8 Nov 2023

L’assurdo accordo fra i governi italiano e albanese sui migranti – #826

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L’accordo fra i governi di Italia e Albania sui migranti è destinato a far discutere e fa tornare alla mente diversi accordi simili o tentativi goffi (e poco etici) di contenere i flussi migratori, in Europa e nel mondo. Soluzioni che calpestano i diritti umani e che spesso nemmeno sono vere e proprie soluzioni. Parliamo anche di un nuovo studio sull’accelerazione del cambiamento climatico e di un motore di ricerca umano fatto da bibliotecari/e di Francia e Belgio.

Lunedì sera è uscita la notizia di un accordo, un protocollo d’intesa, fra il governo italiano e quello albanese sul tema immigrazione che sta facendo molto discutere e lo farà ancora nei prossimi mesi. In pratica, come scrive Kevin Carboni su Wired, “I migranti soccorsi in mare da navi italiane potranno essere portati in due strutture gestite dall’Italia a proprie spese e sotto la propria giurisdizione, ma in Albania. 

Il protocollo di intesa è stato firmato proprio lunedì il 6 novembre 2023 dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama, ma probabilmente nasce già questa estate, e giustifica anche la vacanza un po’ improvvisa di Meloni in Albania, di cui i giornali avevano parlato a lungo. 

Come scrive Emanuele Lauria su Repubblica, ““Altro che aperitivi…”. Con un coup de théâtre Palazzo Chigi dà una nuova luce alla discussa vacanza di Ferragosto di Giorgia Meloni in Albania. Un viaggio in traghetto da Brindisi a Valona, all’improvviso, con tutto il nucleo familiare (la sorella Arianna, il cognato ministro Lollobrigida, l’ex compagno Andrea Giambruno). Di quella trasferta anomala, avvolta dalle polemiche per uno spot al turismo di un Paese concorrente, non sono circolate testimonianze fotografiche, in realtà”.

Comunque, tornando all’accordo, non sono noti ancora i dettagli, ma per quel che sappiamo il piano sembra non essere perfettamente in linea con le leggi italiane ed europee sul diritto all’asilo. Ma cosa sappiamo esattamente?

Torno su Wired: “Dell’accordo per trasportare i maschi maggiorenni soccorsi in mare in un centro di Shengjin si sa poco, se non che difficilmente potrà garantire i diritti delle persone, dall’accoglienza all’asilo

I due centri sorgeranno nei pressi del porto di Shengjin, a circa 70 chilometri a nord della capitale Tirana, e a Gjader, piccolo villaggio dell’entroterra dove si trova una famosa ex base sotterranea dell’aeronautica militare albanese, oggi “cimitero” dei vecchi caccia inutilizzati dalla fine della guerra fredda. Le due strutture potranno ospitare un massimo di 3mila persone contemporaneamente, che dovranno essere solo maschi adulti salvati in mare e che non abbiano messo piede su suolo italiano prima di arrivare in Albania.

A Shengjin si svolgeranno le procedure standard di sbarco, identificazione e prima accoglienza per i richiedenti asilo. Mentre a Gjader finirà chi rischia il rimpatrio. Là sembra infatti che sarà allestita una struttura molto simile ai Centri di permanenza per rimpatri (i famosi e discussi Cpr, strutture di fatto detentive all’interno dei quali si trovano i migranti entrati irregolarmente in Italia e che non avrebbero diritto all’asilo politico o umanitario e che il governo vuole ampliare costruendone di nuove), dove verranno portate tutte le persone non ritenute in possesso dei requisiti per la richiesta di asilo. 

E qui sorgono i primi problemi legali. Infatti, oltre a non aver indicato quali criteri saranno considerati per valutare le richieste di asilo, Meloni ha fatto intendere che qui finiranno per prassi tutte le persone ritenute non idonee, ma in base alle leggi italiane ed europee i richiedenti asilo possono essere trattenuti in strutture governative solo in casi eccezionali.

Questa procedura dai tratti sommari e incerti non è piaciuta alla Commissione europea, già infastidita per non essere stata consultata o informata dei dettagli dell’accordo, che ha fatto sapere come potrebbe saltare tutto se l’Italia non dovesse rispettare le norme europee e il diritto internazionale, come si legge su Euractiv. Anche se verificare il rispetto delle disposizioni potrebbe essere più difficile del previsto, dato che l’Albania non è uno stato membro dell’Unione europea (e questo probabilmente non è un caso).

Comunque: i problemi non finiscono qui. Infatti le istituzioni europee sono preoccupate rispetto alla cessione di sovranità del suolo albanese all’Italia e al modo in cui l’Albania può procedere ai rimpatri senza accordi bilaterali, non essendo soggetta agli stringenti vincoli europei. La Commissione non ha infatti ricevuto alcun dettaglio rispetto a queste procedure e il timore è che questo protocollo di intesa vada a peggiorare le condizioni dei migranti e a gravare inutilmente sulle casse italiane e sui fondi europei per la gestione dei migranti.

Oltre alle ovvie questioni legate ai diritti dei migranti, c’è anche chi solleva dubbi relativi all’effettiva utilità dell’operazione. Innanzitutto la capienza è limitata a 3mila persone contemporaneamente in entrambe le strutture. Anche se le pratiche di accoglienza e rimpatrio dovessero procedere al ritmo record immaginato da Meloni, solo 28 giorni a persona contro i mesi che si impiegano oggi, in Albania potrebbero transitare al massimo 36mila persone l’anno, contro le 145mila sbarcate in Italia nel 2023. Anche lo stesso premier Rama, in un’intervista a La Stampa, ha dichiarato che il protocollo non risolverà nulla.

In più, secondo quanto detto da Meloni in conferenza stampa, oltre a non poter essere applicato sulle persone già sbarcate in Italia, il protocollo non si applicherà a donne, minori e persone con fragilità. Non è però chiaro come, dove e quando queste persone soccorse in mare verranno sbarcate in Italia. Verrà fatto prima o dopo aver lasciato i maschi adulti in Albania? Considerando che il porto di Shengjin dista tre giorni di navigazione da Lampedusa, le imbarcazioni delle autorità italiane si troverebbero a dover navigare per giorni, facendo avanti e indietro tra Italia e Albania, cariche di persone in precarie condizioni di salute fisica e mentale, sprecando risorse, lasciando sguarnite le nostre acque territoriali e costringendo a ulteriori sofferenze i migranti salvati.

Insomma ci sono tanti punti d’ombra in questo piano. In generale mi lascia sempre di stucco la facilità con cui si sfornano leggi e si prendono accordi sulla pelle delle persone più disgraziate. L’attuale piano d’intesa con l’Albania è solo l’ultimo di una lunga lista di piani poco chiari e decisamente ambigui per mantenere i flussi migratori che l’Italia ma anche l’Ue sta siglando con altri paesi. Abbiamo parlato più volte del protocollo d’intesa fra Italia e Libia, in quel caso per bloccare le partenze, così come dell’accordo fra Ue e Tunisia, in cui si fanno una serie di concessioni al governo tunisino purché blocchi, con le buone o con le cattive, a costo di lasciarli morire nel deserto, i migranti diretti in Europa. 

Ancora di meno si parla degli accordi che l’Europa ha costruito col Niger e altri paesi del Sahel, i cosiddetti confini esterni dell’Unione, i più difficili da valicare, per tenere le popolazioni subsahariane fuori dalla possibilità di raggiungerci. Anche qui parliamo di accordi sporchi di sangue, sangue di poveracci (ne abbiamo parlato nell’ultima puntata di INMR+ con Roberto Salustri).

Molti giornali in queste ore fanno dei parallelismo fra l’accordo Italia-Albania e quello che il governo inglese ha fatto con il Ruanda, ancora più assurdo, per espellere e deportare migranti e richiedenti asilo “irregolari” in Ruanda con voli di stato. Accordo che come ricorda Repubblica finora “è stato un flop: nessuno ha lasciato il suolo britannico. E pensare che si doveva partire a inizio 2022, senza limiti e con un biglietto di sola andata per migliaia di migranti arrivati illegalmente sulle coste britanniche – quest’anno oltre 22mila”.

In quel il blocco è stato dovuto dapprima alle perplessità, chiamiamole così, espresse della Corte Europea per i Diritti dell’uomo, e in seguito alla bocciatura dalla Corte d’appello inglese, che lo scorso giugno ha dichiarato il piano “illegale”. 

A quel punto però il governo di Rishi Sunak ha studiato un “piano B” forse uteriormente più assurdo che prevede di nuovo lo schema del trasferimento forzato degli immigrati clandestini in un territorio altrettanto remoto (nell’oceano Atlantico meridionale, a 1.600 km dalla costa dell’Africa e a 2.300 da quella del Brasile), ma ancora di dominio britannico: l’isola di Ascensione. Un piano però a lungo termine, e visto che, come racconta Andrea Gaiardoni su “Il Bo Live” “il premier Rishi Sunak ha bisogno di portare risultati concreti, e in breve tempo, a un elettorato sempre più perplesso, ecco spuntare una terza via, più agile e immediata, di cui abbiamo parlato settimane fa, ovvero di alloggiare parte dei richiedenti asilo a bordo di una gigantesca chiatta (93 metri di lunghezza per 27 di larghezza) ormeggiata in una zona defilata del porto di Portland, nella contea di Dorset, nel sud dell’Inghilterra, sulla quale è stato eretto una sorta di condominio (o di alloggio, o di prigione) a tre piani. Un centro d’accoglienza sul mare.

Visto che siamo in tema, vi segnalo che nel silenzio dei media, è passata quasi completamente inosservata la notizia che il buon Joe Biden, a inizio ottobre, ha avallato il piano di ampliamento del muro che separa gli Usa dal Messico, voluto da Trump. Biden, che ai tempi aveva contestato aspramente la misura, ha detto di non poter fare altrimenti, perché i fondi erano stati stanziati durante l’amministrazione Trump e dovevano essere usati per quello scopo. Ma, ecco, diciamo che se una cosa non la vuoi fare e sei il presidente degli Usa, lo trovi il modo di non farla. 

C’è il sospetto che Biden si sia un po ‘nascosto dietro al fatto della decisione presa da altri, ma in fin dei conti gli abbia fatto comodo questa decisione, visto che solo poche settimane prima – come riporta Internazionale – il segretario alla sicurezza interna Alejandro Mayorkas ha affermato che c’è “la necessità urgente di costruire barriere fisiche in prossimità del confine per prevenire gli ingressi illegali”.

Insomma in diverse parti del mondo si costruiscono barriere fisiche o si confinano i migranti in zone sperdute, lontane. Ma sono davvero delle soluzioni? C’è innanzitutto una questione etica, e un ragionamento da fare sui limiti che dobbiamo mettere alla protezione dei confini nazionali. Cosa è lecito fare per difendere i propri confini dall’arrivo di persone via mare? Poi, andando un po’ più in profondità dobbiamo chiederci: ma è davvero un problema? O solo un problema? Abbiamo ormai decine di modelli di integrazione virtuosa, dalla famosa Riace a tante altre esperienze. Ora, è chiaro che più aumentano i numeri, più diventa comunque complesso trovare soluzioni di reale integrazione, ma comunque la direzione dovrebbe essere quella. 

Poi, oltre alle questioni etiche, ci sono i ragionamenti su quanto queste soluzioni funzionino. Spostare i problemi altrove, confinarli dove non possono essere visti, è un meccanismo tipico dei nostri sistemi politici e sociali, e in fin dei conti lo facciamo anche con noi stesso, spesso. Ma in genere, nei singoli individui così come nelle società, non funzionano. I problemi restano, anzi non visti si ingigantiscono, si nutrono della nostra paura e del nostro odio. Vediamo oggi gli effetti di decenni di simil-apartheid a Gaza, e non solo.

Insomma, mi sembrano soluzioni tampone, molto sintomatiche e che non vanno alle radici del problema. Certo, alle radici del problema spesso non ci vogliam oandare perché dovremmo affrontare il fatto che per anni le nostre ricche società hanno banchettato sulle risorse di paesi più poveri, secondo i criteri dell’economia classica, spesso alimentando instabilità politica e violenza, gli stessi fattori che sono fra le principali cause delle migrazioni, assieme oggi alla crisi climatica, di cui ancora una volta sono le nostre società ricche le principali cause. E quindi ci troviamo ad applicare soluzioni sintomatiche, che somigliano alle torri mangia smog di Nuova Delhi di cui parlavamo ieri. Sono costose, promettono di risolvere la situazione ma in fin dei conti, non funzionano. 

Torniamo a parlare di clima. È stato pubblicato un nuovo studio che mostra come il riscaldamento globale stia accelerando a un ritmo più elevato di quanto previsto e che le attuali misure di mitigazione e controllo del clima sono ben lontane dal risolvere il problema. Lo studio fra l’altro non ha una firma a caso, ma è firmato da James Hansen, che è nientepopodimeno che colui che per primo ha segnalato la crisi climatica nel 1980.

Utilizzando dati paleoclimatici, modelli climatici e dati satellitari Hansen e un gruppo di scienziati hanno concluso che il pianeta è estremamente sensibile alle cause del riscaldamento globale, la cui sottovalutazione porterà a un aumento delle temperature medie globali superiore al limite di 1,5°C entro il 2030. All’attuale tasso di inquinamento, la Terra raggiungerà i 2°C ben prima del 2050, che sappiamo (o meglio immaginiamo) essere una soglia critica oltre la quale molti aspetti delle attuali società non potranno più esistere.

La temperatura della Terra è direttamente correlata alla quantità di anidride carbonica (CO2) presente nell’atmosfera. Dal 1979 si calcola che un raddoppio della CO2 provocherebbe un aumento del riscaldamento globale compreso tra gli 1,5 e i 4,5° C. Ora però lo studio di Hansen rivaluta la sensibilità climatica – ovvero il parametro che misura il riscaldamento del pianeta in risposta al raddoppio delle concentrazioni di CO2 – e stima che la temperatura terrestre raggiungerebbe almeno i 4,8°C.

Per tornare alle temperature globali dell’Olocene, l’epoca precedente al periodo industriale, la ricerca propone l’attuazione immediata delle seguenti azioni:

  • Un aumento globale del prezzo delle emissioni di gas serra, accompagnato dallo sviluppo di energia pulita abbondante e accessibile.
  • Cooperazione tra Est e Ovest del mondo finalizzata a soddisfare le esigenze dei paesi in via di sviluppo.
  • Intervento sullo squilibrio energetico della Terra.

Insomma, lo diciamo spesso ma oggi a maggior ragione: dobbiamo smettere ieri di bruciare qualsiasi cosa, dobbiamo praticamente dimenticare il fuoco, lo stesso che ci ha permesso di nascere come società complessa, se vogliamo continuare ad abitare felicemente questo pianeta.

Ultima notizia del giorno, segnalo un articolo molto interessante del Post che racconta di come le bilioteche nel mondo siano riuscite a resistere all’avvento di Internet e di come si stiano reinventando, In particolare racconta un servizio davvero curioso ideato da Eurekoi, piattaforma franco-belga che invita chiunque a porle qualsiasi domanda, curiosità o richiesta di consiglio: la promessa è quella di far rispondere entro tre giorni a una rete di oltre 600 bibliotecari provenienti da 52 biblioteche della Francia o del Belgio francofono, fungendo sostanzialmente da “motore di ricerca umano”.

Come racconta l’articolo, “Non è un progetto unico nel suo genere: a Bologna, per esempio, esiste il servizio di reference digitale cooperativo “Chiedilo al Bibliotecario”, attraverso cui otto biblioteche della città, diverse per natura e dimensioni, collaborano per rispondere alle domande dei cittadini sempre entro tre giorni. Per grandezza della rete, numero di richieste pervenute e ampiezza dei temi su cui si esprime, Eurekoi è però un esperimento particolarmente impressionante”.

Eurekoi si chiama così dal 2015, ma esiste dal 2006: «prima avevamo una hotline telefonica per rispondere alle domande a distanza» racconta Caroline Lamotte, una delle persone che coordina il progetto nella Bibliothèque publique d’information, la principale biblioteca pubblica di Parigi, che ha la propria sede all’interno del Centre Pompidou.

«Per molto tempo si è trattato soltanto di un servizio di documentazione, in cui i bibliotecari indirizzavano gli utenti verso i documenti o le opere che potevano loro servire. Ma dal 2017 abbiamo aggiunto un servizio di raccomandazione: prima di romanzi e fumetti, poi di film e serie tv. Quest’anno abbiamo aggiunto i consigli di giochi da tavolo». E sta avendo un successo impressionante. 

Il fatto che ci siano persone dall’altra parte che danno consigli magari non perfetti, ma umani, che ci permettono di scoprire qualcosa di nuovo e non “pensato su misura per noi” come fanno spesso gli algoritmi, quindi anche di evolvere come persone, cambiare gusti nel tempo e così via, sembra una formula che funziona e piace. Ovvio, anche questo è imitabile dagli algoritmi di AI, ma tant’è. Per adesso annotiamo il successo di questa bella iniziativa. 

Prima di chiudere passo la parola oggi a Francesco Bevilacqua, nostro caporedattore, per la rubrica la giornata di Italia che Cambia. Francesco, quali sono i pezzi che ti hanno colpito di più fra quelli usciti oggi su ICC?

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