18 Set 2023

Don Giulio, il prete che lotta per una spiritualità inclusiva

Scritto da: Valentina D'Amora

Don Giulio Mignani è l’ex parroco di Bonassola. Ex perché è stato sospeso da circa un anno e non può attualmente esercitare. Il motivo? Le sue posizioni progressiste su tanti temi, dal fine vita ai diritti delle coppie omosessuali. Secondo lui ci sono tanti modi di avere fede e non vuole dare ragione a chi vuole – ancora – una Chiesa chiusa e omologante. Che sia arrivato il momento di andare in una nuova direzione?

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La Spezia - Vi ricordate di Don Giulio, il parroco di diversi paesi dello spezzino – Bonassola, Montaretto, Framura e Castagnola – che negli anni ha suscitato molto scalpore per le sue idee a favore di aborto ed eutanasia, ma anche per le sue posizioni di apertura nei confronti dell’amore, etero, omo e trans? Oggi Don Giulio è in stato di sospensione, dallo scorso 3 ottobre, il che significa che da un anno non può celebrare messa e sacramenti.

Ora non vive più a Bonassola, ma in una casa di proprietà della sua famiglia a Sarzana. Nonostante abbia chiesto di impiegare il proprio tempo nella Caritas, prendendosi cura degli altri, prestando servizio alla mensa dei poveri o a uno dei centri di ascolto del territorio, gli è stato risposto che il volontariato è ancora prematuro. Ho deciso di parlare con lui per farmi raccontare come sta andando. Riesco a chiamarlo un venerdì pomeriggio e la nostra chiacchierata è piacevole e dura molto: la sua voce infonde tranquillità, il suo garbo è quasi d’altri tempi ma le sue posizioni guardano al futuro.

Don Giulio, cosa sta facendo ora?

Sto collaborando con una cooperativa sociale di Borghetto Vara, dove nei mesi scorsi mi sono affiancato a degli educatori per i centri estivi, mentre con l’inizio delle scuole ho iniziato a dedicarmi al doposcuola. Ho poi preso un altro impegno, un giorno al mese, che comporta un viaggio fino a Roma ma che è molto arricchente per me. Sono stato invitato dalla vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone, a prendere parte a un intergruppo parlamentare sui diritti fondamentali della persona, che è un luogo di incontro tra istituzioni e società civile. Oltre a me partecipano circa una trentina di persone, ognuno con competenze professionali differenti, giuridiche, mediche, sociali.

don giulio gruppo interparlamentare
Don Giulio al gruppo interparlamentare sui diritti fondamentali della persona
Come funziona la sospensione? Ha una durata?

La sospensione a divinis è una “pena medicinale”. Io sono considerato fuori strada con le mie posizioni e questo periodo serve a farmi tornare sulla “retta via”. Essendo stato sospeso dal ministero, l’idea è che io abbia tempo per pregare, riflettere e tornare sui miei passi, possibilmente con la promessa di non fare più certe esternazioni. Avevo già precisato al vescovo che di mio sono una persona riflessiva e che ero giunto a queste idee proprio perché avevo pensato molto a queste tematiche, con approfondimenti e ricerche.

Non dogmatizzo naturalmente le mie affermazioni, quello che intendo è che se questa è la mia linea di pensiero di oggi è proprio perché mi sono arrivati input esterni, il confronto con le persone è stato preziosissimo per me. Ecco perché sono convinto che questa sospensione, che dura da ormai quasi un anno, non mi farà cambiare idea. Anzi, questi mesi sono stati un’ulteriore occasione di conoscere e approfondire: queste convinzioni si stanno radicando ancora di più in me, in questo tempo ho trovato soprattutto delle conferme delle mie idee.

Quindi, non avendo rivisto le sue posizioni per annullare la sospensione, immagino possano esserci ulteriori conseguenze…

Sì, ma io cerco di essere sincero e autentico nella mia vita. Se smettessi di dire quello che penso significherebbe non solo tradire me stesso e i miei valori, ma anche tutti coloro che in questi anni mi hanno sentito al proprio fianco, a supportare determinate battaglie. Io voglio continuare a essere quello che sono e non smetterò mai di dirlo. Due settimane fa per esempio sono stato a Torino insieme all’associazione Luca Coscioni per supportare la raccolta firme per una proposta di legge regionale sul tema del fine vita.

Qual è il punto? È corretto avere una propria visione della vita, l’importante però è avere la consapevolezza che si tratta di un punto di vista chiamato a stare accanto ad altri punti di vista. È giusto che io nutra la mia spiritualità nel modo che mi è maggiormente di aiuto, ma sapendo che si tratta di una tra le tante strade esistenti. Se pretendessi di dire che la mia via sia l’unica giusta, finirei per essere violento con chi non la pensa come me. Anche sul tema delle coppie omosessuali, sull’aborto e sulla gestazione per altri. In questi mesi ho incontrato diverse coppie, che mi hanno portato a una posizione di apertura anche su questo.

don giulio cappato
Don Giulio a Torino
Sa di altri sacerdoti che la pensano come lei?

Nella mia diocesi ci sono forse uno o due preti anziani che sono disponibili e aperti a queste posizioni. La maggior parte non mi appoggia. Al di fuori invece, sia dalla Liguria che da altre parti d’Italia, diversi preti mi hanno contattato per dirmi che sono d’accordo con me, ma temono le conseguenze di esporsi pubblicamente, hanno paura di perdere la possibilità di svolgere le proprie attività pastorali, quindi restano “sul filo”. L’intento è restare all’interno della comunità affinché i singoli omo- o transessuali che si rivolgono a loro possano sentirsi accolti. E non li giudico per questo, anzi.

L’omologazione è una perdita enorme per tutta la comunità, mentre la diversità per me è una ricchezza

Don Giulio, ma com’è nato tutto questo clamore mediatico?

Io nelle prediche sono solito condividere delle riflessioni sulla vita vissuta a partire dal Vangelo del giorno. Quando nel 2021 ho parlato della benedizione delle Palme [“Se non posso benedire le coppie gay, non benedico neanche le palme”, ndr] non avevo riflettuto prima se questo avesse potuto suscitare scalpore o meno, l’ho detto spontaneamente come dico tante altre cose. Ed è diventato un caso. Ma è importante parlare della positività che questo ha portato.

Alcuni genitori di persone omosessuali mi hanno ringraziato, è servito a sbloccarli. E questa diffusione ha dato beneficio a tante persone di tutta Italia che hanno definito le mie parole “un balsamo per l’anima”. Quel bene quindi si è moltiplicato ed è arrivato anche all’estero. E poi mi sono reso conto che mi hanno sentito al loro fianco sul tema dei diritti civili. Sono dell’idea che sia importante esporsi, scendere pubblicamente in piazza, non solo dare solidarietà ai singoli.

Cosa succederà ora?

È difficile prevederlo, anche perché non ha un termine questa “cura” [la sospensione, ndr]. Il vescovo può togliere la sospensione oppure mantenerla a oltranza. D’altronde si potrebbe pensare che questa medicina non stia funzionando per ora, ma qualche risultato prima o poi lo porterà. Oppure il ragionamento del vescovo potrà anche essere diverso: visto che questo periodo di sospensione non ha portato a nulla, anzi ha aumentato la mia esposizione mediatica, potrebbe esserci un inasprimento della pena.

Quale?

La dimissione dallo stato clericale è uno dei possibili sviluppi di questa vicenda. Andar via mi spiacerebbe, ma più per la Chiesa che per me. Dimettermi è stata una riflessione che avevo già fatto sei anni fa, quando mi sono schierato pubblicamente contro lo sportello anti-gender, che ritengo una caccia alle streghe contro qualcosa di inesistente. Contemporaneamente era stata approvata da poco la legge sulle unioni civili. A Bonassola stavano per sposarsi due ragazzi e in paese sentivo delle voci proprio brutte. Ho sentito dire anche “che schifo” da alcune persone.

Siccome in un paese come Bonassola un parroco ha ancora un suo ruolo, ho deciso di schierarmi e dare un segnale. Così ho chiesto agli sposi di poter partecipare come invitato al matrimonio, solamente per esserci, per dire a tutti che il loro amore non fa schifo. In quell’occasione ho saputo che una parte di fedeli non è rimasta contenta di questo mio gesto.

don giulio bonassola
Don Giulio

Allo stesso tempo riflettevo sul fatto che neanche la gerarchia ecclesiale mi voleva per come sono, quindi sentivo allo stesso tempo spinte sia dall’alto che dal basso. Qualche parrocchiano s’è accorto che qualcosa non andava e mi sono aperto. Quel confronto mi ha fatto bene: “Se te ne vai – dicevano – restano solo quelli omologati, quelli che sono come li vogliono loro. Ma anche noi siamo Chiesa, anche noi siamo fedeli”.

Ecco perché quello che desidero oggi è che nella Chiesa ci sia posto anche per persone come me, con posizioni diverse, per andare incontro a coloro che trovano nutrimento in quella che è la mia modalità di credere, che si trovano in sintonia con il mio modo di vivere la fede. L’omologazione è una perdita enorme per tutta la comunità, mentre la diversità per me è una ricchezza. Per questo trovo che ci debba essere diritto di abitazione anche per chi vuole una chiesa diversa.

E questo avvicinerebbe sicuramente tante persone, di tutte le età, soprattutto tra i più giovani.

Sa quanti ragazzi da ogni parte d’Italia mi hanno contattato? Da Genova, Parma, Bologna, Palermo, perfino dal Cadore. Tanti mi hanno detto: “Se avessi incontrato un parroco come lei, non avrei mai smesso di andare in chiesa”. C’è una parabola del Vangelo che leggerei al rovescio, quella della pecora smarrita. In quella parabola, le pecore nel recinto erano novantanove, solo una era fuori. Attualmente, non ce ne stiamo accorgendo, ma succede esattamente l’opposto perché a essere andate via sono le novantanove, dentro al recinto ne è rimasta una sola.

Sono stato accusato di aver scandalizzato i fedeli, ma sono quasi tutti anziani. Allora mi chiedo: perché viene coccolata e pettinata quell’unica pecorella nel recinto, mentre per tutte quelle che sono scappate non si fa niente? Le posizioni dei secoli passati sono superate ormai, assurde, non siamo più nel 1500. Oggi non siamo più giustificati a continuare a sostenere queste posizioni, se lo facciamo siamo colpevoli.

Parlando di cambiamenti, questa voglia di cambiamento che ha cercato di mettere in atto in questi anni secondo lei servirà alla Chiesa a modernizzarsi?

L’auspicio è quello, anche se hanno paura a parlare di cambiamento. Fortunatamente tante posizioni della Chiesa nel tempo sono cambiate. Pensiamo a quando in passato si era espressa contro il suffragio universale, contro il voto alle donne, contro la libertà religiosa, a come considerava le altre religioni, ricordiamo “i perfidi ebrei” oppure a cosa diceva di chi non sosteneva che la donna fosse uscita dal costato di Adamo. A volte ha rivisto le proprie posizioni chiamandoli errori, altre volte no. Ma quanto è bello invece saper ammettere di aver sbagliato, correggersi e ricalibrare la propria vita?

don giulio convegno spiritualita
Don Giulio a Montaretto lo scorso 3 settembre alla quinta giornata del rispetto di ogni spiritualità

Il problema di oggi però è che ogni ritardo sui diritti civili avviene sulla pelle delle persone: mi riferisco all’eutanasia, per esempio, al riconoscimento dell’amore vissuto dalle coppie omosessuali o al riconoscimento di entrambi i genitori per i figli avuti da queste ultime. Questo ritardo non è ammissibile.

Penso che la Chiesa debba rivedere alcune posizioni, come ha fatto in passato. Il problema sono i tempi. Mi indigno a pensare che questo immobilismo serva a salvare un’istituzione. Se sul piatto della bilancia c’è una persona che soffre e sull’altro un’istituzione in difficoltà, quest’ultima è un male decisamente minore. Continuare ad aspettare non lo considero eticamente giustificabile, perché prima c’è il bene della persona, i suoi bisogni. Tra i vari insegnamenti di Gesù non c’è quello di accogliere l’altro?

Don Giulio, che cosa manca alla Chiesa affinché arrivi a un’inclusione totale dell’amore?

Secondo me, come dicevo anche alla Giornata del rispetto di ogni spiritualità lo scorso 3 settembre a Montaretto (SP), bisogna innanzitutto riconoscere che ci sono verità semplici e verità complesse. Per esempio, se affermo che la Terra è sferica è una realtà oggettivabile, conoscibile e verificabile. Ci sono poi realtà più grandi di noi: il mistero di Dio, ma anche il mistero della vita.

Un passo necessario dal punto di vista della Chiesa è accettare il fatto che nessuno di noi ha la verità in mano: senza ammettere questo, secondo me, non c’è vero rispetto. Se dentro di me ho la certezza che la mia posizione sia quella vera, l’unica, non ci può essere un vero dialogo né rispetto dell’altro e questo vale nei confronti di tutte le altre religioni, ma anche del mondo ateo e agnostico. Laddove manca questa consapevolezza si rischia di essere violenti, anche se magari in buona fede.

Quanta violenza è stata perpetrata nei secoli in nome di Dio? Ancora oggi la Chiesa continua a portare avanti una forma di violenza ogni volta che cerca di influenzare le leggi all’interno degli stati laici. Molte cose, oggi, in Italia non vengono realizzate per il freno a mano della Chiesa. Imporre una propria visione, addirittura per legge, io trovo che sia una mancanza di amore. Pensiamo al fine vita e a tanti altri aspetti del nostro presente. Ci sta che come cattolico io abbia delle visioni diverse, ma voler a tutti i costi imporre la propria impostazione per me è una forma di violenza, che porta a non realizzare amore.

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