3 Lug 2023

Francia nel caos, che succede adesso? – #757

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La Francia è piombata nel caos per le violente proteste esplose dopo la morte di un ragazzo diciassettenne ucciso dalla polizia per non aver mostrato i documenti a un agente, mostrando i sintomi di una società estremamente spaccata. Parliamo anche della legge sulla sicurezza stradale in Italia, che ignora la prima causa di mortalità stradale, dell’attentato all’aeroporto in Moldavia e della riforma della giustizia in Israele, che è stata rivista per venire incontro alle proteste della popolazione.

Sta succedendo di tutto in Francia. Le proteste contro l’uccisione di Nael M., ragazzo di 17 anni ucciso dalla polizia dopo essersi rifiutato di fornire i propri documenti, sono montate giorno dopo giorno fino ad esplodere violentemente nella notte fra venerdì e sabato, con incendi, guerriglia urbana, scontri con la polizia. 

Nel giro di pochi giorni sono state arrestate circa 1700 persone, di cui la stragrande maggioranza nelle notti fra venerdì e sabato e fra sabato e domenica (non ci sono ancora i dati sulla notte appena trascorsa). 124 tra poliziotti e gendarmi” sono stati feriti – mentre il Ministero dell’interno francese non rende noti i feriti fra i manifestanti -, circa 2000 veicoli e 310 edifici sono stati dati alle fiamme, 3300 incendi sono stati registrati su strade pubbliche.

Inoltre il ministero dell’Interno francese ha inoltre registrato circa 40 attacchi a stazioni di polizia, 20 attacchi a stazioni di polizia municipale e 14 a caserme della gendarmeria.

A Rennes, Nizza e Lione ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia. A Marsiglia si segnalano incidenti in varie parti della città. A Parigi tensioni soprattutto nella zona degli Champs Elysées.

Incidenti sono scoppiati anche a Brest, nel dipartimento di Finistère, nella regione della Bretagna, sulla costa occidentale del Paese. Lo riporta il quotidiano Le Telegramme. I manifestanti hanno ‘sparato’ razzi e fuochi di artificio contro i poliziotti. Un incendio è scoppiato in una concessionaria della Renault.

E nelle ultime 48 ore, come spiega un articolo di Repubblica, la protesta ha contagiato anche la Svizzera e il Belgio: sono stati segnalati incidenti nel centro di Losanna, come riporta il media online ’20 minutes’. Violenze e saccheggi nel quartiere Flon. Circa 200 persone hanno poi affrontato gli agenti arrivati sul posto in assetto anti-sommossa.

Altro dato interessante, l’età media dei manifestanti è di 17 anni.

A queste mobilitazioni rabbiose, che arrivano dalle periferie delle grandi metropoli parigine, il governo ha risposto con il pugno di ferro. Come racconta un articolo su AGI, il ministro dell’interno Darmanin ha predisposto una mobilitazione “eccezionale” di polizia e gendarmi – 45mila agenti in tutto il territorio nazionale, mentre Macron ha detto di essere pronto a misure straordinarie per il mantenimento dell’ordine, “senza tabù”, (qualsiasi cosa intenda) e ha fatto appello ai genitori perché “tengano i figli a casa”. Ha detto: “In questo contesto, chiediamo a tutti i genitori di assumersi la responsabilità: il contesto che stiamo vivendo è frutto di gruppi organizzati e attrezzati ma anche di tanti giovani. Un terzo degli arrestati sono giovani o molto giovani”, ha insistito il capo dello Stato. “È responsabilità dei genitori tenerli a casa. Faccio appello al senso di responsabilità delle famiglie”.

Poi ha fatto un appello anche ai social: “Le piattaforme e le reti svolgono ruoli molto importanti”, ha aggiunto, citando TikTok e Snapchat. “Saranno fatte richieste per avere l’identità di coloro che usano i social network per chiamare al disordine”. “Prenderemo diverse misure nelle prossime ore”, ha detto.

Ora, la situazione è abbastanza confusa, ed è difficile fare commenti sensati. Un episodio di violenza assurda e immotivata da parte della polizia ha dato il via a una reazione a catena, in cui la violenza è traboccata soprattutto nelle periferie delle grandi città, e adesso lo stato usa nuova violenza per placare le proteste.

È una situazione che mi appare come preoccupante e potenzialmente esplosiva, e la mia memoria è andata a vari episodi simili. Perché in Francia, ciclicamente, le periferie delle città esplodono. È come se accumulassero energia potenziale mesi dopo mesi, sotto forma di rabbia inespressa, che poi come nelle rocce sotterranee che danno origine ai terremoti esplode fragorosamente in una sorta di sisma sociale.

Visto che però non sono un esperto della società francese, ho chiesto delucidazioni al collega francese Benoit Christal, che abbiamo più volte intervistato qui su ICC. Benoit è un giornalista televisivo e reporter francese, peraltro inviato di guerra in Ucraina, e attento osservatore delle dinamiche politiche e sociali del suo paese.

E sono rimasto stupito nel notare il suo stupore. Mi ha scritto che è appena tornato dall’Ucraina ed è rimasto incredulo nel trovare il suo Paese, e persino il suo stesso quartiere, così (Benoit vive in un quartiere normalmente molto tranquillo a Sud di Parigi).

“La cosa sorprendente per me – mi ha scritto – è che su tratta di ragazzini di 13-16 anni tutti nati nel mio quartiere. Quindi non sono i più duri spacciatori… sembra una violenza quasi fatta per farsi vedere sui social, che avviene perché i genitori non mettono nessuna limitazione. È tutto molto strano…Forse vedono che i loro fratelli maggiori vendono droga, che la scuola e le regole non servono a niente”. 

E infine aggiunge, con tono preoccupato: “Se non si fermano loro, ci sarà una risposta violenta dell’estrema destra”.

E i primi segnali, in effetti, ci sono già. Sabato ci sono stati i funerali di Nahel M, nella moschea Ibn Badis di Nanterre. Al funerale e al corteo successivo hanno partecipato migliaia di persone e in quell’occasione è stata avviata una raccolta fondi in sostegno della madre del ragazzo. Leggo su un altro articolo a firma dell’inviato di Repubblica Antonello Guerrero che la colletta per la madre di Nahel ha raggiunto in breve tempo circa 90mila euro, ma la cosa sorprendente, che è anche una cartina di tornasole della tremenda spaccatura sociale francese, è che subito dopo è stata avviata una colletta, quasi fosse una gara, in sostegno del poliziotto che l’ha ucciso, Florian M., e che questa ha raggiunto in poche ore la cifra esorbitante di 600mila euro. 

Insomma, quella tendenza alla spaccatura sociale che avevamo notato anche con le elezioni parlamentari, con i risultati molto buoni sia dell’estrema destra di Marine le Pen che della sinistra radicale di Jean Luc Mélenchon, sembra essersi ulteriormente acutizzata. 

Ieri sera, in tarda serata, Macron ha convocato una riunione d’emergenza per capire come gestire la situazione e sembra – anche se ancora non c’è l’ufficialità – che sia intenzionato a instaurare lo stato d’emergenza in diverse zone del paese. 

Ad ogni modo, oltre al caos sociale, la morte di La morte di Nahel M. ha riaperto in Francia anche un certo dibattito che ha a che fare con la questione della legittima difesa della polizia e con la legittimità o meno, in alcune circostanze, dell’uso delle armi da parte degli agenti. 

Un articolo del Post prova a ricostruire gli elementi principali di questo dibattito. “I vari schieramenti politici hanno espresso posizioni molto differenti. Ma come aveva scritto già alla fine del 2022 Antoine Albertini, specialista di Le Monde in questioni di polizia, la polarizzazione del dibattito, che c’era già stato, identico, lo scorso anno, «non si accontenta di sfumature e presta poca attenzione alle cause del fenomeno, che però possono essere chiarite da cifre inequivocabili».

Nel 2020 il rapporto dell’Osservatorio interministeriale nazionale sulla sicurezza stradale aveva rilevato un aumento del 16,5 per cento rispetto all’anno precedente dei “refus d’obtempérer” (ovvero un rifiuto di mostrare i documenti alla polizia, come quello avvenuto con Nahel), con 26.589 casi individuati. Dal 2010 al 2019 questo reato, previsto dal codice della strada francese, è aumentato di oltre il 49 per cento.

I sindacati di polizia hanno proposto come spiegazione del fenomeno un generico “odio contro la polizia”, ma le cause sembrano essere per lo più altre e diverse tra loro. Ci sarebbe per esempio un nesso con l’entrata in vigore della patente a punti, introdotta in Francia nel 1993. Inoltre sarebbero aumentati molto negli anni, oggi sono circa 800mila, i conducenti francesi che non hanno un’assicurazione perché nella maggior parte dei casi non se la possono permettere: il sequestro del veicolo, la revoca della patente e il divieto di guida fino a cinque anni – conseguenze di essere scoperti a guidare senza assicurazione – avrebbero dunque un peso nella lettura dei dati.

Ad aumentare, comunque, non sono stati solo i casi di “refus d’obtempérer”, ma anche le volte in cui la polizia ha sparato. Diversi osservatori hanno collegato l’aumento delle sparatorie della polizia nei contesti di “refus d’obtempérer” alle conseguenze di una discussa legge approvata nel gennaio 2017 che di fatto ampliava il campo di applicazione della “legittima difesa” da parte della polizia. 

Nel 2016 le “sparatorie sui mezzi in movimento” erano state 137, l’anno successivo 202. Sempre nel 2017 le forze dell’ordine francesi avevano registrato un forte aumento, pari al 54,51 per cento, dell’uso delle armi in generale: 384 casi rispetto ai 255 del 2016. 

Insomma, come sempre la realtà è molto complessa, e se vogliamo comprendere quello che sta succedendo in Francia dobbiamo considerare tanti aspetti diversi. E ancora una volta, mi pare, un sistema politico iperpolarizzato, in cui ogni discussione viene strumentalizzata in un noi contro loro, è il modo peggiore per riuscire a comprendere ed affrontare realmente i problemi.

Vi faccio un altro piccolo esempio che spiega bene questo concetto, che però arriva dall’Italia. Ancora il Post fa notare come il ddl sulla sicurezza stradale presentato dal governo manchi clamorosamente il bersaglio. Perché tutti i dati che abbiamo a disposizione mostrano che il principale problema per la sicurezza stradale non è la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti (aspetti su cui si concetra in maniera quasi esclusiva il ddl), ma l’eccesso di velocità.

Fare un ddl sulla sicurezza stradale senza tener conto del principale problema per la sicurezza stradale è un po’ un controsenso, no? 

Ecco, credo che questo controsenso si spieghi, nuovamente, con il fiunzionamento del sistema partitico. Cioé: non si fanno leggi pensando a fare la cosa migliore in assoluto, sulla base dei dati, ma la cosa più gradita al propio elettorato, sulla base dei gusti del proprio elettorato. E mentre la legalità e la lotta all’uso di sostanze stupefacenti è una battaglia di destra, quella contro la velocità in auto, mi azzardo a dire, è cultualmente più di sinistra.

Si capisce però che prendere decisioni così, alla lunga non funziona no? Mettete lo stesso meccanismo su temi ancora più importanti, come ad esempio la lotta al cambiamento cliamtico e capite che non ne uasciamo, con questo sistema politico qui. E non sto parlando di singoli politici, ma proprio di funzionamento di un sistema.

COSA SAPPIAMO DELL’ATTENTATO IN MOLDAVIA

Un altro fatto accaduto a ridosso del fine settimana è che venerdì pomeriggio c’è stato un attacco armato all’aeroporto di Chisinau, la capitale della Moldavia. Un uomo ha sparato ad alcune persone, uccidendo due poliziotti e ferendo una persona civile. Come è emerso successivamente, l’uomo è un cittadino del Tagikistan di 43 anni che era atterrato con un volo proveniente dalla Turchia.

Il primo ministro della Moldavia Dorin Recean ha detto che ha compiuto l’attacco dopo che gli era stato impedito di entrare nel paese: avrebbe sottratto un’arma di ordinanza a uno dei poliziotti mentre veniva accompagnato in un’area di sicurezza e avrebbe iniziato a sparare. L’uomo, rimasto ferito nell’attacco, è stato arrestato.

Al momento non si hanno altre informazioni su di lui. Non è chiaro per esempio se l’attacco sia stato premeditato o se l’uomo appartenga a un gruppo terroristico. Poco dopo l’attacco i voli sono stati momentaneamente sospesi e i passeggeri all’interno dell’aeroporto evacuati all’esterno. Nelle prime ore dopo l’attacco si era diffusa la notizia che l’uomo appartenesse al gruppo Wagner, il gruppo paramilitare che lo scorso weekend ha compiuto una rivolta armata in Russia, ma la notizia non è stata corroborata da nessuna fonte ufficiale.

Sportiamoci in Israele, perché dopo mesi di silenzio il premier israeliano Benjamin Netanyahu è tornato a parlare della tanto contestata riforma della giustizia, facendo una parziale marcia indietro. Come racconta un articolo del Fatto Quotidiano, il premier “non intende far naufragare il suo progetto sulla riforma della giustizia più contestata di sempre, ma rilanciarlo, renderlo più digeribile. Annuncia così – in un’intervista al Wall Street Journal – di voler escludere uno dei provvedimenti più controversi, ovvero l’eliminazione della cosiddetta “clausola di ragionevolezza”, in nome della quale la Corte Suprema può bocciare leggi e provvedimenti approvati dal Parlamento israeliano, la Knesset”.

Sul questo punto, la riforma presentata in precedenza, nella versione originale, puntava a fare in modo che nel caso in cui la Corte Suprema decidesse di annullare una legge, sarebbe stato possibile per il Parlamento salvarla con un voto a maggioranza semplice, ignorando la sentenza della Corte. E quindi di fatto sbilanciando molto il potere vero l’esecutivo. Ora Netanyahu arretra, rinunciando a questa modifica e spiegando al Wall Street di essere “attento al polso dell’opinione pubblica, a ciò che pensa la gente”.

C’è da dire che nel corso dei mesi, a partire dallo scorso marzo, le voci critiche nei confronti della riforma che si sono sommate a quelle dei comuni cittadini non sono state esattamente di poco conto: oltre allo scontento dei colossi economici, sono intervenuti dicendosi preoccupati il cancelliere tedesco Olaf Scholz e anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Dopo il momentaneo “congelamento” della riforma deciso a fine marzo, il 25 giugno sono riprese alla Knesset le consultazioni per varare in tempi serrati almeno una parte della riforma. 

Sulla scia di questi eventi Netanyahu ha quindi annunciato il parziale dietrofront, ma la clausola di ragionevolezza non è certo l’unica misura problematica contenuta nella riforma: altro punto essenziale riguarda il meccanismo di nomina dei giudici che, se la riforma venisse approvata, passerebbe completamente sotto il controllo del governo.

L’intero impianto della riforma della giustizia mira proprio a limitare i poteri della Corte Suprema, l’organo istituzionale che soprattutto a partire dagli Anni 90 ha assunto il ruolo di principale contrappeso al potere dell’esecutivo, già più esteso (e potenzialmente estendibile) rispetto a quello di altre democrazie occidentali per una serie di fattori: in primis, il Parlamento israeliano è unicamerale, rendendo quindi impossibile quella dialettica tra le due camere che, seppur rallentando non di rado il processo legislativo, lo sottopone a un più profondo processo di controllo e discussione. Secondo, rispetto agli altri sistemi parlamentari come ad esempio quello italiano, il presidente israeliano non ha alcun potere di veto né la possibilità di rimandare una legge alle camere.

Ovviamente adesso c’è da capire se in questa versione più soft la riforma della giustizia incontrerà comunque una resistenza oppure no.

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