30 Mar 2023

Dobbiamo fermare l’Intelligenza artificiale? – #700

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Mentre continua la corsa dell’Intelligenza artificiale, un gruppo di ricercatori, studiosi e imprenditori lancia un’iniziativa per fermare la ricerca in quel campo. E i nomi delle persone che hanno lanciato l’iniziativa vi sorprenderanno. Parliamo anche di polpette di carne di mammut, decreto contro i cibi sintetici, pressioni delle lobby della carne sull’IPCC, del rapporto della generazione Z col concetto di auto privata e di quello fra i gattini su TikTok e un’azienda che produce proiettili. E infine di un evento in occasione della giornata mondiale rifiuti zero.

“I nomi che hanno lanciato questa iniziativa vi sorprenderanno”. ma cos’è diventato questo format? Questo è clickbait estremo… ma dove siamo su Libero? Voglio parlare con il responsabile! Ah già, sono io. 

È un po’ che non ne parliamo, ma l’IA sta continuando a correre. Anzi, sta accelerando clamorosamente la sua corsa. Questo avviene credo per una combinazione di due fattori: uno è la famosa legge di Moore, intesa in senso ampio, ovvero l’idea che lo sviluppo tecnologico non avvenga in maniera lineare ma esponenziale (la legge recita che “La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi”). Peraltro, ironia del destino, Gordon Moore è morto la settimana scorsa. 

L’altro fattore che sta accelerando questa corsa è l’hype, la moda, la bolla, chiamatela come vi pare. Il fatto che improvvisamente grazie al successo di ChatGpt l’Ai sia diventata di gran moda, il mondo intero l’abbia scoperto e siano iniziati a piovere investimenti come noccioline (sempre che questa metafora abbia un senso). 

Microsoft ha investito circa 10 miliardi in OpenAi, la società che sta dietro a ChatGpt, e ha integrato il sistema all’interno del suo motore di ricerca Bing. Intanto la società ha rilasciato la versione 4 del chatbot (per ora solo a pagamento) che è molto più potente della precedente, è in grado di creare un sito web dal nulla così come di realizzare un videogioco semplice in meno di un minuto.

Scusate il preambolo un po’ lungo ma credo necessario per comprendere la notizia. Che è che sta girando una lettera aperta, una petizione per una sorta di moratoria sullo sviluppo dell’AI, a livello mondiale, per paura che questa cosa ci sfugga di mano. Il che non sarebbe una grande notizia, se non fosse che fra i promotori di questa iniziativa ci sono personalità tipo Elon Musk (che fra parentesi è anche uno dei fondatori di OpenAi, poi lasciata nel 2018 per conflitti di interesse con Tesla), lo storico e saggista (nonché mio idolo) Yuval Noah Harari,  il co-fondatore di Apple Steve Wozniak, il co-fondatore di Skype Jaan Tallinn, e molti altri ricercatori di IA e CEO di compagnie tecnologiche. 

In questa lettera si chiede espressamente di fermare lo sviluppo senza controllo della tecnologia da parte dei giganti del settore, perché “il Far West dell’intelligenza artificiale, nuova Eldorado dell’hi-tech, comporta “profondi rischi per la società e l’umanità”. Si chiede anche di fermare per almeno sei mesi la ricerca su sistemi di intelligenza digitale che siano più potenti di GPT-4. “Questa pausa dovrebbe essere verificabile e concreta, e includere tutti gli attori del settore. Altrimenti, sarà necessario che i governi intervengano”. 

I firmatari spiegano come la ricerca sulla IA sia fuori controllo da parte delle Big Tech, che prese dalla foga della concorrenza e di arrivare prima delle altre non si fermano neanche un secondo a farsi mezza domanda su quello che stanno sviluppando, e questo è un grosso rischio visto che non sappiamo fino a che punto queste tecnologie possano essere un pericolo per la sicurezza informatica e pubblica. “Nessuno, neppure chi le crea, può predire, controllare o capire le vere potenzialità di sistemi basati sul machine learning”, si legge.

Vi leggo altri passaggi: “Gli sviluppatori di IA dovrebbero utilizzare la pausa per sottoscrivere congiuntamente una serie di protocolli condivisi e rigorosi che vengano validati da esperti esterni, e che certifichino che i sistemi di machine learning siano sicuri e affidabili”. E ancora: “L’intelligenza artificiale avanzata potrebbe comportare un profondo cambiamento nella storia dell’essere umano e dovrebbe essere pianificata e gestita con cure e risorse adeguate”, scrivono i firmatari. “Purtroppo questo livello di pianificazione e gestione non sta avvenendo, e negli ultimi mesi i laboratori di IA sono stati coinvolti in una corsa fuori controllo per sviluppare e implementare intelligenze digitali sempre più potenti”.

Ora, ci sono tanti possibili questioni legate allo sviluppo delle Ai. Non si tratta “solo” di milioni di posti di lavoro persi, quello mi apre l’aspetto più superficiale e anche risolvibile del problema. Risolvibile non facilmente, perché tocca cambiare modello socio-economico, ma tanto quello tocca cambiarlo comunque per evitare l’estinzione quindi va bene. 

Il problema più profondo, è il ruolo che queste nuove “intelligenze” possono giocare nel mondo, il rapporto fra esse e la nostra specie, la possibilità che a un certo punto si sviluppi una intelligenza senziente, cosciente, o l’altra che anche senza lo sviluppo di una coscienza ci sia una disparità di intelligenza talmente grande con la nostra specie che affideremo autonomamente sempre più potere ad esse, di fatto relegandoci a un ruolo sempre più marginale e ininfluente sul Pianeta. E queste sono solo alcune delle tante riflessioni che si potrebbero fare.

Capite bene che però sarebbe abbastanza importante che queste riflessioni le facessimo, e le facessimo in un dibattito pubblico e aperto. Cosa che non sta avvenendo, perché le aziende stanno correndo la loro corsa, e nemmeno loro se le fanno queste domande, se non di sfuggita. Ora, quante probabilità ha una lettera del genere di venire presa in considerazione dalle aziende hi-tech? Poche onestamente. Anche perché – anche se non penso sia questo il motivo – nel caso degli attori del settore c’è anche un filino di conflitto di interessi. Prendiamo Musk: i sistemi di Ai sviluppati dalle sue aziende sono parecchio indietro attualmente, e quindi fermare il mercato per sei mesi gli tornerebbe comodo da quel punto di vista. 

Premesso ciò, credo che questa lettera sia comunque interessante, perché evidenzia – e permette il dibattito – su almeno 2 elementi importanti. 

  1. Non possiamo più permetterci di affidare lo sviluppo tecnologico al mercato. Bisogna ammettere che per molti decenni il mercato è stato un ottimo traino per lo sviluppo tecnologico umano, ma visti i livelli raggiunti questo oggi è un rischio troppo grosso. Perché non conosciamo il terreno su cui ci stiamo muovendo e non conosciamo minimamente le possibili conseguenze delle nostre azioni, il che raccomanderebbe estrema cautela, ma in un sistema competitivo vince chi corre più veloce senza farsi domande. E perché in questa fase esplorativa dovremmo condividere le informazioni per essere consapevoli dei rischi che corriamo (visto che sono collettivi) e invece in un sistema concorrenziale le informazioni su come le AI vengono allenate e sviluppate sono tenute rigorosamente segrete (OpenAI ha detto esplicitamente che non ha la minima intenzione di rivelare come ha allenato ChatGpt).
  1. Possiamo scegliere. Sembra assurdo, perché ci sentiamo come trainati dalla potenza del sistema e da quella del nostro immaginario di futuro, nella direzione dello sviluppo sfrenato delle Ai, ma non esiste nessun motivo, nessun vincolo nel mondo fisico che ci impedisca come umanità di fermarci. So che è una roba che probabilmente non succederà domani, in piena bolla, ma ricordarcene ogni tanto credo faccia bene, per far maturare lentamente questa convinzione. 

Mentre un’azienda annuncia di aver realizzato la prima polpetta di carne di Mammut al mondo, il governo italiano presenta un decreto contro i cibi sintetici, e intanto emergono le pressioni fatte dalle lobby della carne sull’IPCC per condizionare l’ultimo report. Ok sono tre notizie distinte, quindi vediamole un filino meglio tutte e tre, poi magari facciamo una riflessione comune, alla fine. 

Un’azienda australiana che si chiama Vow ha presentato l’altroieri al Nemo Science Museum di Amsterdam, in Olanda la prima polpetta al mondo di carne di mammut. Che per chi non lo sapesse si è estinto da qualche di migliaia di anni. 

Ora, la polpetta non è in commercio e l’evento voleva essere a detta dell’azienda, che si occupa di carne coltivata in laboratorio, una roba un po’ provocatoria per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di ridurre il consumo di carne animale allevata. 

La carne realizzata in laboratorio non era nemmeno a tutti gli effetti di mammut, nel senso che la base della polpetta era composta da cellule di pecora, dentro cui è stato inserito una mioglobina di Mammut, che sarebbe la proteina responsabile dell’aroma, del colore e del gusto della carne. Quindi il risultato dovrebbe essere verosimile, anche se nessuno l’ha provata. 

Quasi nelle stesse ore il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha presentato un disegno di legge per vietare la produzione di carne sintetica in Italia, che così diventa, a detta almeno del ministro, “il primo Paese che dice no ai cibi sintetici e lo fa con un atto formale e ufficiale”. 

Una iniziativa che raccoglie l’appello di amministrazioni comunali e regionali seguito a una raccolta di firme di Coldiretti che chiedeva di vietare produzione, commercializzazione e importazione di cibi sintetici.

Le motivazioni, almeno quelle dichiarate, dietro a questa legge sono l’intenzione di tutelare la salute delle persone in base al diritto di precauzione sancito anche dai regolamenti europei e quella di preservare il patrimonio agroalimentare, in quanto parte della cultura dell’Italia e di importanza strategica dal punto di vista economico. Aggiungo io: anche tutelare il mercato interno degli allevamenti di bestiame.

In tutto ciò, ieri diversi giornali hanno scritto di nuove indiscrezioni emerse su come le lobby della carne abbiano influenzato i risultati del report dell’IPCC sul cambiamento climatico. 

Riporta Andrea Barolini su Lifegate che “Micheal Thomas, giornalista che cura la newsletter Distilled, ha potuto consultare una bozza dell’ultima parte del rapporto nella quale si poteva leggere che “una dieta vegetariana può ridurre le emissioni di gas ad effetto serra fino al 50 per cento, rispetto a quella occidentale, mediamente ad alte emissioni”. La frase è stata però eliminata dalla versione finale. Per via della pressione che sarebbe arrivata dai delegati di Brasile e Argentina, nazioni nelle quali le industrie produttrici di carne sono particolarmente importanti.  

Ora, al di là della carne di mammut, che è ovviamente una trovata di marketing, credo che una volta tanto il governo abbia fatto una cosa sensata (anche se l’ha fatta per le motivazione sbagliate, il che è un problema). Ha fatto una cosa giusta perché pensare che la carne sintetica sia una soluzione alle problematiche ambientali date dagli allevamenti intensivi è una cosa abbastanza folle, perché anche se non ho i dati alla mano, mi sembra abbastanza evidente che produrre carne sintetica in laboratorio abbia dei costi energetici abbastanza importanti, da non renderla una soluzione sostenibile (senza considerare gli eventuali rischi per la salute). 

Al tempo stesso – e qui entrano anche in azione i bias cognitivi, tipo quello del falso dilemma – questo non significa negare che il consumo di carne oggi, soprattutto quella proveniente da allevamenti intensivi (che è la stragrande maggioranza) sia un enorme problema da tantissimi punti di vista, e in primis proprio quello delle emissioni. 

Le industrie della carne sono ancora oggi molto potenti, come abbiamo visto riescono anche a condizionare i report delle nazioni unite. Il problema però è sempre il solito. Se restiamo all’interno di un sistema capitalista, basato sulla crescita, il massimo che possiamo sperare è che soi sviluppino nuovi segmenti di mercato (tipo le carni sintetiche) che vincano la competizione con gli allevamenti intensivi. Di nuovo, se vogliamo trovare delle soluzioni reali al problema, dobbiamo uscire da un sistema di mercato.

Passiamo a parlare di mobilità. Il Sole 24 ore pubblica, e sponsorizza su FB, scelta curiosa, un articolo di Alberto De Pasquale in cui racocnta un fenomeno interessante: quello per cui i più giovani hanno smesso di considerare l’auto privata come un bene di prima necessità.  “Cresciuti con il digitale, abituati ai servizi in abbonamento e attenti alla sostenibilità. A differenza di chi li ha preceduti, i ragazzi della Generazione Z non vedono nell’auto uno status symbol. I nati tra il 1997 e il 2012 hanno un approccio molto più flessibile alla mobilità: mettersi al volante non è più una priorità, ma solo un’opzione. 

Dai dati Aci e Istat risulta che tra il 2011 e il 2021 il numero di auto intestate a persone under 25 è calato del 43%, a fronte di una diminuzione dei residenti nella fascia d’età tra i 18 e 25 anni che nel periodo considerato è stata appena del 3%. 

Nelle ultime settimane l’Economist ha parlato di disamoramento dei giovani per l’auto. Discorso simile lo ha fatto il Washington Post, raccontando le storie di ragazzi che non hanno fretta di prendere la patente o senza alcuna intenzione di guidare, potendo contare su servizi come Uber. 

L’articolo poi descrive le strategie delle case automobilistiche per riavvicinare il proprio target più giovane, investendo miliardi su TikTok. ma il dato interessante mi sembra proprio il disamoramento dei più giovani per l’auto privata, un concetto che sembra ormai abbastanza antico. Chissà, magari non ci sarà nemmeno bisogno di vietarle esplicitamente le auto, scompariranno da sole.

Abbiamo nominato TikTok e allora c’è una notizia che mi avete segnalato, o meglio me l’ha segnalato uno spettatore abituale di INMR, che è al tempo stesso paradossale, e proprio in virtù del suo paradosso ci dice qualcosa sul mondo che viviamo. 

Riporta Wired che L’AD della società norvegese Nammo, che produce armamenti, ha affermato al FT di non poter espandere la sua fabbrica e produrre nuove munizioni perché i nuovi data center di TikTok nelle vicinanze stanno consumando tutta l’elettricità. La guerra in Ucraina ha aumentato la domanda di munizioni e Nammo sta cercando di espandersi, ma dice che non può a causa di un nuovo vicino “Siamo preoccupati perché vediamo che la nostra crescita futura è messa in discussione dall’archiviazione di video di gatti”.

Considerando l’attuale situazione causata dall’invasione della Russia in Ucraina, la domanda di proiettili di artiglieria è 15 volte superiore al normale. Ma Nammo non sembra riuscire a tenere il passo, perché la società elettrica che serve la zona deve conferire la maggior parte della produzione ai nuovi data center di TikTok, che sta costruendo tre data center in Norvegia con l’opzione di costruirne altri due entro il 2025.

Nell’intervista l’AD ha anche alluso esplicitamente che si tratti di una strategia cinese di intervenire sul conflitto in Ucraina, il che mi sembra forse un filino azzardata come teoria. fatto sta che dove fin qui hanno fallito gli sforzi diplomatici e le manifestazioni per la pace, stanno almeno in parte riuscendo i gattini su TikTok. 

Oggi, 30 marzo sarà la prima Giornata Internazionale Rifiuti Zero della storia. Forse ricorderete che a dicembre 2022 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità una risoluzione sull’iniziativa “rifiuti zero” presentata dalla Turchia. 

Grazie a questa risoluzione, il prossimo 30 marzo sarà la prima Giornata Internazionale Rifiuti Zero della storia.

A Catania un evento dedicato al tema organizzato da Zero Waste Italy Sicilia, Associazione Rifiuti Zero Sicilia, Sicilia Che Cambia in collaborazione con Isola, con progetti, proteste e proposte per una Sicilia a rifiuti zero. Se siete nei paraggi potete provare ad accreditarvi, ma nel caso fate in fretta che è già quasi tutto esaurito. Sennò, non prendete un aereo a posta e fate come me, seguitelo in diretta social sui nostri canali FB e YT, oggi pomeriggio dalle 18.

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