10 Nov 2023

Le aperture della chiesa sui sacramenti per persone gay e trans – #828

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Apriamo parlando di diritti civili, con alcune importanti aperture della chiesa cattolica verso le persone omo e transessuali e una serie di risultati importanti negli Usa sul diritto all’aborto. Parliamo anche della riforma che il governo italiano ha approvato in consiglio dei ministri sul cosiddetto premierato, della situazione in Cisgiordania, con l’aumento delle aggressioni e uccisioni di palestinesi da parte dell’esercito e dei coloni israeliani e infine di un attentato verso un politico di estrema destra in Spagna. 

Prosegue la fase di apertura progressista della chiesa cattolica. Mercoledì il dicastero per la Dottrina della Fede, un organo interno della Chiesa cattolica che tra le altre cose ha il compito di occuparsi della dottrina e della morale dei credenti, ha pubblicato una serie di chiarimenti sulla vita all’interno della Chiesa delle persone trans e delle persone che hanno relazioni omosessuali (il dicastero parla più specificamente di persone “omoaffettive”).

Leggo da un articolo del Post: “I chiarimenti sono stati forniti dal dicastero in risposta ad alcune domande fatte nei mesi scorsi da José Negri, vescovo di Santo Amaro in Brasile, e riguardano soprattutto la possibilità di partecipare ai sacramenti del battesimo e del matrimonio. Il documento è stato firmato da Victor Manuel Fernandez, direttore del dicastero, e controfirmato da papa Francesco.

Sono questioni sulle quali in passato la Chiesa cattolica non aveva esplicitamente fornito linee guida di condotta, di fatto non mettendo divieti ma nemmeno dando spiegazioni chiare. La prima domanda riguarda la possibilità che una persona trans possa essere battezzata: il dicastero dice che una persona trans che si fosse anche sottoposta a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, «può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli». Il dicastero specifica anche che «nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il battesimo».

Vale lo stesso discorso per la possibilità che le persone trans siano padrino o madrina di un battesimo. Il dicastero dice che è possibile ma specifica che «non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale». 

In sostanza, secondo il dicastero, non conta che una persona sia o meno trans per poter fare da padrino o madrina, ma che conduca una vita conforme al Vangelo. Il dicastero è ancora più chiaro nel rispondere alla domanda se una persona trans possa essere testimone di un matrimonio: in questo caso, si dice nel documento, «non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale» che proibisca a una persona trans di fare da testimone.

Per quanto riguarda il battesimo di figli di persone omosessuali, che siano stati adottati o nati tramite gestazione per altri (il dicastero usa la definizione “utero in affitto”), si dice che perché vengano battezzati ci deve essere «la fondata speranza» che saranno educati «nella religione cattolica», quindi non c’è alcun divieto preventivo.

Il dicastero aggiunge poi una risposta sulla possibilità che le persone che hanno una relazione gay possano essere padrini o madrine di un battesimo: in questo caso il dicastero fa una distinzione tra persone che convivono e conducono «una vita conforme alla fede», per le quali è possibile, e persone la cui convivenza non consiste in «una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio», letteralmente alla maniera di marito e moglie, in pratica intende che abbiano rapporti sessuali, per le quali non è possibile. Infine il dicastero dice che, come per le persone trans, non ci sono divieti per le persone con relazioni gay nel fare da testimoni nei matrimoni.

Insomma, pur con un linguaggio cauto e a volte un po’ arzigogolato, le massime cariche della Chiesa hanno attuato una serie di aperture direi senza precedenti riguardo alle persone gay e trans. Queste aperture si inseriscono forse all’interno di un conflitto abbastanza acceso fra l’ala progressista e quella conservatrice della chiesa. Papa Francesco, che appartiene all’ala progressista, è anziano e forse sta cercando di imprimere alcune svolte significative in quelli che potrebbero essere gli ultimi anni del suo papato.

Sempre sul tema diritti civili, segnalo che martedì negli Stati Uniti ci sono state diverse elezioni locali, oltre a due referendum costituzionali nello stato dell’Ohio. Nello specifico si votava per il governatore del Kentucky e per il parlamento statale della Virginia (vinte dal Partito Democratico), per il governatore del Mississippi (vinta da un candidato Repubblicano) e per numerosi sindaci e funzionari in tutto il paese. “In molti di questi voti – leggo ancora sul Post – la questione del diritto all’aborto è stata centrale, e ha contribuito a varie vittorie del Partito Democratico, anche in stati tradizionalmente più vicini ai Repubblicani”.

Il risultato più notevole è stato probabilmente quello del referendum in Ohio, che ha portato all’inserimento nella costituzione dello stato di un emendamento (approvato dal 56 per cento degli elettori) che renda impossibile per lo stato interferire nelle “decisioni riproduttive” delle persone. Oltre che il diritto all’aborto, l’emendamento prevede anche protezioni per contraccezione e trattamenti di fertilità. Il referendum annulla inoltre una legge approvata dal Congresso dello stato che vietava l’aborto non appena sia possibile identificare il battito cardiaco del feto. Di fatto vietava l’aborto dopo circa 6 settimane dal concepimento, quando spesso la madre non sa nemmeno di essere incinta.

Tutto ciò, è importante ricordarlo, avviene dopo che una sentenza della Corte suprema dello scorso anno che ha di fatto cancellato il diritto all’aborto a livello federale, e dopo che circa venti dei cinquanta stati americani hanno introdotto leggi restrittive che lo vietano in assoluto o ne limitano la possibilità alle prime settimane di vita del feto. Solo che ovunque si sia votato con referendum (ovvero in altri 6 stati oltre all’Ohio), hanno vinto i sostenitori del diritto all’aborto. 

L’altro referendum per cui si è votato in Ohio riguarda la legalizzazione della marijuana a scopo ricreativo: anche questo è stato approvato, e quindi la marijuana sarà legalizzata.

Venendo in Italia invece, il nostro governo è alle prese principalmente con la riforma cosiddetta sul premierato. Una roba di cui si parla da anni, e su cui in tanti hanno provato a mettere le mani fin qui, da ultimo Renzi, con scarso successo. È opinione condivisa che il sistema italiano per come è strutturato da poco potere all’esecutivo, e diverse forze politiche in passato hanno detto che gradirebbero andare in una direzione in cui c’è una elezione diretta del Premier, o del presidente della Repubblica che però avrebbe poteri esecutivi, ci sono varie versioni, per dare in sostanza più potere e stabilità (o come si dice “governabilità”) al nostro paese. 

Ora, al di là che si ritenga questa una buona o una cattiva idea, poi magari vi dico la mia alla fine, è interessante capire come intende portare avanti questa idea questa maggioranza. La sensazione al momento, per quanto traspare dal ddl approvato in consiglio dei ministri, è che si vada in una direzione un po’ ibrida che crea più problemi di quanti ne vorrebbe risolvere.

Vi leggo come Antonio Polito sul Corriere della Sera, giornale abbastanza morbido con la linea del governo (storicamente di tutti i governi), fa questa volta a pezzi la riforma.

“Pensavamo fosse la Terza Repubblica e invece era un calesse. Si potrebbe parafrasare Massimo Troisi per dire che cosa è accaduto alla riforma Meloni della Costituzione. Ideata per dare più poteri all’esecutivo e più durata alle legislature, aspirazioni giuste e sulle quali la politica italiana si interroga sterilmente da decenni, il risultato sembra invece a molti una ricetta per maggiore confusione e caos.” 

Salto qualche riga e vi leggo quando si parla dell’equilibrio dei poteri: “Avere un premier eletto direttamente dal popolo pur conservando un capo dello Stato dotato dei poteri di gestione delle crisi è pressoché impossibile. E infatti nessuno al mondo c’è riuscito, e quasi nessuno ci ha nemmeno provato. Se dai troppi poteri al premier, trasformi il presidente della Repubblica in un soprammobile. Se lasci quei poteri al capo dello Stato ma gli togli quello più grande, e cioè la fonte di legittimazione, perché il premier è eletto dal popolo e lui no, provochi nella migliore delle ipotesi uno stallo del sistema, nella peggiore un conflitto permanente”.

È il caso di questa legge. Per non andare contro i molti italiani che apprezzano l’esistenza di un «potere neutro», moderatore della lotta politica, e al fine di lasciare formalmente intatte le prerogative del Quirinale, non si danno al premier i poteri che invece ha in tutti i sistemi a governo «forte», anche senza essere eletto dal popolo: e cioè in Gran Bretagna, in Germania e in Spagna. Non può chiamare le elezioni quanto ritiene, sciogliendo di fatto il Parlamento; non può nominare e revocare i suoi ministri; non viene investito personalmente dalla fiducia delle Camere, che invece continuerebbero a darla al governo come organo collegiale. Il nostro primo ministro (che non a caso si chiamerebbe sempre presidente del Consiglio) se ne andrebbe in giro indossando la corazza dell’investitura popolare, ma senza il bastone per disciplinare la sua maggioranza. Non più forte, dunque, ma solo «ingessato».

Talmente «ingessato» che se qualcuno nella maggioranza volesse buttarlo giù, potrebbe farlo senza correre il rischio di tornare alle urne. Dovendo infatti garantire un minimo di flessibilità al sistema, nella riforma non c’è l’automatismo tra la caduta dell’eletto dal popolo e lo scioglimento delle Camere. Quando il premier viene disarcionato può dunque essere sostituito da un secondo premier, purché parlamentare della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni, il quale potrà anche cambiare coalizione, a patto che prometta di attenersi allo stesso programma. 

Dunque almeno un «ribaltino», se non il «ribaltone», resterebbe possibile. Ma il paradosso più grande è che questo «secondo» premier, pur non essendo stato eletto, diverrebbe più forte del «primo» perché sarebbe anche l’«ultimo»: dopo di lui non ci potrebbe essere altro che lo scioglimento. Un esperto della materia, Peppino Calderisi, ha ricordato che una norma analoga fu approvata dal Consiglio regionale della Calabria nel 2003, e prima di essere bocciata dalla Corte costituzionale finì per indurre i partiti a preferire la candidatura a vicepresidente, piuttosto che quella troppo caduca a presidente.

Poi il giornalista fa un esempio a mio avviso molto esplicativo: “Ora immaginate — ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale — un premier sostenuto da tre partiti, uno grande e due piccoli. Uno dei due piccoli potrebbe sempre avere la speranza di prendersi Palazzo Chigi alla prima occasione. Il suo potere di ricatto diventerebbe anzi maggiore, perché sarebbe indispensabile per formare un nuovo governo. La conflittualità interna alle maggioranze, vero cancro della politica italiana e causa prima della scarsa durata dei governi, resterebbe perciò intatta, forse persino eccitata dalle nuove norme. Un giurista, Vladimiro Zagrebelsky, ha malignamente notato che, chissà perché, questa norma ha subito trovato il favore dei due partiti minori dell’attuale coalizione”.

Poi ci sono alcune lacune vere e proprie: ad esempio non si specifica quanti voti dovrebbe prendere questo premier per risultare eletto. Il testo della riforma costituzionale si limita a dire che chi vince prende il 55% dei seggi. Ma rinvia tutto il resto a una legge elettorale. Non si capisce se viene previsto ballottaggio, o almeno una soglia minima di voti, niente.

L’iter comunque sarà lungo, il testo richiede due letture da parte di entrambe le Camere, e quindi andiamo da un anno a 18 mesi di tempo. C’è chi sostiene sia solo una mossa politica in vista delle europee. Anche poi si dovrebbe passare comunque per un referendum popolare, e già due volte gli italiani hanno bocciato le riforme costituzionali di Berlusconi e di Renzi.

Staremo a vedere. Personalmente, penso che ci sia un estremo bisogno di riformare il nostro sistema democratico, e questo se seguite INMR penso che lo saprete, ma non credo che il punto sia dare più o meno poteri ai governi. Non mi pare che sia quello il punto. Se osserviamo gli stati del mondo che stanno facendo le politiche migliori per risolvere le enormi sfide che dobbiamo affrontare, mi riferisco in questo istante soprattutto a quelle ecologiche, credo di poter dire che nessuno stia facendo abbastanza, e che se vogliamo fare una classifica potremmo mettere sul podio l’Ue, che è un organismo un po’ sui generis con dei meccanismi unici, e il Buthan, che è una monarchia illuminata. 

Questo per dire che questo tipo di riforma serve a dare più potere a qualcuno e meno a qualcun altro, forse per fare più o meno in fretta riforme discutibili, ma che se vogliamo avere strumenti che ci permettano davvero di affrontare le sfide della contemporaneità dobbiamo rivedere i nostri modelli democratici in maniera un po’ più strutturale e profonda. 

Facciamo un breve aggiornamento anche sulla situazione israelo-palestinese. Abbiamo parlato molto in questi giorni di Gaza, mentre non abbiamo molto considerato, al pari dei giornali, quello che sta avvenendo in Cisgiordania. La Palestina è composta da questi due territori separati: la Cisgiordania è il blocco più grande, e Gaza è questa striscia costiera, questa exclave.

In Cisgiordania a partire dal 7 ottobre, giorno degli attacchi di Hamas contro i civili israeliani, 158 palestinesi sono stati uccisi da militari o da coloni israeliani. In un mese i palestinesi uccisi in Cisgiordania sono stati più di quelli dell’ultimo anno, che già era stato il peggiore degli ultimi venti. E considerate che formalmente in Cisgiordania non c’è la guerra e il territorio non è governato da Hamas.

La violenza era in aumento già prima dello scoppio della guerra con Hamas, ma da allora è cresciuta in modo ulteriore e consistente: i palestinesi sono per lo più stati uccisi da militari, ma un numero crescente di episodi di violenza è stato causato da civili armati, appartenenti ai gruppi più estremisti dei coloni israeliani. Alcuni hanno cercato vendetta per gli attacchi ai civili di Hamas, altri hanno sfruttato semplicemente la situazione e una sostanziale indifferenza – e in alcuni casi un sostegno – da parte dell’esercito israeliano. 

I coloni israeliani sono gli abitanti di queste, appunto, colonie israeliane illegali in territorio palestinese create a partire dal 1967 e cresciute a dismisura, dove in genere vivono alcuni israeliani più estremisti. Oggi esistono poco meno di 300 colonie, in cui abitano circa 700mila israeliani: 200mila sono a Gerusalemme Est, gli altri in Cisgiordania.

Ultima notizia almeno fra quelle di attualità: c’è stato un attentato contro un politico spagnolo del partito di estrema destra Vox. Alejo Vidal-Quadras è stato stato colpito al volto da un uomo armato mascherato in un ricco quartiere di Madrid ieri sera e adesso si trova in condizioni stabili in ospedale.

“Le prime indagini suggeriscono che due uomini su una moto Yamaha nera sono stati coinvolti nella sparatoria”, ha detto El País. “L’uomo armato, che indossava un casco, è salito sulla moto dopo aver scaricato la sua arma. I due si sono poi allontanati”. Non si sa molto di più per adesso, quindi mi fermo qui.

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