31 Lug 2023

La Cina è sempre più lontana? – #777

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I rapporti fra Occidente e Cina si stanno complicando. Gli usa puntano al decoupling, l’Europa al de-risking, l’Italia non sa che fare con la questione della via della seta. Che tipo di mondo si sta configurando? Parliamo anche dell’incontro Biden meloni, del Ghana che abolisce (quasi completamente) la pena di morte, di una innovativa legge di protezione della natura di un comune brasiliano e del comune di Latina che impedisce a Bob Sinclair di fare un concerto all’interno di un parco naturale.

Buongiorno, oggi è l’ultimo giorno di luglio ed è anche l’ultima puntata di INMR prima della pausa estiva. Quindi partiamo con qualche breve informazione di servizio. Come vi ho già detto altre volte, INMR si ferma per 4 settimane e riprende lunedì 28 agosto. 

E poi da settembre ci saranno diverse novità, legate soprattutto alla newsletter. Ci sarà una newsletter mensile con un riassunto delle notizie più interessanti di quel mese, per avere un quadro generale, più alcune chicche e contenuti extra. In quell’occasione daremo anche la risposta al quiz mensile “Trova il bias” che diventerà un vero e proprio gioco a premi mensile. 

Quindi ecco, ci saranno diverse novità, e se vi iscrivete adesso alla Newsletter, già il 1 settembre riceverete la newsletter con le notizie più importanti successe durante questo mese di pausa, in cui quindi – voi che usate ICC come unica fonte di informazione – non avrete idea di cosa avvenga nel mondo.

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Va bene, fine delle informazioni di servizio, iniziamo con le notizie.

Stanno succedendo parecchie cose, tutte più o meno in parallelo, che riguardano le relazioni fra Cina e Occidente. Lo Yuan per la prima volta ha superato il dollaro in quantità di transazioni nel commercio bilaterale cinese nell’ultimo trimestre. Intanto gli Usa hanno annunciato che forniranno armi a Taiwan, la Germania ha pubblicato la sua nuova strategia nei confronti della Cina mentre l’Italia deve decidere se rinnovare o meno l’accordo della Nuova via della seta, in scadenza a Dicembre. 

Vediamo queste notizie singolarmente un po’ meglio, e poi magari facciamo qualche ragionamento complessivo. Partiamo dalla questione delle valute. Che vuol dire che per la prima volta lo yuan ha superato il dollaro nel commercio bilaterale cinese nell’ultimo trimestre? Come forse saprete, il dollaro è la valuta più utilizzata comunemente per il commercio internazionale. Significa che in genere, due paesi che non hanno la stessa moneta e si scambiano beni e servizi, utilizzano il dollaro come mezzo di scambio. L’altra valuta molto utilizzata è l’euro, ma il dollaro gode comunque di un predominio fin qui indiscusso. Il resto sono briciole. 

Il governo cinese però si è messo in testa di fa assumere allo yuan, la valuta cinese, un ruolo più importante a livello di commercio internazionale, e da allora ha iniziato a fare in modo che la maggior parte degli scambi che la riguardano con altri paesi avvenissero appunto in yuan. 

Ecco, lo scorso trimestre, per la prima volta, la Cina ha condotto più scambi in yuan con altri paesi che in dollari. Quindi non è che lo yuan abbia superato il dollaro in generale, ma lo ha superato solo nei suoi scambi e fin qui per un solo trimestre. Come racconta su L’Indipendente Giorgia Audiello “A livello globale la quota del dollaro rimane la più grande pari al 42,02% secondo quanto riferito dalla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, meglio conosciuta come SWIFT. Lo yuan si è classificato al quinto posto assoluto dopo l’euro, la sterlina britannica e lo yen giapponese”.

Ma anche se si tratta di un passo piccolo rientra nella cosiddetta strategia cinese di dedollarizzazione del mondo. “A tal fine, Pechino sta firmando importanti accordi bilaterali: la Cina e il Brasile, che considera la nazione asiatica come uno dei principali mercati di soia, hanno raggiunto un accordo a marzo che consente scambi diretti tra lo yuan e il Real brasiliano senza utilizzare il dollaro USA come intermediario. L’Argentina ha dichiarato ad aprile che passerà dai dollari allo yuan per pagare le importazioni dalla Cina. Per la Russia le transazioni in Yuan hanno raggiunto ormai circa il 40%. Nello storico viaggio del presidente cinese in Arabia Saudita nel dicembre 2022, inoltre, le due nazioni si sono dette d’accordo nell’usare il renminbi per il pagamento delle forniture energetiche a Pechino, ponendo così le basi per la nascita del petroyuan a scapito del petrodollaro. Infine, molte economie emergenti stanno cercando di smarcarsi dall’orbita finanziaria statunitense e sono quindi propense a passare alla valuta cinese.

Sebbene in molti siano scettici, soprattutto alle nostre latitudini, sul fatto che il dollaro stia perdendo la sua egemonia, è vero che sembra andarsi configurando una sorta di mondo a blocchi. Come spiega ancora la giornalista, “Il tutto potrebbe portare alla formazione di blocchi valutari costituiti dalle grandi democrazie che continueranno a usare il dollaro, da un lato, e dai Paesi “emergenti” o non allineati alle politiche di Washington che si sposteranno verso l’uso dello yuan, dall’altro. Non sorprendono, dunque, le tensioni diplomatiche e geopolitiche che si registrano tra USA e Cina poiché la prima si sente minacciata nel suo ruolo di potenza globale dall’ascesa economica e tecnologica della seconda che potrebbe anche comportare un cambiamento sostanziale nell’ordine internazionale. Si tratta della lotta per la sopravvivenza del “Nuovo secolo americano” o per l’ascesa definitiva del “secolo asiatico”.

L’altra notizia grossa – anzi, questa non era poi così grossa, diciamo la vera notizia grossa – di queste ore è che venerdì il governo degli Stati Uniti ha annunciato che invierà una prima tranche da 345 milioni di dollari di armi a Taiwan, nell’ambito di un più ampio piano del valore complessivo di un miliardo. 

Come spiega il Post “È la prima volta che gli Stati Uniti forniscono armi direttamente dal proprio arsenale a Taiwan, il piccolo paese asiatico che non è riconosciuto dalla gran parte dei paesi del mondo e che la Cina rivendica come proprio: per questo, molto probabilmente, l’annuncio potrebbe essere un nuovo elemento di scontro tra Stati Uniti e Cina.

Il governo statunitense ha diffuso pochi dettagli del piano appunto perché è una questione delicata dal punto di vista diplomatico. Un ex funzionario del dipartimento della Difesa, citato da Politico e rimasto anonimo, ha detto che verranno inviate munizioni per armi di piccolo calibro e droni militari MQ-9 Reaper.

In precedenza il governo taiwanese aveva già ricevuto armi dagli Stati Uniti, ma acquistandole. Adesso invece gli Stati Uniti le forniranno nell’ambito del Presidential Drawdown Authority, un meccanismo per cui il presidente statunitense può autorizzare l’invio di armi dal proprio arsenale ad altri paesi. È lo stesso procedimento usato per mandare le armi in Ucraina.

Una decisione a sorpresa, che conferma un atteggiamento, mi pare, un po’ schizofrenico degli Usa verso la Cina, con continui cambiamenti di registro. Solo un mese fa Antony Blinken dopo l’incontro con Xi Jinping aveva affermato: “Non sosteniamo l’indipendenza di Taiwan”.

L’altra cosa successa in questi giorni è che la Germania ha pubblicato la propria strategia nei confronti della Cina, che viene raccontata da Riccardo Cima su il Caffé Geopolitico. 

La strategia della Germania si inserisce in una più complessiva strategia europea, chiamata del De-risking, che si differenzia dal De-coupling americano. Decoupling significa disaccoppiamento, e l’idea è che Cina e Usa diventino sempre più indipendenti l’una dall’altra per quanto riguarda lo scambio di materie prime e prodotti. L’Europa invece adotta una strategia più cauta: L’Unione Europea continuerà a cooperare con Pechino per affrontare le sfide globali, tra cui il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la riduzione del debito e l’assistenza umanitaria. E anche a commerciare con la Cina, chi più chi meno. L’idea del de-risking però è di ridurre le vulnerabilità delle relazioni economiche in ambiti strategici come, ad esempio, le materie prime critiche. Quindi, cooperare ma non dipendere da. Almeno sulla carta.

All’interno di questo concetto di base poi i paesi membri stanno adottando strategie diverse fra loro. La Germania sembra adottare una linea piuttosto dura. Il documento si apre con la frase “China has changed. So, we need to change our approach to China too”.e nell’introduzione sostiene che nell’ultimo periodo l’immagine internazionale di Pechino ha subito un peggioramento rilevante dalla pandemia di Covid-19 in poi, percezione aggravata dalle preoccupazione sulla politica cinese in materia di diritti umani e dalla partnership con la Federazione Russa.

Ma in cosa consiste questa strategia? Ci sono 3 filoni principali. Innanzitutto aumentare l’attenzione nei confronti della politica economica cinese, insomma osservare quello che succede in Cina con più cura, sopratutto perquanto riguarda le politiche cinesi che mirano a rendere Pechino meno dipendente dagli altri Paesi e, allo stesso tempo gli altri Paesi più dipendenti da Pechino. 

Poi Berlino propone di avere politiche europee più allineate: un’unità d’intenti e di capacità di influenza europea nel suo complesso, con principi comuni e basato sulla cooperazione. 

Infine, manda un messaggio indiretto anche ai Paesi che vorrebbero entrare nell’Unione Europea, ovvero che il loro posizionamento nei confronti della Cina non sia contrario agli interessi paneuropei ed al diritto europeo.

Quindi, ecco, si capisce che il governo tedesco considera la Cina più come una potenziale minaccia che come un potenziale alleato. 

La cosa che mi colpisce è che praticamente tutti e tre gli articoli che vi ho citato si concludono all’incirca allo stesso modo, con una riflessione sul fatto che si sta configurando un mondo sempre più bipolare. Da una parte i Paesi che hanno dominato l’economia dello scorso secolo, quindi Stati uniti, Europa,Giappone. Dall’altro i paesi cosiddetti emergenti, che ormai sono emersi da un pezzo, Buona parte dei paesi asiatici, il Sud America, parte dei paesi africani, con la Cina a fare da Superpotenza e la Russia destinata a giocare un ruolo sempre più marginale. 

Ovviamente è una configurazione potenzialmente pericolosa, sia perché siamo in un’epoca in cui dobbiamo fronteggiare sfide globali, che richiederanno un aumento della cooperazione internazionale, sia perché c’è il rischio che questa cosa, col tempo si trasformi in un conflitto anche militare. E in genere in questi casi le vecchie potenze in declino sono quelle che hanno la peggio.

La Cina è stata al centro anche dell’incontro, il primo colloquio bilaterale fra i due, di Meloni e Biden. Già, perché come vi dicevo all’inizio, l’Italia è forse, fra i Paesi europei dalle economie più grandi, quello più legato alla Cina per via della New belt and road initiative, la cosiddetta nuova via della seta, ovvero un accordo che la Cina ha siglato con diversi paesi del mondo per espandere le sue esportazioni.

L’accordo è stato firmato dal governo Conte ed è in scadena a dicembre e Meloni ha fatto intuire che non lo vuole confermare, pur mantenendo rapporti commerciali con la Cina. Questa cosa ha fatto molto piacere a Biden, ovviamente. 

Come spiegano anche i media statunitensi, dopo l’iniziale diffidenza nei confronti di Meloni – alimentata dalla retorica del suo governo contro migranti e diritti Lgbtq+ – la Casa Bianca vede in Giorgia Meloni un forte partner geopolitico, non tanto per lo sforzo congiunto in Ucraina, quanto per la volontà espressa dalla premier di ritirare l’Italia dalla Belt and Road Initiative cinese.

Intento, come riporta Marco Iasevoli su Avvenire, “il giornale del Partito comunista continua a pressare Roma. Nel terzo articolo in quattro giorni, il Global Times avverte l’Italia: «Ha sbagliato i conti se pensa di ottenere qualcosa dagli Usa sacrificando la Via della Seta».

Stiamo a vedere.

Spostiamoci in Ghana, per una notizia molto positiva. Come riporta Camilla Soldati su Lifegate, “Il parlamento del Ghana, in Africa orientale, ha votato per l’abolizione della pena di morte per reati quali omicidio, genocidio, pirateria e contrabbando aggiungendosi alla lunga lista dei paesi del continente che hanno fatto questa scelta umana negli ultimi anni. 

La pena di morte non viene però del tutto abolita e può essere ancora comminata per reati di alto tradimento e per questo le varie organizzazioni che lottano per la sua abolizione universale fanno notare che per “stare tranquilli” c’è bisogno di una modifica della costituzione”.

C’è anche da dire che in Ghana l’ultima esecuzione risale al 1993. Ciononostante i tribunali hanno continuato a infliggere sentenze capitali tanto che in Ghana, oggi, ci sono ancora 170 uomini e 6 donne nel braccio della morte la cui condanna ora verrà convertita in un ergastolo. O almeno non appena il presidente Nana Akufo-Addo firmerà la legge per farla entrare in vigore.

Il Ghana è il 29esimo paese africano e il 124esimo al mondo ad aver abolito la pena capitale. Altri 41 l’hanno abolita de facto, nel senso che non eseguono una condanna a morte da più di dieci anni. Mentre restano ancora 52 i paesi che, scrive la giornalista “non si fanno scrupoli a togliere la vita a una persona chiamandola “giustizia”. In particolare, nel 2022 sono state eseguite 883 condanne a morte, con un aumento del 53 per cento rispetto all’anno precedente secondo i dati dell’organizzazione Amnesty International”.

Spostiamoci in Brasile, per un’altra bella notizia. Nel Comune di Cáceres, nello Stato brasiliano del Mato Grosso, le autorità hanno apportato una modifica della Lei Orgânica che riconosce alla natura pieni diritti.

Vi racconto la vicenda nelle parole di Francesca Capozzi su GreenMe; “La proposta è del consigliere Cézare Pastorello, il quale si è rivolto alla popolazione invitandola a guardare alla natura come un soggetto di diritto. Il progetto è stato discusso assieme ai cittadini nell’aula plenaria del Comune lo scorso 13 luglio per contribuire con idee da integrare e pareri e ha ricevuto l’approvazione dalle commissioni camerali.”

Non è la prima volta che una simile decisione viene presa in Brasile. Nel Paese l’apripista fu il Comune di Bonito, nello Stato del Pernambuco, nell’anno 2018. Da allora altri quattro Comuni brasiliani hanno seguito l’esempio. Adesso anche Cáceres.

Riconoscere i diritti della Natura significa elevare a un nuovo livello la protezione della biodiversità, un’azione chiave per l’area del Pantanal (dove si trova Cáceres), la più grande zona umida del Pianeta che si estende in Brasile, Bolivia e Paraguay.

Chiudiamo tornando in Italia con una notizia piccola ma molto interessante. In oratica era stato programmato un concerto di Bob Sinclar, famoso Dj francese, su un arenile nei pressi del Parco del Circeo. 

Il concerto doveva tenersi all’interno di un’area protetta, patrimonio di biodiversità. pensate che il Parco del Circeo, tra le altre cose, ospita anche sei nidi di Caretta caretta tra Sabaudia e San Felice!

Ovviamente in molti erano preoccupati per pericoli provocati dal grande afflusso di pubblico in un’area protetta, e lo stesso Ente parco si era opposto.

Venerdì è arrivata la notizia che in molti aspettavano: il Comune di Latina ha accolto l’appello del Parco Nazionale del Circeo e ha vietato l’accesso all’arenile. I concerti, facciamoli nei luoghi costruiti dagli esseri umani, nei palazzetti, negli stadi, negli ippodromi, nei piazzali. Non sulle spiagge.

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