24 Gen 2023

Il caso dei carri armati tedeschi e la bellicosità dei media – #658

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Il caso dei carri armati tedeschi sta mostrando una preoccupante, quanto acritica, corsa agli armamenti da parte dei paesi Nato, sorretta da un atteggiamento sempre più bellicista dei media. Cerchiamo di capire meglio la situazione. Parliamo anche delle coste francesi invase dalla plastica, e del Pakistan che è rimasto per l’ennesima volta senza corrente elettrica.

IL CASO DEI CARRI ARMATI TEDESCHI E LA BELLICOSITA’ DEI MEDIA

In queste ultime settimane, ma forse ormai parliamo anche di mesi, abbiamo perso un po’ di vista come sta andando il conflitto in Ucraina. Di tanto in tanto ne abbiamo parlato, magari facendo riferimento a eventi specifici, ma non abbiamo fatto grandi analisi della situazione.

I motivi sono essenzialmente due: il primo è quella sorta di normalizzazione naturale del conflitto, che ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali per mesi e mesi e che nel tempo ha assuefatto l’opinione pubblica. È finito l’effetto novità, ci siamo abituati al fatto che c’è una guerra a due passi da casa nostra e abbiamo smesso di preoccuparcene, o perlomeno, ce ne preoccupiamo di meno.

Il secondo è che più passa il tempo più diventa difficile capire e spiegare come stanno andando le cose. L’operazione speciale di Putin si è trasformata in una guerra lunga, che non accenna a finire, che coinvolge in maniera sempre meno indiretta altri attori e in cui si combatte su tanti fronti contemporaneamente. Per cui anche i giornali fanno difficoltà a capire quali sono le notizie più importanti e soprattutto a dare un quadro d’insieme. Domande come “chi sta vincendo”, chi sta avanzando, ecc, non hanno molto senso e l’unica risposta possibile è dipende.

Io non ci provo nemmeno a fare un quadro complessivo, perché la cosa va ben aldilà delle mie capacità. Quello che però vorrei fare oggi è prendere spunto da alcune notizie di attualità per individuare degli andamenti del conflitto più generali.

La prima notizia è quella che riguarda i carri armati tedeschi. Ne avrete probabilmente sentito parlare perché la notizia sta tenendo banco sui giornali da diversi giorni. Riassunta in brevissimo, l’Ucraina e gli Usa stanno facendo pressione sul governo tedesco perché si decida ad inviare dei carri armati di ultima generazione Leopard 2 a sostegno dell’esercito ucraino. Il governo tedesco dal canto suo prende tempo, e ogni volta risponde all’incirca la stessa cosa: “c’è bisogno di valutare attentamente pro e contro prima di inviare i propri carri armati”.

Si tratta di una questione centrale, sulla quale è persino caduta la Ministra degli esteri tedesca, Christine Lambrecht, dimessasi dopo essere stata accusata di reticenze nel fornire aiuti all’Ucraina. 

Scrive Marina Palumbo sulla Stampa: “Per l’Ucraina, i carri armati Leopard 2 sono «uno dei bisogni più urgenti e pressanti» e il governo di Volodymyr Zelensky ne chiede l’immediata fornitura da parte della Germania e dei suoi partner per poter dare una svolta nella guerra in favore di Kiev. Il Leopard 2 è infatti uno dei carri armati più importanti del mondo: di fabbricazione tedesca, ha un’autonomia di circa 500 km e ha una velocità massima di 68 km/h”. 

Più avanti la giornalista spiega il perché dell’insistenza di Kiev: “L’Ucraina si aspetta una primavera brutale: da mesi la sua intelligence e quelle dei paesi amici suggeriscono che con il migliorare delle temperature Mosca prepari una invasione di terra su più vasta scala. Entro la primavera, 150.000 russi arruolati lo scorso autunno saranno stati addestrati e probabilmente incorporati in unità pronte alla battaglia. Per gli ucraini, è una lotta contro il tempo. Entro due mesi, l’attacco potrebbe essere sferrato in maniera più massiccia. E serve tempo anche perché l’esercito impari a usare armi di una tipologia così diversa da quelle precedenti”.

Scholz ha insistito sul fatto che qualsiasi piano del genere debba essere pienamente coordinato con l’intera alleanza occidentale, e i funzionari tedeschi hanno indicato che non approveranno il trasferimento dei Leopard a meno che anche gli Stati Uniti non accettino di inviare alcuni dei loro carri armati a Kiev. Ma gli Usa non sembrano intenzionati a farlo: i carri armati americani M1 Abrams, infatti – questa è la posizione ufficiale degli Usa – sono sì potenti, ma difficili sia per l’addestramento che da mantenere». 

Ora, qual è il trend che mi sembra di vedere? È quello di una lenta ma costante corsa agli armamenti da parte della Nato. Più la Russia aumenta l’intensità del proprio impegno militare, più le nazioni Nato, Usa in primis, inviano armi sempre più potenti all’Ucraina. Questo se da un lato è comprensibile, giustificabile come uno sforzo necessario a far sì che l’Ucraina resti un paese libero, dall’altro fa sì che la Nato stessa sia sempre più coinvolta, sempre più in prima persona.

Proprio ieri i ministri degli Esteri dell’Ue hanno trovato l’accordo per il via libera alla settima tranche da 500 milioni di euro di aiuti militari per l’Ucraina, con l’Ungheria che avrebbe fatto cadere il veto che aveva annunciato contro il pacchetto di sostegno militare. Questo strano conflitto è stato definito di recente guerra ibrida, in cui non si capisce bene se in guerra c’è solo l’Ucraina, o anche la Nato, o metà e metà. A questo proposito sempre ieri il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto che “La guerra della Russia con l’Occidente non è più ibrida, ma quasi reale”. Un tipo di dichiarazione a cui ci siamo abituati, nel senso che la Russia ha cercato più volte di spaventare l’Occidente ventilando l’ipotesi di un’estensione del conflitto, ma che comunque ha un suo fondamento di verità.

L’altro trend, assolutamente complementare a questo, che ho notato, è quello dei giornali che si sono fatti di mese in mese più propensi al conflitto. Non trovo sui nostri giornali – parlo di quelli italiani, che conosco meglio, ma ho la sensazione che la stessa cosa avvenga anche altrove – nessuna riflessione critica sull’invio delle armi, nessuno che si ponga mezza domanda su come dovrebbe andare a finire questa escalation. 

Eppure mi sembra che l’inerzia dei media, prima ancora che della politica, porti lì. Nell’ultimo episodio di Glovo, il podcast del Post sugli esteri, l’indecisione della Germania sull’invio dei carri armati viene descritto come una mancanza di coraggio della sua classe dirigente nell’assumersi quella leadership europea, anche militare, che sarebbe necessaria. 

Sull’ultimo numero di Limes il direttore Lucio Caracciolo scrive: “Solo gli Stati Uniti sono in grado di imporre la fine del conflitto. Prima o poi l’invio periodico e limitato di armi occidentali ai combattenti ucraini non basterà più. Bisognerà considerare l’invio di nostre truppe in Ucraina. A quel punto ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga”.

D’altro canto le posizioni pacifiste vengono spesso ridicolizzate o dipinte come utopistiche e prive di fondamento. E la cosa particolare è che ciò avviene soprattutto per mano delle voci più progressiste, che fino a un anno fa professavano in prima persona il pacifismo. Io so benissimo che smettere di inviare armi senza al tempo stesso trovare un’altra soluzione significa di fatto segnare la fine del paese o perlomeno di una sua parte consistente come stato indipendente. Ma davvero non esistono altre soluzioni? Non sarà – come lo è sempre stato – che la guerra come unico scenario possibile è più che altro un enorme fallimento dell’immaginazione.  

Non sarà che l’idea di essere dalla parte del giusto e che l’unico modo per far trionfare il bene sul male sia farlo con la forza sia l’ennesimo replicarsi della stessa vecchia storia, la storia di ogni guerra?

Magari il mio discorso è un po’ qualunquista, e di certo le guerre non sono tutte uguali, ma… chissà, se avessimo investito anche solo la metà dell’intelligenza collettiva e delle risorse che stiamo spendendo in armamenti nella costruzione della pace, forse una soluzione diversa l’avremmo trovata. 

IL GOVERNO FRANCESE CONTRO LE MICROPLASTICHE

Torniamo a parlare di microplastiche, perché c’è un caso di cronaca che sta facendo parecchio discutere in Francia. Il governo francese sta intraprendendo un’azione legale a causa di un “incubo ambientale” causato da ondate di minuscole perle di plastica che si stanno arenando sulle coste della Bretagna.

Scrive Kim Wilshire sul Guardian: “Le palline bianche grandi come chicchi di riso, soprannominate “lacrime di sirena”, sono apparse sulle spiagge di Francia e Spagna nell’ultimo anno. Si ritiene che provengano da container dispersi nell’Oceano Atlantico.

Decine di volontari si sono presentati nel fine settimana per setacciare la sabbia a Pornic, sulla costa nord-occidentale della Francia, per raccogliere alcune delle perle, formalmente chiamate granuli di plastica industriale (IPG), che misurano meno di 1,5 mm. Gli attivisti ambientali ammettono che si tratta di un compito senza speranza.

“È più che altro un gesto simbolico: non credo che riusciremo a raccogliere l’intero container”, ha detto Annick, un pensionato che ha riempito il fondo di un vasetto di yogurt con qualche decina di pellet. Un’altra persona del posto, Dominique, che era venuta ad aiutare, ha detto: “Volevo raccoglierli, ma sono infiniti. Sono troppi”.

Surfrider Foundation Europe, il gruppo che ha organizzato l’operazione di pulizia stima che ogni anno si perdano circa 160.000 tonnellate di pellet nell’UE e 230.000 tonnellate nel mondo.

Jean-Michel Brard, sindaco di Pornic, ha dichiarato di aver presentato una denuncia legale insieme ad altri due sindaci delle località balneari della regione interessate. Tuttavia, i funzionari affermano che è impossibile identificare l’origine delle perle. 

IL PAKISTAN SENZA CORRENTE ELETTRICA

Spostiamoci in Pakistan (ma restiamo sul Guardian) dove la rete nazionale pakistana ha subito un grave guasto, lasciando milioni di persone senza elettricità per la seconda volta in tre mesi e mettendo in evidenza la debolezza infrastrutturale della nazione, fortemente indebitata.

Il ministro dell’Energia, Khurram Dastgir, ha dichiarato che l’interruzione di lunedì è stata causata da un forte sbalzo di tensione nel sud della rete, che ha interessato l’intera rete.

Le forniture sono state parzialmente ripristinate da nord a sud, ha aggiunto, quasi sei ore dopo che fabbriche, ospedali e scuole avevano segnalato interruzioni. La rete dovrebbe essere completamente funzionante entro le 22:00 (1700 GMT), ha detto Dastgir, aggiungendo: “Stiamo facendo del nostro meglio per ripristinare la rete prima di quella data”.

Ci sono volute ore per ripristinare l’energia elettrica dopo l’ultima grave interruzione, in ottobre. Un alto funzionario del ministero ha attribuito la colpa di questa interruzione, e dei frequenti blackout di cui soffrono i 220 milioni di pakistani, all’invecchiamento della rete elettrica.

“C’è una debolezza di fondo nel sistema”, ha detto il funzionario, che ha rifiutato di essere nominato perché non autorizzato a parlare con i media. “I generatori sono troppo lontani dai centri di carico e le linee di trasmissione sono troppo lunghe e insufficienti”.

Come gran parte delle infrastrutture nazionali, la rete pakistana ha bisogno di un aggiornamento che il governo dice di non potersi permettere.

Il Pakistan ha una capacità elettrica installata sufficiente a soddisfare la domanda, ma manca di risorse per far funzionare gli impianti alimentati a petrolio e gas – e il settore è così pesantemente indebitato che non può permettersi di investire in infrastrutture e linee elettriche.

“Abbiamo aggiunto capacità, ma lo abbiamo fatto senza migliorare l’infrastruttura di trasmissione”, ha dichiarato Fahad Rauf, responsabile della ricerca del brokeraggio Ismail Iqbal Industries di Karachi.

La Cina ha investito molto nel settore energetico pakistano nell’ambito di un programma di infrastrutture da 60 miliardi di dollari (48 miliardi di sterline) che rientra nell’iniziativa di Pechino “Cintura e Strada”, volta a sviluppare le rotte commerciali terrestri e marittime in Asia e oltre.

L’interruzione ha interessato vaste aree del Paese. A Peshawar, una città di oltre 2,3 milioni di persone, alcuni residenti hanno dichiarato di non avere acqua potabile perché le pompe erano alimentate dall’elettricità. Le società di telecomunicazioni e diversi ospedali hanno dichiarato di essere passati a generatori di riserva, ma le interruzioni sono rimaste.

“Sto affrontando molti problemi a causa dell’interruzione di corrente”, ha detto Mohammad Khurram, un residente di Karachi che stava accompagnando la suocera malata in un ospedale della città. “Devo continuare a portarla dentro e fuori dall’edificio perché le macchine a raggi X e altre unità di analisi sono danneggiate”.

FONTI E ARTICOLI

#Ucraina
La Stampa – Ecco che cosa sono i Leopard 2 e perché l’Ucraina li vuole
Limes – La guerra in Ucraina avrà una soluzione militare o non ne avrà
il Post – Perché la Germania esita sui carri armati per l’Ucraina
The Guardian – When will Putin give up Ukraine? Only when his inner circle forces him to stop

#plastica
The Guardian – France to take legal action over ‘nightmare’ plastic pellet spill

#Pakistan
The Guardian – Tens of millions without power in Pakistan as national grid fails

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