15 Nov 2023

Taranto: dopo anni di richieste ecco il rapporto sulla diossina nel latte materno

Diossina nel latte materno. Succede anche questo a Taranto, dove i fumi dell'acciaieria oscurano il cielo ormai da troppo tempo. Gli studi che confermano questa contaminazione risalgono a diversi anni fa, ma solo pochi giorni fa la giornalista Rosy Battaglia – autrice del documentario d'inchiesta "Taranto Chiama" – è riuscita a ottenerne copia, "strappandoli" alla negligenza e alla connivenza delle istituzioni che dovrebbero monitorare e tutelare le condizioni di salute della popolazione ionica.

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Taranto, Puglia - Era il lontano 2016 quando una donna di Taranto confessò a Rosy Battaglia di sentirsi in diritto di sapere se, una volta partorito, il latte con cui avrebbe nutrito suo figlio sarebbe stato contaminato da diossina. Rosy stava muovendo i primi passi di un lungo percorso che oggi si sta avviando verso la conclusione, quello di Taranto Chiama, il documentario che racconta il passato e i possibili futuri della città ionica, che sta cercando di divincolarsi dalla stretta mortale dell’ex ILVA e dei suoi veleni.

“Zona di sacrificio” è stata definita dal il relatore speciale ONU Marcos Orellana, che Rosy Battaglia ha incontrato durante le riprese. Una delle tante voci che si aggiungono al coro di una narrazione ricca di tragedie e speranze, come quella di Celeste Fortunato – oggi deceduta – che ha fornito una testimonianza dall’elevato impatto emotivo, raccogliendo simbolicamente il testimone di decine di migliaia di tarantini e tarantine.

IL RAPPORTO DI BIOMONITORAGGIO

Arriviamo dunque a novembre 2023. Io e altri colleghi e colleghe siamo – virtualmente – riuniti con Rosy che vuole comunicare gli esiti di un procedimento chiave nella realizzazione del documentario che si è finalmente concluso dopo mesi, anni di insistenti richieste di accesso «agli esiti della prescrizione 93 dell’autorizzazione integrata ambientale che doveva autorizzare ILVA alla produzione», spiega la giornalista.

«Grazie al Freedom of Information Act (FOIA) ho ottenuto, dall’Istituto Superiore di Sanità, dopo sei mesi di richieste di accesso alle informazioni al MASE, a ISPRA, all’ASL di Taranto, lo studio scientifico completo che conferma le ricadute certe dell’inquinamento del siderurgico sulle madri di Taranto, con in particolare la presenza di una molecola chimica, il 2,3,4,7,8-pentaclorodibenzofurano che “può essere considerato un marcatore di attività industriali di carattere metallurgico”», spiega Rosy ripercorrendo il lungo iter che le è stato necessario per ottenere la documentazione.

La prescrizione risaliva al 2012 imponeva all’allora ILVA di commissionare una campagna di biomonitoraggio per determinare la concentrazione di diossina e PCB nel latte materno nelle aree circostanza all’impianto. Entro sei mesi l’azienda avrebbe dovuto concordare modalità e realizzare uno studio che monitorasse i licheni, l’ozono, gli inquinanti organici persistenti (diossine) secondo le indicazioni OMS e FAO con verifica di PCDD/F, PCB nel latte e sangue materno, nel pesce, nei bovini e negli ovini e nei tessuti adiposi. La campagna è stata realizzata e di fatto lo studio ha confermato la presenza di una molecola chimica – un furano – che può essere considerato marcatore di attività industriale di carattere metallurgico.

Nello specifico, lo studio è stato commissionato dall’ILVA all’Istituto Superiore di Sanità, che lo ha realizzato in collaborazione con il Dipartimento Prevenzione dell’ASL di Taranto, nell’ambito del decreto del Ministero dell’Ambiente del 2012, con il quale si imponeva il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) dello Stabilimento siderurgico ILVA S.P.A sito nel Comune di Taranto e Statte (GU.n 252 del 27/10/2012 ). L’autorizzazione – scaduta ad agosto 2023 – è necessaria per l’esercizio dello stabilimento siderurgico e prevedeva la realizzazione della campagna di biomonitoraggio per determinare anche la concentrazione di diossine e PCB nel latte materno nelle aree adiacenti al polo siderurgico.

rosy battaglia
Rosy Battaglia
RITARDI E MANCATA TRASPARENZA

La procedura si è quindi svolta correttamente? Decisamente no. «Lo studio si è concluso nel 2018 – spiega Rosy – ma gli esiti non sono mai stati resi pubblici. Solo pochi giorni fa, dopo reiterate e insistenti richieste, sono riuscita a ottenerli ed essi rappresentano un elemento determinante per la realizzazione del documentario Taranto Chiama». Ma non è tutto. La stessa richiesta è stata avanzata per anni anche dall’Ordine dei Medici di Taranto, in particolare dalla dottoressa Annamaria Moschetti, che però non ha mai ottenuto risposta. «La prima cosa che ho fatto una volta entrata in possesso del rapporto di biomonitoraggio è stata condividerlo con i medici tarantini, che nella mattinata di mercoledì lo hanno presentato con un’analisi scientifica dei dati».

Le criticità evidenziate da Rosy Battaglia non finiscono qui. Come spiega, se da un lato sta proseguendo il monitoraggio della presenza di diossina in licheni e aghi di pino presenti nelle aree circostanti l’impianto di Acciaierie d’Italia, desta grande preoccupazione il fatto che dal 2018 non risulti più alcun controllo sulla presenza di diossina nel latte materno. È infatti lo stesso Istituto Superiore di Sanità ad ammettere che “non ha effettuato attività di sorveglianza sanitaria sulla presenza di diossine nel latte e nel sangue materno, nei tessuti adiposi delle donne di Taranto residenti nei quartieri prospicienti lo stabilimento”.

TARANTO CHIAMA

Proviamo a riordinare le carte seguendo il filo del documentario, non solo quello narrativo ma anche quello delle svariate traversie che l’autrice ha affrontato nella realizzazione del materiale. «Sono stata una delle prime in Italia a fare ricorso alla norma sul diritto d’accesso, ma non è stato facile», confessa Rosy, che adesso auspica che – come previsto dalla procedura dell’Autorizzazione Integrata Ambientale – i dati che ha ottenuto vengano pubblicati sul portale dedicato, in ottemperanza anche all’obbligo di trasparenza previsto dalla prescrizione 93.

taranto ilva
Foto dell’Associazione Genitori tarantini

«In questa storia mi sembra che la tutela della salute pubblica sia scomparsa – dichiara la giornalista –, c’è un problema di diritto di accesso alle informazioni che riguarda la salute delle madri di Taranto. Attenzione però, non voglio fare allarmismo, non c’è un divieto per loro di allattare i bambini e l’allattamento materno rimane l’opzione preferibile».

Il lavoro del documentario non si ferma, anzi, comincia ad avvicinarsi al traguardo. Più di 300 persone in Italia hanno finanziato l’inchiesta per un totale di 25000 euro e questo rapporto risolve una parte della storia che Rosy Battaglia andrà a raccontare: «Io sono nata come data journalist – dice – e questo studio è proprio la risposta alla domanda di quella madre che chiedeva se avrebbe potuto allattare suo figlio».

Desta grande preoccupazione il fatto che dal 2018 non risulti più alcun controllo sulla presenza di diossina nel latte materno

I PROSSIMI PASSI

«Sono contenta del lavoro faticoso ma bellissimo fatto a Taranto quest’anno», prosegue Rosy. «Il lato positivo del racconto c’è tutto, c’è la speranza ma c’è anche una città che guarda dall’altra parte. La parte di documentario più faticosa, che sta allungando i tempi, è quella investigativa, ma ora che sono riuscita finalmente a ottenere quel documento ci sarà una svolta nella narrazione. Possiamo raccontare la Taranto del futuro, ma la polvere non si può nascondere sotto il tappeto».

Come per tutti i suoi documentari, il primo passaggio è obbligato: «Appena avrò il primo girato lo guarderò – oltre che coi miei legali – con le comunità di riferimento, quindi Taranto e Trieste [dove nel 2020 i movimenti civici sono riusciti a ottenere la chiusura dell’area a caldo della Ferriera, impianto industriale altamente inquinante, ndr]. Taranto Chiama sarà proiettato prima a porte chiuse e poi ci sarà il lancio nazionale, verrà organizzato un tour e avrà una distribuzione dal basso, che è poi il senso del lavoro. «Ho realizzato questo documentario cercando di rispondere anche ai bambini e ragazzi tarantini, che quando ho iniziato il lavoro mi hanno chiesto: “Perché hai scelto di parlare di Taranto e come ne parlerai?”».

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