1 Apr 2023

Donald Trump incriminato, che succede adesso? – #702

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Donald Trump è stato incriminato per aver comprato il silenzio della pornoattrice Stormy Daniels su una loro relazione durante la campagna elettorale 2016. Parliamo anche di un po’ di novità sul fronte ucraino-russo e della Nato, dei casini che stanno succedendo con i fondi del Pnrr e infine di qualche notizia legata al clima e agli impegni dei vari paesi.

Iniziamo ovviamente con il motivo di questa puntata speciale, una notizia a suo modo storica, nel senso che è una cosa nuova e che non era mai successa. Un ex presidente Usa è stato incriminato e quindi sarà sottoposto a processo penale. Cerchiamo di capire meglio come mai, che cosa rischia Trump e cosa succede adesso. 

Partiamo con i fatti. Scrive il Post che “Giovedì sera il gran giurì del tribunale di Manhattan, a New York, ha votato per incriminare Donald Trump. Innanzitutto: incriminare che significa? L’incriminazione è il punto di partenza del processo: significa che qualcuno è accusato di aver commesso un crimine, e quindi si apre un processo per stabilire se ciò è vero oppure no. 

Quindi incriminazione non significa che Trump sia stato condannato, solo che inizia un processo. La cosa però fa molto scalpore perché, come dicevamo, è il primo ex presidente americano a essere sottoposto a un processo penale nella storia degli Stati Uniti. E poi perché è Donald Trump. Ed è candidato alle primarie del Partito Repubblicano per le presidenziali del 2024. In un comunicato reso pubblico dopo la notizia, Trump ha detto che «questa è una persecuzione politica e un’interferenza elettorale al più alto livello della storia». 

Altra cosa: ma che è questo Gran Giurì? Perché è una roba che da noi non esiste. è un organismo presente nell’ordinamento americano che è formato da ventitré cittadini sorteggiati, e che in alcuni casi è chiamato a decidere se le prove raccolte dalla procura sono sufficienti a dare avvio a un processo penale.

Va bene, passiamo quindi a capire per che cosa è stato incriminato Trump. Anche qui c’è una grossa premessa: non lo sappiamo. Nel senso che le accuse specifiche non sono state ancora rese pubbliche, le conosceremo nei prossimi giorni. Sappiamo però che l’indagine, aperta dalla procura di Manhattan, ruota attorno al presunto pagamento di 130mila dollari all’attrice di film porno Stormy Daniels, per mettere a tacere le voci sulla loro relazione. 

Secondo la versione dell’attrice, il cui vero nome è Stephanie Gregory, lei e Trump ebbero un un unico rapporto sessuale nel 2006, quando lui aveva 60 anni e lei 27, in cambio della promessa di Trump di farla partecipare al suo reality show The Apprentice (ai tempi la sua candidatura a presidente sembrava fantascienza). 

Trump ha sempre negato ogni incontro, mentre Daniels avrebbe cercato di vendere la storia a diversi giornali, per anni, e quando nel 2016 Trump si candidò alla presidenza degli Stati Uniti, incaricò (questo sempre secondo l’accusa) il suo avvocato Michael Cohen di risolvere la questione. Cohen quindi fece un accordo con l’avvocato di Daniels per cui Trump avrebbe pagato 130mila dollari a Daniels per il suo silenzio sul loro rapporto sessuale. 

Dopodiché Cohen (l’avvocato di Trump) avrebbe pagato i 130mila dollari di tasca propria, e poi la Trump Organization, l’azienda principale di Trump, per nascondere la vera ragione del pagamento lo rimborsò registrando un compenso per una consulenza legale inventata.

Fine della storia. Ora, la cosa un po’ strana è che per la legge americana, questa vicenda di per sé, sarebbe un crimine minore, che non comporterebbe un’incriminazione penale. Non sappiamo quindi ancora con precisione il motivo di questa scelta, ma scrive ancora il Post “L’ipotesi che circola di più è che la procura cercherà di sostenere che Trump abbia violato la legge che regola i finanziamenti alle campagne elettorali”. Che vuol dire?m Vuol dire che ad esempio, l’accusa potrebbe sostenere che questo pagamento rientrasse nella campagna elettorale, e che grazie a questa corruzione (quindi tenendo nascosto il fatto) si sia avvantaggiato nella sua corsa alla presidenza. 

La violazione della legge sui finanziamenti elettorali è un reato che può comportare fino a quattro anni di carcere, ma in caso di condanna il giudice può decidere anche di infliggere pene non carcerarie.

Quindi, che succede adesso? Innanzitutto Trump deve consegnarsi alle autorità. Adesso si trova nella sua residenza di Mar-a-Lago in Florida, dovrà andare a New York e presentarsi al tribunale di Manhattan. Lì sarà formalmente incriminato e gli saranno lette le accuse. Dovrà lasciare le impronte digitali e fare le foto segnaletiche, tra le altre cose. Sarà poi rilasciato dopo l’incriminazione formale, perché nello stato di New York le persone incriminate possono essere rilasciate anche senza cauzione, a meno che non siano accusate di un crimine violento o in altri casi particolari.

Ma la vera domanda è cosa succederà ancora dopo. La scorsa settimana sul suo social Truth Trump aveva invitato i suoi seguaci alla rivolta annunciando che sarebbe stato  incarcerato a breve. In realtà non sarà incarcerato, almeno non per adesso, ma molti temono che tenterà di aizzare nuovamente la folla. L’altra questione è: quali ricadute avrà questa vicenda sulla sua corsa alle primarie repubblicane e poi eventualmente alle Presidenziali del 2024?

Sono successe diverse cose negli ultimi giorni anche sul fronte del conflitto in Ucraina. Ve le dico un po’ tutte assieme, per aggiornarci, poi magari commentiamo.

Nei giorni scorsi Putin ha firmato un decreto che prevede l’arruolamento di 147mila nuovi soldati entro la metà di luglio. Sono soldati coscritti, cioè cittadini tra i 18 e i 27 anni che hanno già fatto il servizio di leva ma che finora non si erano arruolati volontariamente. È il secondo grande ampliamento dell’esercito russo dopo quello deciso lo scorso settembre, quando ne furono arruolati 137mila. Le autorità russe hanno fatto sapere che i 147mila coscritti non verranno mandati a combattere in Ucraina perché necessitano di mesi di addestramento prima di poter essere utilizzati in scenari di guerra, ed è più probabile che la Russia voglia continuare a sfruttare soldati preparati per l’invasione.

Questo è avvenuto giovedì. Il giorno prima era invece iniziata Un’esercitazione di forze missilistiche strategiche su larga scala in varie zone del Paese. In quell’occasione Putin ha detto che l’arsenale russo sarebbe in grado di spazzar via gli Usa, anche se secondo molti analisti quella del Presidente russo sarebbe stata una mossa più rivolta all’opinione pubblica interna, che verso l’esterno. 

Infine, sempre dal fronte interno russo, molti giornali hanno riportato l’arresto di un giornalista americano del WSJ, Evan Gershkovich, con l’accusa di spionaggio. Al momento dell’arresto stava lavorando da giorni a un articolo sulle operazioni del gruppo Wagner, la compagnia di mercenari che sta combattendo al fianco dell’esercito russo in Ucraina e che è composta soprattutto da ex militari e detenuti a cui viene offerto uno sconto di pena in cambio dell’arruolamento.

Dal fronte Usa invece la principale novità è che proprio in risposta all’arresto di Gershkovich, la Casa Bianca ha chiesto a tutti i cittadini statunitensi che vivono in Russia o che vi si trovano al momento di lasciare il paese al più presto. 

Non è la prima volta dall’inizio della guerra che il governo statunitense fa una richiesta simile. A inizio febbraio è stato emesso un avviso ufficiale che esortava tutti i cittadini statunitensi a lasciare immediatamente la Russia e a cancellare eventuali viaggi programmati nel paese, dicendo che nel contesto del forte sostegno statunitense all’Ucraina il rischio che le forze dell’ordine russe arrestassero cittadini americani era più alto.

L’ultimo tassello del puzzle, è che la Finlandia entrerà ufficialmente nella Nato. Giovedì sera il parlamento turco ne ha ratificato l’ingresso. La Turchia era l’ultimo paese Nato che ancora non aveva ratificato la cosa, perché Erdogan accusa il governo finlandese di proteggere i curdi del Pkk, e il blocco turco impediva l’ingresso, visto che perché un nuovo paese entri nell’alleanza è necessario, tra le altre cose, che i parlamenti di tutti i paesi membri votino a favore. 

Non è chiaro se la Finlandia abbia fatto delle concessioni sulla questione curda, apparentemente no. Pare che la Turchia osteggiasse soprattutto l’ingresso della Svezia, che aveva fatto richiesta assieme alla Finlandia ma la cui procedura è ancora bloccata. Perché è stata soprattutto la Svezia a negare l’estradizione in Turchia di diversi rifugiati politici curdi. Una politica sacrosanta che mi auguro non venga barattata per l’ingresso nella Nato.

Fine degli aggiornamenti. Che ci dicono queste notizie prese assieme? Che ancora oggi, a più di un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la direzione generale è quella della escalation, dell’aumento della tensione attorno al conflitto, e non quella opposta.

Sta succedendo un discreto casino in Italia con i fondi del PNRR. Pare che diversi progetti procedano a rilento, che non stiamo riuscendo a spendere i soldi secondo i piani e quindi la Commissione europea ha deciso di non versare la terza tranche degli aiuti, dichiarando che si prende un altro mese per verificare meglio la rendicontazione (chiamiamola così). 

Questo fatto ha fatto nascere diversi malumori nel governo, ed è partito un po’ uno scaricabarile, con Meloni che ha velatamente accusato dei ritardi il precedente governo Draghi, Salvini che ha accusato l’Europa di voler ostacolare l’Italia e così via. Comunque, al di là delle accuse, ho trovato interessante l’analis del perché ci sono questi ritardi fatta da Chiara Brusini sul Fatto Quotidiano. 

Un primo elemento è che in effetti, un po’ in ritardo il nostro Piano lo è stato fin da subito, per via del cambio di governo fra Conte e Draghi. Fu inviato “solo” il 25 aprile 2021, dopo alcuni mesi di limature e modifiche al testo scritto dal governo Conte. 

Poi c’è stato il problema delle assunzioni nelle Pubbliche amministrazioni. Il prerequisito per poter spendere presto e bene gli oltre 200 miliardi complessivi sarebbe stato rinforzare i ranghi delle PA, a partire dai Comuni, cui è affidata la gestione di ben 40 miliardi. Significa, in altre parole, assunzioni temporanee. Prendere persone che lavorino a supporto delle amministrazioni per il tempo necessario. 

Il governo Draghi aveva quindi predisposto un iter di reclutamento, avviando la selezione di personale a tempo determinato ad hoc. Ma è stato un flop: contratti brevi e stipendi bassi scoraggiano dall’accettare quei posti e molto spesso i vincitori, avendo vinto anche altri concorsi, rinunciano al posto a termine in favore di un altro (sempre pubblico) stabile. Trovare gli specialisti di cui ci sarebbe estremo bisogno per gestire gli appalti – ingegneri, architetti, informatici – si è rivelato in molti casi impossibile. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, lo scorso anno sono stati assunti in tutto solo 2.500 tecnici contro i 15mila attesi e, considerando i pensionamenti, il saldo tra uscite e ingressi è stato ancora una volta negativo. 

“In particolare nel Mezzogiorno” molte amministrazioni “non hanno competenze adeguate per seguire procedure così complesse come quelle del Pnrr”, scrive la Corte dei Conti nella sua ultima relazione.

Tutto ciò è stato reso ancor più complicato dalla troppa burocrazia, di cui il nostro paese è paziente terminale. Procedure farraginose, enti locali lenti, a cui i vari decreti semplificazioni approvati da Conte, Draghi e Meloni non hanno trovato soluzioni convincenti. 

Altro problema, questo esterno e difficile da prevedere, è stato l’aumento dei costi dovuto al conflitto in Ucraina, cosa che ha reso spesso impossibile aggiudicare appalti con basi d’asta ormai superate. 

“In alcuni casi i ritardi derivano da pasticci procedurali dei ministeri. Come ne caso della realizzazione di 265mila nuovi posti negli asili nido o in quello dei nuovi impianti per la gestione dei rifiuti. Commissioni che accumulano ritardi, bandi e gare non valide, criteri farraginosi che portano a rinvii, a rimandare a prorogare.

Infine è vero, anche se è difficile dire se e quanto questo possa influenzare le decisioni di Bruxelles, che i rapporti fra il governo italiano e la Commissione sono abbastanza tormentati ultimamente, per via della questione migranti e delle concessioni portuali, dei ritardi nell’approvazione del mes e di tante piccole grandi questioni, dallo stop alle auto inquinanti agli allevamenti intensivi e così via. 

Ad ogni modo, anche tenendo fuori le relazioni di vicinanza o distanza con la Commissione, resta un quadro abbastanza problematico per quanto riguarda la possibilità concreta di spendere i soldi del Pnrr. Che poi, detto fra noi, c’è da capire se è un bene o un male. Ma questo è un altro discorso.

Chiudiamo con due notizie sul clima. La prima è che il Regno Unito non rispetterà gli impegni sul clima al 2030 che aveva annunciato appena due anni fa alla Cop26. È quanto emerge dalla nuova strategia climatica della Gran Bretagna presentata giovedì, il 30 marzo, dal governo di Rishi Sunak.

Spiega Rinnovabili.it che il governo inglese è stato obbligato a produrre una serie dettagliata di documenti in cui spiega come vuole raggiungere la neutralità climatica per via di una sentenza che l’anno scorso lo condannava per aver preso impegni sul clima troppo vaghi e per non aver indicato più nel dettaglio le varie misure.

L’esecutivo ha quindi prodotto Oltre 40 documenti rivisti e aggiornati per un totale di 3000 pagine, dal gas all’elettricità, dall’eolico onshore al nucleare, dagli EV alla cattura e stoccaggio della CO2, passando per agricoltura e allevamento. Da cui emerge un’amara realtà.

L’anno scorso la Gran Bretagna aveva fissato un obiettivo di -68% delle emissioni entro il 2030 e -78% entro il 2035. Ma da questi documenti emerge che complessivamente i tagli alle emissioni della nuova strategia copriranno solo circa il 60% al 2030, e il 65-66 nel 2037. insomma, abbastanza lontani. La cosa positiva è che grazie alla sentenza del tribunale, adesso lo sappiamo.

E a proposito di sentenze di questioni giuridiche, vi dico altre due notizie interessanti al volo. Ieri a Strasburgo, in Francia, c’è stata la prima audizione pubblica mai tenuta dalla Corte europea per i diritti dell’uomo in relazione a una causa climatica. A dare avvio al procedimento è stato il ricorso presentato dall’associazione elvetica Senior Women for Climate Protection Switzerland (Anziane per il clima Svizzera) e da altri singoli querelanti, supportati da Greenpeace Svizzera. 

Le ricorrenti, leggo sul sito di Greenpeace, chiedono alla Corte di obbligare la Svizzera a intervenire a tutela dei loro diritti umani, e di adottare i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per contribuire a scongiurare un aumento della temperatura media globale oltre 1,5°C, applicando obiettivi concreti di riduzione delle emissioni.

Il caso (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v. Switzerland, Application no. 53600/20) costituirà un precedente per tutti i 46 Stati del Consiglio d’Europa e deciderà se e in che misura un Paese come la Svizzera debba ridurre le proprie emissioni di gas serra in modo più rigoroso per tutelare i diritti umani. 

La seconda notizia è che L’UE fa un passo avanti per riconoscere ufficialmente il reato di ecocidio, ovvero un crimine contro l’ambiente di proporzioni vaste e impatto profondo. Una fattispecie che finora non ha fondamento giuridico. 

Non è la prima volta che l’Europarlamento si impegna a riconoscere il reato di ecocidio. “Ma è la prima volta che lo vuole inserire direttamente in un testo giuridico vincolante. Adesso la proposta dovrà essere esaminata dai Ventisette. Che si dovranno esprimere pubblicamente nel merito, spiegando eventualmente per quali motivi rifiutano di riconoscere questo tipo di reato. Se invece la misura fosse approvata, tutti i paesi membri sarebbero obbligati a introdurre il reato di ecocidio nei rispettivi ordinamenti nazionali.

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