17 Ott 2023

Elisa Gallo: “Meno auto e più bici per democratizzare le città e renderle più vivibili”

Scritto da: Nicola Muratore

L'80% delle nostre città è dedicato alle auto, studiato per loro e spesso inaccessibile a biciclette e pedoni. Eppure le evidenze statistiche e scientifiche dimostrano che diminuire l'uso dell'auto privata avrebbe ripercussioni positive su tantissimi fattori, dall'inquinamento alla mortalità stradale, fino ai tempi di percorrenza negli spostamenti urbani. Ci spiega tutto Elisa Gallo, che si occupa di mobilità sostenibile per passione e per lavoro.

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Torino - «L’idea principale è avere molte meno auto e quelle poche che ci sono devono essere elettriche e devono andare molto più piano rispetto alla situazione attuale. L’ideale è il concetto di “Città 30” come è già stato fatto a Bologna. Questo provvedimento ribalta gli equilibri sulle strade, restituendo la città alle persone e riducendo il rischio di morire per strada».

È questa l’opinione di Elisa Gallo, consigliera nazionale di FIAB e membro del direttivo di FIAB Torino Bike Pride, di cui è stata presidente fino allo scorso settembre. Da sempre attivista per la mobilità sostenibile, ha scelto di fare di questi temi il suo mestiere. A livello professionale infatti è ufficio stampa e si occupa dei temi che le stanno più a cuore – cicloturismo, economia della bici e mobilità sostenibile – scrivendo per diverse testate, blog e quant’altro. Inoltre insieme a Beppe Piras, Diego Enrico Panzetta e Vittorio Bianco ha fondato Bici-t, ma questa è una storia a parte.

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Foto di Stefano Druetta
Parliamo un po’ di mobilità: qual è la situazione attuale e che idea vorresti promuovere?

L’idea principale è avere molte meno auto e quelle poche che ci sono devono essere elettriche e devono andare molto più piano rispetto alla situazione attuale. L’ideale è il concetto di “Città 30” come è già stato fatto a Bologna. Questo provvedimento ribalta gli equilibri sulle strade, restituendo la città alle persone e riducendo il rischio di collisioni letali sulle strade. Molte città europee stanno andando in questa direzione. Non si tratta di mettere semplicemente dei cartelli, ma una concezione diversa dello spazio pubblico e delle strade, con un lavoro di accompagnamento della cittadinanza al cambiamento.

In città, come a Torino per esempio, si tende a guidare a velocità elevate, ma con una modalità di accelerazione-rallentamento continuo. Il risultato è che la media è di 21 km/h, ma con picchi alti che aumentano il rischio di danni letali in caso di collisioni. L’idea dunque è ridurre la velocità massima, appunto portandola a 30 km/h, ma in maniera costante in modo da impiegare quasi lo stesso tempo di percorrenza, come è stato dimostrato da studi fatti a Bruxelles.

Bike Pride 2022 @ Stefano Druetta 2
Foto di Stefano Druetta

Questo permette agli altri utenti della strada, a piedi e in bici, di muoversi più in sicurezza: 30 km/h si riduce il rischio di danni gravi in caso di collisioni. È stato mostrato che la differenza di danni tra i 50 e i 30 km/h è paragonabile a quella tra un’auto lanciata dal terzo piano e quella dal primo. Parallelamente questa scelta facilita l’uso di altri mezzi come per esempio la bicicletta, perché ci si sente più sicuri.

Guardiamo con grande attenzione l’esperienza di Bologna, che ufficialmente è diventata Città 30 a luglio. Si dovrebbe investire su infrastrutture di moderazione del traffico, infrastrutture per la ciclabilità, aumentare le aree pedonali, a partire dalle strade scolastiche ovviamente tanta comunicazione e sensibilizzazione. Il 60% degli spostamenti in ambito urbano compiuti con la macchina è inferiore ai 5 chilometri e il 40% sotto i 3. Quindi molti di questi spostamenti potrebbe essere fatta in bici o addirittura a piedi, una città 30 facilita il cambio di mobilità.

Non è un conflitto tra utenti, tra ciclisti e automobilisti: lo spazio è delle persone, che di volta in volta scelgono cosa è meglio usare. Se non puoi pedalare prenderai il bus o andrai a piedi, se domani devi fare un trasloco affitterai un furgone. Dobbiamo capire che non sempre l’auto è la soluzione migliore, ma è solo una delle opzioni e una città va ripensata per far sì che non sia più la scelta più “conveniente”. Tra l’altro il Bike Pride 2023, XII edizione, che si terrà domenica 22 ottobre, è dedicato proprio al tema Città 30.

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Foto di Stefano Druetta
Come mai allora si predilige l’uso della macchina? Sarà per una questione di comodità?

L’idea della comodità dell’automobile è un errore di prospettiva causato da decenni di marketing dell’automotive. Si sceglie la macchina senza conoscere i dati. Pensiamoci bene: in termini economici sicuramente non lo è, basti pensare ai costi di acquisto, di mantenimento – assicurazione, bollo, manutenzione –, del carburante, di eventuali pedaggi o parcheggi a pagamento. Non è comoda in termini di tempo di percorrenza come abbiamo visto prima. Inoltre bisogna tenere presente il tempo per trovare un parcheggio, che spesso non è vicino al luogo in dobbiamo andare e quindi non è nemmeno vero che la macchina ci porta dove vogliamo come ci hanno fatto credere.

Non è conveniente in termini di salute, non solo quella legata all’inquinamento e alla sedentarietà – che comunque sono temi cardine –, ma anche allo stress della guida, alla frustrazione di essere imbottigliati in una coda e ai possibili incidenti. Insomma, non solo non è comoda, ma non è neanche più sostenibile. Questi sono costi e danni per la società, non solo individuali. Le abitudini sono lente a sradicarsi, ma serve un’azione politica. Questo cambiamento non può arrivare dai singoli finché le politiche con le infrastrutture non lo permetteranno. Per questo dobbiamo spostare il dibattito, pungolando le amministrazioni e spronando la politica.

Cosa ne pensi delle politiche che vorrebbero rendere obbligatori il casco, la targa e l’assicurazione per monopattini e biciclette?

Tutto ciò che vincola l’uso della bicicletta ne limita l’impiego. Non ha senso disincentivare le persone dall’uso della mobilità sostenibile in nome della sicurezza perché all’aumentare della prima aumenta anche la seconda. Dove è stato testato l’obbligo del casco c’è stato un crollo nell’uso della bicicletta. Il problema è che la città è autocentrica, tutto è pensato in funzione delle auto, in termini sia di spazio che di progettazione: l’80% è dedicato alle auto e solo il 20% a tutto ciò che auto non è.

Bike Pride 2022 @ Stefano Druetta 1
Foto di Stefano Druetta

C’è un presunto diritto all’uso dell’auto e al possedere spazi per la propria auto sempre a causa di decenni di marketing a favore dell’automotive. Chi propone il casco obbligatorio è figlio di questa mentalità. L’auto costa a livello di soldi, ma ha anche dei costi per la collettività in termini sanitari, di danneggiamento al suolo, di qualità dello spazio pubblico. Davanti alle scuole si registrano i picchi di aria più inquinata. La bici invece ha solo effetti positivi, a livello fisico, mentale, economico, di spazio pubblico più pulito e sicuro. Chi arriva a proporre certi obblighi nega tutta una serie di teorie basilari. La crisi climatica ci sta dicendo che dobbiamo modificare i nostri comportamenti.

La sfida per contrastare la crisi climatica si gioca in ambito urbano ed è qui che dobbiamo intervenire. L’incidentalità ci dice che l’automobile è tra le principali cause di morte tra i giovani e il 70% delle morti in macchina sono in ambito urbano. La velocità è causa o concausa. Abbiamo un numero di auto per abitante che è il doppio della media europea. Non riconoscere che la mobilità sostenibile andrebbe sostenuta e incentivata come parte della soluzione alla crisi climatica e alle morti sulla strada è indice di ignoranza sul contesto. La sicurezza sulle strade si promuove così, non attraverso l’obbligo del casco.

Non ha senso disincentivare le persone dall’uso della mobilità sostenibile in nome della sicurezza perché all’aumentare della prima aumenta anche la seconda

Dunque meno automobili equivale a città più pulite e più sicure?

Certo, bisogna democratizzare la città, renderla per tutti. Tutti facciamo errori, siamo umani: il problema è che se faccio un errore con un’auto da diverse tonnellate è molto più probabile che io faccia del male a qualcuno. Al contrario, se faccio un errore in bicicletta è completamente diverso. Questo è un altro punto di partenza che spesso viene trascurato. Abbiamo pesi diversi, responsabilità diverse nel muoverci, sia individuali che collettive.

E come convincere chi non la pensa così?

La comunicazione è fondamentale in questi cambiamenti. Poi ci saranno sempre dei critici, ma dobbiamo invece portarci dietro chi è favorevole o indeciso. E così si sposteranno anche i critici che si ricrederanno col tempo. A Torino i commercianti contestavano la pedonalizzazione di via Garibaldi, di via Monferrato, via Roma, via Lagrange, poi si sono ricreduti. Sono i fatti a convincere le persone. Ed è per questo che è la politica a dover intervenire con coraggio.

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