesa del suolo. Ovviamente quando ho deciso di lasciare lavoro, amici e famiglia ho dovuto capire come riadattare le mie competenze alle possibilità che il territorio mi offriva. Ho cercato di continuare a lavorare in ambito geologico e a spendere le mie competenze nella progettazione legata a bandi pubblici, nell’ambito delle filiere alimentari e del turismo sostenibile».

In Val Borbera Irene ha fondato BorberAmbiente, uno studio tecnico attivo nei settori delle consulenze ambientali e geologiche, dei servizi di tutela e valorizzazione delle risorse idriche e del geoturismo. In questi anni, affiancata da una rete di collaboratori, si è occupata dalla risorsa acqua ai progetti di sviluppo rurale, dalla ristrutturazione di diversi mulini alla creazione di percorsi di escursionismo.

Venire a vivere in delle zone montane significa diventare dei cittadini responsabili che partecipano alla vita pubblica

Ed è proprio attraverso uno sguardo al turismo lento che è diventata guida ambientale associata Aigae, per accompagnare alla scoperta della Val Borbera i gruppi attraverso escursioni ludiche o didattiche, organizzando anche corsi di formazione sul campo rivolti a scuole, insegnanti e future guide: «Ogni aspetto della mia vita si concretizza in progetti che hanno un impatto sul territorio», spiega.

«Non vogliamo essere degli eroi ma semplicemente delle persone normali e con grande umiltà cerchiamo di apportare il nostro piccolo contributo. Qualche risultato positivo c’è stato, è chiaro che il lavoro da fare è tanto e non bastiamo noi da soli. Per fortuna, però, c’è tutta una rete territoriale di persone che, come noi, stanno lavorando. Secondo me porteremo un cambiamento vero quando questa rete si sarà veramente saldata, quando le persone avranno imparato di nuovo a lavorare insieme».

Irene ci racconta che in Val Borbera vivono diverse “comunità”: la comunità di chi qui ci è nato e cresciuto, quella dei nuovi insediati e infine la comunità che ruota intorno alla Fondazione Mondiale Sahaja Yoga, che ha portato nel corso degli anni decine di migliaia di persone che giungono in valle a praticare yoga.

Irene Zembo1
Irene Zembo. Foto di Monica Basso

«Le diverse comunità della Val Borbera cercano di integrarsi, non sempre con risultati ottimali. Come la socialità si è distrutta in tempi rapidi con l’abbandono, adesso la ricostruzione dei rapporti umani verso una vita sociale, condivisa e collettiva è un processo che richiede tempi più lunghi rispetto a quelli che hanno portato allo spopolamento».

Con Irene parliamo anche della retorica che oggigiorno ruota intorno al dibattito sul ritorno nelle aree interne. «Non si può pensare di ritornare a vivere qui come si viveva in passato. Molti guardano al mondo passato con fascino, ma è chiaro che non sempre si viveva in maniera facile. La mancanza di risorse e la povertà estrema a volte erano un limite notevole. Oggi, per chi decide di tornare, ci sono altri strumenti che rendono questo passaggio molto più facile.

Capiamo che scegliere di vivere in un’area interna e frammentata come la Val Borbera significa innanzitutto prendersi la responsabilità verso la cura di questi territori. È come un genuino dare e ricevere. «In una città i temi del riscaldamento, dello smaltimento dei rifiuti, dell’acqua corrente, dell’energia elettrica sono qualcosa che dai per scontato. Tu di fatto a quel tipo di servizio non partecipi mai, a meno che non abbia una vocazione a temi ambientali. Qui invece è tutto sulle tue spalle: spesso e volentieri i servizi mancano o hanno bisogno di un’amministrazione diretta.

BorberAmbiente5

Parliamo di situazioni di vita quotidiane: quando gela l’acquedotto, quando si intensifica la siccità, quando manca l’elettricità per settimane o le strade vengono interrotte. «Sono tutte questioni con le quali tu vieni a contatto direttamente: spesso non hai strumenti perché sei da solo o le amministrazioni locali non hanno le risorse per intervenire. È in quei casi che devi essere consapevole che ci devi mettere tanto del tuo ed è la ragione per cui cerco di sfruttare il mio lavoro e le mie competenze per cercare risolvere alcune delle problematiche del territorio. Venire a vivere in delle zone montane significa diventare dei cittadini responsabili che partecipano alla vita pubblica». 

Oggi Irene è felice della sua nuova vita che l’ha portata, dal 2016, in Val Borbera. «Quando ti trasferisci affronti diverse consapevolezze: la mancanza dei servizi di base, i rapporti umani, un ambiente che magari non ti accoglie nel modo che desideri. Ma nonostante le difficoltà, ci sono dei piccoli momenti quotidiani che fanno la differenza. Quando incontri qualcuno in macchina e si alzano le due dita dal volante per riconoscersi; oppure quando i bambini nei paesi ti salutano e questo ti dà un grande senso di appartenenza e di radicamento. Io qui non ho alcun legame familiare, ma alla fine è la prima volta che mi sento veramente a casa».

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