17 Nov 2023

Glifosato: l’Ue approva il rinnovo. Che succede adesso? – #833

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Nonostante le petizioni, le lettere e le mobilitazioni, la Commissione Ue ha approvato il rinnovo dell’autorizzazione al glifosato per altri 10 anni, pur con qualche accorgimento. parliamone. parliamo anche del nuovo report sull’azione (o spesso l’inazione) climatica a livello globale, della strana storia del leone fuggito dal circo a Ladispoli (con un contributo dell’etologa Chiara Grasso) e infine di qualche novità sulle leggi sull’immigraizone in Regno unito e Italia. 

Alla fine le mobilitazioni, le petizioni, le raccolte firme, gli appelli non sono bastati. Ieri sera la Commissione Europea ha annunciato il rinnovo dell’autorizzazione all’utilizzo per altri 10 anni del glifosato. 

Facciamo un piccolo ripasso, anche se ne abbiamo parlato moltissimo di recente. Il glifosato è una sostanza presente in molti erbicidi, fra cui il Roundup, uno dei diserbanti più utilizzati al mondo. Da anni scienziati, organismi di controllo e aziende dibattono se sia opportuno vietarne l’utilizzo: l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) lo classifica come sostanza “probabilmente cancerogena per gli esseri umani”, ma l’Agenzia europea delle sostanze chimiche lo considera invece “sostanza non cancerogena”. 

Leggo sul Post che “L’annuncio del rinnovo è stato fatto dopo che per due volte la proposta della Commissione di rinnovare l’approvazione del glifosato non è stata approvata con una maggioranza qualificata dal Comitato d’appello dell’Unione Europea, formato da rappresentanti di tutti gli stati membri”.

La Commissione ha detto di essere legalmente obbligata ad adottare una decisione prima della scadenza dell’attuale approvazione, prevista per il prossimo 15 dicembre, e di aver adottato la proposta per rinnovarla perché non ci sono sufficienti prove sulla nocività del glifosato per la salute umana e l’ambiente, secondo valutazioni effettuate dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare dell’Unione Europea. 

In pratica, come ho capito leggendo un altro articolo, di Internazionale, il punto è stato che molti paesi si sono astenuti e quindi è mancata la maggioranza qualificata necessaria sia per approvare che per respingere la proposta della commissione. Nello specifico, secondo fonti diplomatiche citate da Internazionale, sette paesi si sono astenuti, tra cui Francia, Germania e Italia, mentre diciassette hanno votato a favore e tre contro.

A quel punto, la decisione spettava alla Commissione che ha deciso di rinnovare l’approvazione del glifosato, ritenendo che non ci sono prove sufficienti per vietarlo. Il che se ci pensate è un po’ strano perché è il contrario del principio di precauzione presente anche nella normativa europea nel campo dei fitofarmaci. Principio di precauzione che vorrebbe che un prodotto non venisse utilizzato se c’è anche un sospetto fondato che sia nocivo e finché non ci sono le prove che non lo sia. 

Aggiungo che in realtà, anche in vista del rinnovo, negli ultimi anni e anche mesi si sono moltiplicati gli studi che mostrano una serie di probabili rischi per la salute umana legati all’uso dell’erbicida. Oltre ad alcune forme di tumore e leucemia, la sostanza potrebbe essere collegata allo sviluppo di malattie degenerative come il morbo di Parkinson. Senza considerare i danni, quelli sì più che comprovati, agli ecosistemi, alle falde acquifere, ai terreni, alla biodiversità.

L’approvazione però presenta alcune misure precauzionali. Ad esempio è della durata di 10 anziché di 15 anni, come solitamente previsto per questo tipo di sostanze, e imporrà «nuove condizioni e restrizioni» – ancora non specificate – al suo utilizzo, dato che la ricerca scientifica sull’impatto del glifosato si sta intensificando e potrebbero quindi emergere nuovi dati e nuove conoscenze sul suo impatto sulla salute umana e sull’ambiente. La Commissione ha detto anche che «se emergono prove che indicano che i criteri di approvazione non sono più soddisfatti, può essere avviata in qualsiasi momento una revisione dell’approvazione», che potrà essere modificata o revocata.

Quindi ecco, ci sono almeno alcuni elementi tutelanti. Detto vorrei sottolineare due aspetti, che alcuni giornali hanno malinterpretato, con titoli tipo “dovremo continuare a usare il glifosato per altri 10 anni”.

No. Il fatto che la Commissione abbia approvato il rinnovo non implica ovviamente nessun obbligo di usarlo. Non solo, questo va da sé, i singoli agricoltori possono scegliere di non usarlo, ma anche i singoli paesi Ue possono scegliere di proibirlo anche totalmente, come ad esempio fa il Lussemburgo, o limitarlo fortemente, come fanno la Francia e diversi paesi nordeuropei. 

Inoltre penso che le campagne di sensibilizzazione come quella che molte organizzazioni hanno portato avanti sul glifosato siano comunque utili, anche se non centrano l’obiettivo che si prefiggono, perché aumentano la densità culturale su un certo concetto e creano delle precondizioni perché quell’obiettivo venga comunque raggiunto, magari non oggi, ma domani. 

Ultima cosa, io penso che non ci siano ormai dubbi sul fatto che erbicidi come il glifosato, ma più in generale l’utilizzo massiccio della chimica (sia per fertilizzare che per diserbare) in agricoltura non abbia futuro. E in Europa lo sanno bene. Il problema non è sé abbandonarli, ma come e quando. Perché ci sono delle complicazioni da gestire e ancora molti agricoltori utilizzano questi prodotti su terreni che hanno visto un calo drastico della fertilità naturale. Ma rimandare le decisioni necessarie, non è esattamente una soluzione.

Ci avviciniamo all’inizio di Cop28, la conferenza sul clima che quest’anno si terrà a Dubai, e nelle settimane precedenti alle conferenze delle parti escono un sacco di nuovi studi, su ciui poi si suppone i delegati delle varie nazioni e gli esperti presenti partiranno per prendere delle decisioni. Questa almeno è la teoria, ovviamente. Comunque, fra questi studi e report forse quello fin qui più significativo, uscito martedì, è il rapporto State of Climate Action 2023, un report annuale redatto da sei thinktank sul clima che esamina tutti gli aspetti della politica climatica dei governi di tutto il mondo. 

Vediamo allora cosa emerge partendo dal riassunto che Aliya Uteuova ne fa sul Guardian. Leggo: “Per evitare i peggiori impatti del collasso climatico, il carbone deve essere eliminato sette volte più velocemente di quanto si stia facendo ora, la deforestazione deve essere ridotta quattro volte più velocemente e i trasporti pubblici in tutto il mondo devono essere costruiti sei volte più velocemente di quanto si faccia attualmente.

I Paesi sono in ritardo su quasi tutte le politiche necessarie per ridurre le emissioni di gas serra, nonostante i progressi nelle energie rinnovabili e nella diffusione dei veicoli elettrici. Secondo il rapporto State of Climate Action 2023, questo fallimento rende ancora più remota la prospettiva di contenere le temperature globali entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali”. 

Questo il succo. Gli autori consigliano anche una serie di azioni da portare avanti al più presto a livello globale:

  • Chiudere in media circa 240 centrali elettriche a carbone di media grandezza all’anno, ogni anno da qui al 2030.
  • Costruire infrastrutture di trasporto pubblico a un ritmo 6 volte più veloce (in pratica dovremmo costruire ogni anno nel mondo l’equivalente di tre volte la rete di trasporto pubblico di NY, in questo decennio).
  • Arrivare a deforestazione zero, (deforestazione che ogni minuto interessa un’area grande come 15 campi da calcio), in questo decennio.
  • Aumentare il tasso di crescita della produzione di energia solare ed eolica dall’attuale +14% annuo al +24% annuo.
  • Ridurre il consumo di carne di ruminanti come mucche e pecore a circa due porzioni a settimana negli Stati Uniti, in Europa e in altri Paesi ad alto consumo entro il 2030.

Insomma, dal quadro che emerge è evidente che non stiamo andando sufficientemente veloci nella transizione ecologica come dovremmo se vogliamo evitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Come dichiara Sophie Boehm, ricercatrice associata presso il World Resources Institute e autrice principale del rapporto: “Gli sforzi globali per limitare il riscaldamento a 1,5°C sono a dir poco lacunosi. Nonostante decenni di avvertimenti e campanelli d’allarme, i nostri leader non sono riusciti a mobilitare un’azione per il clima che si avvicinasse al ritmo e alla scala necessari. Questi ritardi ci lasciano poche strade per garantire un futuro vivibile per tutti”.

Il report mostra anche che su alcuni indicatori stiamo persino andando nel verso sbagliato. Ad esempio il finanziamento pubblico dei combustibili fossili continua, molti Paesi, continuano a espandere la produzione di combustibili fossili e ad aumentare i sussidi, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e il panico energetico che ne è seguito.

Complessivamente, come scrive Andrea Barolini su Lifegate, “dei 42 indicatori presi in considerazione dal rapporto, ben 41 non sono in linea con l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, rispetto ai livelli che sarà necessario raggiungere nel 2030”. E per almeno metà degli indicatori stessi, siamo ancora talmente lontani dai trend necessari che occorrerà raddoppiare gli sforzi entro la fine del decennio.

L’unica misura dei 42 indicatori presi in esame che è risultata progredire al ritmo necessario per ridurre le emissioni di quasi la metà in questo decennio rispetto ai livelli del 1990, sono le vendite di veicoli elettrici, che sono in piena espansione e più che triplicate dal 2020. 

Insomma, non è che questo rapporto ci dica cosa particolarmente nuove o che già non sapessimo, ma una panoramica globale come questa ci serve per renderci conto di quanti cambiamenti dobbiamo ancora fare e di come complessivamente il percorso di decarbonizzazione stia sì accelerando, ma sia ancora molto lontano da una traiettoria che ci permetta di continuare a vivere in società anche vagamente simili a quelle attuali.

Una cosa che i report come quello che abbiamo appena commentato non indagano, è il livello più profondo del cambiamento. Mi spiego: ogni cambiamento di superficie, ogni azione o modifica che vediamo succedere nelle società umane è frutto di un cambiamento, precedente, più nascosto, che avviene a livello culturale. Ogni cosa nuova che avviene per volontà dell’essere umano è stata prima pensata e immaginata da qualcuno.

Per questo esistono due livelli della transizione ecologica: uno è quello dei fatti concreti, delle azioni specifiche mirate alla diminuzione delle emissioni di CO2 e più in generale dell’impatto antropico sul pianeta e sugli ecosistemi. Ma questo è solo l’output, il risultato di un livello antecedente, che è più difficilmente misurabile (ed è anche per questo che le politiche si concentrano sull’altro livello e non su questo). Sto parlando di un cambiamento culturale, antropologico, nel rapporto della nostra specie con gli ecosistemi. Una nuova forma di equilibrio e connessione sana con essi, con il selvatico, con tutto il resto. 

Tutto questo pippone – termine giornalistico con cui si intende una spiegazione lunga e dettagliata –  per dirvi che penso sia molto interessante e importante esplorare e promuovere questo livello di cambiamento verso la cosiddetta ecologia profonda. E sono particolarmente felice di ospitare oggi, in quella che spero possa diventare una collaborazione ricorrente, Chiara Grasso, etologa, divulgatrice e fondatrice di Eticoscienza, associazione che si occupa dei diritti delle altre specie animali. Altre rispetto a homo Sapiens, la nostra specie, intendo, che pure è una specie animale.

A Chiara abbiamo chiesto un parere su una questione che sta facendo molto discutere in questi giorni, ovvero quello del leone scappato al circo di Ladispoli. Prima vi faccio una piccola panoramica della vicenda, per darvi qualche elemento ulteriore di comprensione.

La notizia è che sabato scorso, 11 novembre, un leone è scappato dal circo a Ladispoli, comune della provincia (anzi della città metropolitana) di Roma e ha iniziato a girovagare per la cittadina, scatenando il panico fra le persone. Hanno fatto seguito ben sette ore di caccia al leone per le strade di Ladispoli. Con carabinieri, vigili urbani, poliziotti e finanzieri insieme con tre veterinari armati di fucili caricati con proiettili al sedativo. Infine, alle 22, dopo un inseguimento da film hollywoodiano è stato catturato e riportato in cattività. 

Tutta questa vicenda ha dato adito all’immancabile ondata di polemiche, con accuse – fin qui senza prove – ai gruppi animalisti di aver liberato volontariamente il leone e battibecchi vari, oltre che a cascata di meme e di ironia sui social. Solo che, per quanto possa far ridere l’immagine paradossale di un Leone che passeggia per ladispoli, tutta questa vicenda nasconde aspetti molto meno divertenti e che riguardano proprio l’utilizzo di animali selvatici in contesti che selvatici non sono per niente. Ed è su questo aspetto che passo la parola a Chiara Grasso per un commento. 

Audio disponibile nel video / podcast

Grazie davvero a Chiara Grasso. Se volete conoscerla meglio, vi lascio qualche articolo che abbiamo pubblicato sui suoi progetti su ICC e in particolare vi invito a leggere la recentissima intervista che le ha fatto il nostro direttore Daniel Tarozzi in cui si parla proprio del rapporto con le specie selvatiche, anche quelle che non ci piaccioni, con cui facciamo più difficoltà a provare empatia come ragni e insetti, ma che spesso sono anche fra le più importanti per la resilienza degli ecosistemi.

Per concludere invece su questa vicenda, aggiungo solo in Italia è già stato approvato il principio che nei circhi non dovrebbero essere utilizzati animali. La misura era prevista infatti nella Legge delega sullo spettacolo, che doveva essere convertita in legge entro il 18 maggio di quest’anno. Solo che poi questa conversione in legge è stata prorogata dal decreto milleproroghe per cui adesso c’è tempo fino al 18 agosto 2024. Ma secondo alcune organizzazioni, fra cui LAV, la legge in questione sarebbe già pronta e potrebbe essere approvata domani, se ci fosse la volontà politica. Non so. Visto che questo governo legifera quasi esclusivamente sulla scia di fatti di cronaca chissà che per una volta non si utilizzi la cronaca per fare una cosa sensata.

Tornando a parlare della nostra specie, vi do qualche aggiornamento su due questioni che riguardano i migranti e di cui abbiamo parlato di recente. Una arriva dal Regno unito, dove da ormai oltre un anno va avanti un teatrino che ha al centro la legge, un pelino folle e non proprio rispettodsa dei diritti umani, che prevede di deportare in Ruanda (un paese scelto a caso, solo perché ha un governo disponibile a fare un accordo del genere) i migranti irregolari che arrivano in Uk tramite la manica. 

Dopo che due giorni fa la Corte Suprema del Regno Unito ha dichiarato illegale questo piano, il primo ministro Rishi Sunak ha annunciato che cercherà di attuarlo lo stesso, attraverso un disegno di legge che sarà presentato al parlamento. Non so bene come, visto che lo stesso piano era stato bocciato anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, il tribunale internazionale che nel 2022 aveva bloccato il primo volo che avrebbe dovuto portare alcuni richiedenti asilo dal Regno Unito in Ruanda.

A tal proposito Sunak ha detto: “Non permetterò a un tribunale straniero di bloccare i voli”. Staremo a vedere.

Venendo in Italia invece, la commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson si è espressa sul discusso accordo Italia-Albania che prevede la costruzione di centri per richiedenti asilo italiani in suolo albanese, in cui finirebbero solo persone extracomunitarie soccorse in mare maschi e maggiorenni, che non abbiano messo piede in suolo italiano. Che ha detto? Ha detto che «L’accordo Italia-Albania non viola il diritto comunitario” ma semplicemente “perché ne è al di fuori». L’Albania infatti non fa parte dell’Ue. 

Ma ha aggiunto che tale regolamento è applicabile solo se il soccorso avviene in acque non comunitarie. Cioè, plausibilmente in acque libiche o tunisine. Cosa questo possa comportare è presto per dirlo, ma come nota giustamente Alessandra Ziniti su la Repubblica, Le navi italiane non sconfinano in zona libica dai tempi di Mare Nostrum. Quindi l’accordo non si applicherebbe praticamente mai, stante la situazione attuale.

In chiusura passo la parola al direttore Daniel Tarozzi che ci racconta le notizie più interessanti di oggi uscite su Italia che Cambia

Oggi è venerdì e quindi esce anche la puntata di INMR Sardegna, per cui dio la parola anche a Laura Fois per le consuete anticipazioni.

Audio disponibile nel video / podcast

#glifosato
il Post – La Commissione Europea ha rinnovato l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per altri 10 anni
Internazionale – La Commissione europea rinnova l’autorizzazione del glifosato fino al 2033

#clima
World resource institute – State of Climate Action 2023
The Guardian – World behind on almost every policy required to cut carbon emissions, research finds
Lifegate – Lo Stato di azione per il clima non è buono, secondo il World resources institute
The Guardian – Microplastics found in clouds could affect weather and global temperatures

#immigrazione
il Post – Rishi Sunak contro la Corte europea dei diritti dell’uomo
la Repubblica – Migranti, Bruxelles beffa Roma: “Patto con l’Albania valido solo sui soccorsi in acque extra Ue”

#leone #Ladispoli
la Stampa – L’etologa sul caso del circo di Ladispoli: “Ecco perché il leone ammaestrato preferisce comunque la libertà”
Kodami – Stop agli animali nei circhi, rimandata la legge attuativa

#ChiaraGrasso #etologia
Italia che Cambia – Dagli orsi agli scorpioni, l’etologa Chiara Grasso ci spiega come “amare” gli animali selvatici
Italia che Cambia – Partiamo dall’etologia per sconfiggere la crudeltà verso gli animali
Italia che Cambia – Chiara Grasso: “Il dolore che ho attraversato mi ha spinto ad aiutare le coppie che affrontano gravidanze arcobaleno”
Italia che Cambia – Eticoscienza, per un’etologia applicata alle nuove sfide ambientali
Eticoscienza – home

#lagiornatadICC
Italia che Cambia – Abbiamo incontrato la LIPU: come sta l’avifauna italiana?
Italia che Cambia – Insegnamenti afgani: istantanee da una terra dura e accogliente
Italia che Cambia – Progetto Tiresia: decostruire i ruoli di genere per una società più inclusiva
Italia che Cambia – A Ragusa torna il Maccia Festival: “La Sicilia brucia? Noi la riforesteremo!”
Italia che Cambia – Confcooperative Campania porta il modello educativo integrato a Tre giorni per la scuola
Italia che Cambia – Il patto sull’energia, i sardi a terra e gli interessi sui poligoni – INMR Sardegna #6 

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