12 Dic 2023

Geopolitica e follie – #847

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In questi giorni in cui non ci siamo sentiti sono successe un bel po’ di cose e allora riprendiamo le fila del mondo partendo dai sommovimenti politici e geopolitici, fra Gaza, i rapporti fra Israele e Russia, l’Italia che esce dalla via della seta e la complessi situazione in Sudamerica. parliamo anche di Cop 28 che volge al termine, in compagnia della redazione di Agenzia stampa giovanile.

In questi giorni di mia assenza e subappalto di Io Non Mi rassegno alla redazione di Agenzia di Stampa Giovanile, che ha fatto un ottimo lavoro di copertura della Cop 28, sono tuttavia successe un bel po’ di cose importanti. Quindi, ecco, nei prossimi giorni vediamo di recuperare un po’ di notizie. Oggi partiamo con una panoramica di politica internazionale. 

A Gaza, come immagino saprete, è ricominciata la guerra, dopo che la tregua era stata prolungata di qualche giorno. Oggi è prevista una riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si riunirà in una sessione speciale di emergenza per discutere sul veto presentato dagli Stati Uniti all’ultima risoluzione del Consiglio di Sicurezza venerdì scorso, che chiedeva di fermare immediatamente il fuoco a Gaza. Il veto degli Stati Uniti, come riporta Limes, pur non essendo il primo utilizzato – quasi sempre per sostenere Israele – ha sollevato in questa occasione numerose critiche da parte del mondo musulmano, ma anche di Russia, Cina e Paesi africani e asiatici. 

Intanto ieri il primo ministro di Israele Binyamin Netanyahu ha parlato al telefono per cinquanta minuti con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Da quanto emerge dai resoconti – siamo ancora su Limes – i due leader sono apparsi molto distanti su un numero considerevole di questioni, guerra a Gaza in primis. il governo israeliano non ha gradito la posizione espressa da Mosca alle Nazioni Unite e in altre sedi diplomatiche internazionali, e ancor meno Netanyahu digerisce le convergenze tra Russia e Iran,considerato un nemico “esistenziale” di Israele. 

Dal canto suo, Putin ha definito “catastrofica” la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, ha condannato “ogni forma” di terrorismo (sottintendendo quindi, secondo gli analisti, anche il terrorismo di Stato attribuito a Israele), ha proposto una missione internazionale di pace nell’exclave palestinese e ha rilanciato la soluzione dei ‘due popoli, due Stati’. Ora, Putin in versione pacifista fa un po’ ridere in questo momento storico ma tant’è.

Comunque, tornando alla telefonata, queste divergenze sono importanti, ma ancora più significativo è che ci sia stata questa telefonata, lunga, al termine della quale fra l’altro Netanyahu e Putin hanno concordato di rimanere in contatto. Segno che nessuno dei due paesi – storicamente in buoni rapporti – nutre un reale desiderio a compromettere le relazioni bilaterali. 

Facciamo un bel salto spaziale e spostiamoci in America Latina. Il presidente eletto dell’Argentina Javier Milei si è ufficialmente insediato alla Casa Rosada. Nel suo primo discorso da capo di Stato, Milei ha usato toni assai deprimenti sul futuro plumbeo del paese: “Non ci sono soldi. Non c’è alternativa allo shock. Ciò avrà un impatto negativo sull’occupazione, sui salari e sugli indigenti”. 

Mi ha colpito il riferimento diretto allo shock, che non può essere casuale, essendo i suoi idoli (al punto da dare il nome ai suoi cani – o meglio ai cloni del suo vecchio cane) i principali teoreti della cosiddetta shock economy, fra cui il capostipite Milton Friedman. Parole che sembrano provenire da un’altra epoca, dagli anni Ottanta-Novanta. 

Milei ha anche promesso che: “Questa è l’ultima cattiva bevanda”. Come primo atto formale, Milei ha dimezzato i ministeri: da diciotto a nove. Si salva il ministero della Salute – precedentemente indicato come sacrificabile – che non confluirà come sottosegretariato nel nuovo dicastero del Capitale Umano, a differenza di Istruzione e Lavoro.

Finora, ovunque sia stata applicata nel mondo, la shock economy ha lasciato dietro di sé una scia di ingiustizie, gap salariale, distruzione dello stato sociale. Ci sono una serie di coefficienti da tenere d’occhio, tipo il coefficiente Gini che osserva come cambia la distribuzione del reddito in un paese nel tempo. Argentina osservato speciale di INMR. Direi.

Intanto nel vicino Venezuela si è tenuto il referendum tanto voluto dal presidente Nicolas Maduro, sull’annessione di una parte della Guyana. Un lungo articolo di Repubblica a firma di Michele Mastrogiacomo si raccontano gli ultimi fatti e si ricostruisce la vicenda di questo territorio conteso, che si chiama Guyana Esequiba. 

L’articolo inizia citando le parpole festose di Maduro che ha parlato di “successo schiacciante, una vittoria storica”: la dimostrazione che il “Venezuela ha un sistema elettorale trasparente e affidabile”. 

Scrive il giornalista: “Siamo ancora lontani dai lampi di una guerra, ma all’orizzonte appaiono le prime saette di un conflitto che sia gli Usa sia la Gran Bretagna osservano con preoccupazione. Lungo i confini della Guyana, nel nord est del Continente, si ammassano contingenti militari. Lo fa il Brasile, preoccupato per quello che potrebbe accadere, lo fa la stessa Guyana che con soli 800mila abitanti teme di essere travolta dai venti patriottici e nazionalistici che il regime di Caracas soffia da settimane. Il presidente del Venezuela vince il suo referendum sull’annessione di una larga fetta della Guyana Esequiba, un territorio di 160 mila chilometri quadrati ricchi di materie prime, oro, petrolio e gas e sancisce con 10.544.320 voti milioni un diritto che considera ancentrale, oltre che storico. Una valanga di sì che sfiora il 90 per cento.

Con cinque quesiti ha rispolverato una vecchia rivendicazione territoriale sull’ex colonia britannica diventata indipendente nel 1966. Avvolta da una fitta giungla, la Guyana Esequiba era stata conquistata dalla Corona spagnola che aveva cercato di ripopolarla; era passata poi nelle mani degli olandesi e infine ceduta alla Gran Bretagna. Stremata dalla guerra d’indipendenza, Caracas aveva rinunciato a quella fetta di terra che le era sempre appartenuta, e solo nel 1899 si era presentata davanti alla giustizia internazionale rivendicando una sovranità che il verdetto, noto come Lodo arbitrale di Parigi, assegnò definitivamente a Londra.

Il Venezuela gridò allo scandalo, e la storia ha avuto un andamento carsico, per tornare alla ribalta nel 2020 la Guyana ha scoperto materie prime ricchissime e ha chiesto un pronunciamento all’Onu temendo il risveglio del suo vicino. Cosa che è puntualmente avvenuta. Adesso non si sa bene cosa avverrà, niente probabilmente, almeno al momento, ma possiamo leggere questo fatto come un colpetto di assestamento di un sistema geopolitico internazionale sempre più scricchiolante e in cerca di un nuovo equilibrio. In un momento di grossa difficoltà internazionale, la mia sensazione è che ognuno ne approfitti per portare avanti le sue rivendicazioni, sapendo che in tanti sono già troppo impegnati per altri fronti per poter reagire. Solo che così il caos aumenta.

Ultima notizia di questa rassegna sudamericana, nel vicino Paraguay il governo ha firmato un’intesa bilaterale con un altro paese, il “Kailasa”. Tutto regolare, se non che c’è un piccolo dettaglio: il Kailasa non esiste, è un paese inventato da un truffatore indiano. E la faccenda sta mettendo non poco in imbarazzo il governo paraguayano che ha licenziato il capogabinetto del Ministero dell’Agricoltura ritenuto responsabile della vicenda. 

Tornando alle nostre latitudini, l’Italia è stata il primo paese al mondo ad uscire ufficialmente dall’accordo con la Cina sulla nuova via della seta. Il nostro paese era stato anche il primo paese del G7 e il primo Paese fondatore dell’Unione europea ad entrarci ma dopo quattro anni la partecipazione italiana finisce. 

Leggo ancora su la Repubblica che “Tre giorni fa, con una “nota verbale” consegnata via ambasciata al governo cinese, l’esecutivo italiano ha notificato l’interruzione dell’accordo firmato dal governo Conte nel 2019, che altrimenti si sarebbe rinnovato in automatico. La decisione di procedere in sordina – senza comunicazioni ufficiali da una parte o dall’altra, né tantomeno il passaggio parlamentare ipotizzato a un certo punto da Meloni – è chiaramente concordata per minimizzare la risonanza della decisione ed evitare a Pechino di “perdere la faccia”, concetto chiave nell’immaginario – anche diplomatico – cinese. 

Così come il messaggio del governo italiano sulla volontà di rafforzare la partnership strategica che precedeva quell’intesa. E se le reazioni del regime comunista possono essere imprevedibili, il lavorio diplomatico e le circostanze dovrebbero in effetti aiutare l’Italia ad evitare ritorsioni, considerato che da qualche tempo la Cina – in un periodo di grave difficoltà economica – prova a mostrare agli Stati Uniti, a tutto l’Occidente e alle imprese straniere un’attitudine un po’ meno ostile.

Su Limes trovate un’analisi molto molto approfondita di tutte le motivazioni che sembrano aver spinto il governo Meloni a rinunciare all’accordo. Per farvela breve, le due direttrici principali sono da un lato una sorta di giuramento di fedeltà unilaterale al fronte anticinese guidato dagli Usa, dall’altro un ripensamento della strategia nazionale nell’indo-pacifico, con l’apertura verso India e Giappone. Staremo a vedere.

Intanto la Cop 28 prosegue, oggi, in teoria, è l’ultimo giorno, ma anche se il tempo stringe le trattative sembrano languere. Sono state diffuse alcune bozze di accordo finale, che però sembrano piuttosto deludenti. Ieri il WWF ha diffuso una nota in cui Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, afferma che “la nuova bozza di testo pubblicata alla COP28 di Dubai è deludente e molto meno ambiziosa di quelle precedenti. Se passasse così com’è sarebbe un disastro, un fallimento per i Governi chiamati ad affrontare, finalmente, la causa della crisi climatica, i combustibili fossili. 

E poi invoca: “Nessuno pensi di tornare a casa con un testo del genere, sarà necessario fare gli straordinari. Anche per la presidenza questo risultato sarebbe uno smacco, dato che cercava risultati ambiziosi”.

Io comunque passo, come nei giorni scorsi, nuovamente la parola alla redazione di Agenzia di Stampa Giovanile che è ancora sul luogo e ci racconta che aria si respira in questa fine di Conferenza. Mi ha colpito molto la riflessione sulla militarizzazione della crisi climatica. 

Audio disponibile nel video / podcast

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