1 Giu 2023

I diritti Lgbtq+ stanno diventando una questione geopolitica? – #739

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Mentre Uganda e Russia approvano leggi sempre più restrittive sulla comunità LGBTQ+, la Corea del Sud prova timidamente a muovere i primi passi verso il riconoscimento delle unioni omosessuali. Il mondo sembra sempre più dividersi sulla questione dei diritti civili, ma come mai? Parliamo anche dello stato delle carceri in Italia, con il nuovo report di Antigone, delle dimissioni di Pedro Sanchez in Spagna e infine di un po‘ di notizie climatiche.

Stanno succedendo diverse cose nel mondo sul fronte dei diritti delle persone LGBTQ+, in direzioni diverse. Solo nella giornata di ieri sono arrivate tre notizie. Ve le dico intanto tutte e tre, un po’ riassunte, e poi commentiamo. La prima la riporta Valentina Neri su Lifegate ed è che il presidente dell’Uganda Yoweri Museveni ha firmato una nuova legge contro l’omosessualità considerata una delle più restrittive al mondo, con pene che vanno dalla reclusione all’esecuzione capitale.

La legge contro l’omosessualità era già stata approvata con una schiacciante maggioranza a marzo, ma il presidente Yoweri Museveni aveva preferito non firmarla immediatamente per chiedere alcune modifiche. Rispetto alla prima versione, l’unica differenza sta nel fatto che ora il semplice fatto di identificarsi come Lgbt+ non costituisce reato. Lo diventa nella misura in cui si cerca di avere una relazione con una persona dello stesso sesso: in tal caso, si rischiano dieci anni di carcere. Per i rapporti sessuali si può arrivare addirittura all’ergastolo con le persone detenute che potrebbero essere sottoposte a programmi di “riabilitazione”, mentre è prevista la pena di morte per il reato di omosessualità aggravata, cioè di relazioni omosessuali con persone disabili, bambini, positive al virus dell’Hiv, oppure incoscienti o sotto minaccia. 

Poi ci sono altre pene tipo:

  • il tentato reato di omosessualità aggravata vale 14 anni di carcere
  • Chiunque venga ritenuto colpevole di “promuovere l’omosessualità” rischia fino a vent’anni. 

Sempre ieri al parlamento russo è stato presentato un disegno di legge che, se come è molto probabile verrà approvato, limiterà molto i diritti delle persone trans nel paese. Spiega il Post che la nuova legge introdurrà il divieto di sottoporsi a interventi chirurgici di “riassegnazione del sesso”, come la vaginoplastica o la falloplastica e vieterà le modifiche del nome e del genere sui documenti e negli atti pubblici, impedendo di fatto alle persone che abbiano fatto una transizione di genere di essere riconosciute dallo stato.

Pyotr Tolstoy, vicepresidente della Duma e tra gli autori del testo, ha detto che il disegno di legge serve a «proteggere la Russia con i suoi valori e le sue tradizioni culturali e familiari e a fermare l’infiltrazione dell’ideologia antifamiliare occidentale».

Infine, restiamo sul Post ma ci spostiamo in Corea del Sud, dove è stato presentato il primo disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, che punta a modificare il codice civile per fare in modo che le unioni tra persone omosessuali vengano riconosciute e tutelate dalla legge. 

In questo caso la proposta è stata presentata da un parlamentare di opposizione, ed è improbabile che venga approvata così com’è, ma è considerata un’iniziativa molto importante, anche perché quello dei matrimoni tra persone dello stesso sesso è un tema che nel paese viene affrontato molto di rado pubblicamente.

Al momento in Corea del Sud la legge non riconosce né le unioni né i matrimoni tra persone dello stesso sesso e finora tutti i tentativi di portare in parlamento una legge che affrontasse il tema erano falliti, soprattutto a causa delle pressioni dei movimenti religiosi conservatori. Lo scorso febbraio, tuttavia, un tribunale di Seul aveva riconosciuto i diritti di una coppia omosessuale che aveva fatto causa alla propria compagnia di assicurazione, perché questa si era rifiutata di rimborsare il compagno del beneficiario di una polizza dopo aver scoperto che la coppia era gay. 

Non è chiaro che impatto avranno effettivamente questa sentenza e la proposta di legge, anche perché stando ai risultati di alcuni sondaggi citati dal Korea Herald la maggior parte delle persone sudcoreane è contraria ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Tuttavia il nuovo disegno di legge fa parte di una serie di tre proposte pensate per espandere progressivamente i diritti delle persone della comunità LGBTQ+ e delle famiglie non tradizionali che, anche se non dovessero essere approvate, aumenteranno le pressioni sul governo del presidente conservatore Yoon Suk-yeol, che tra le altre cose sta cercando di gestire una grande crisi demografica nel paese con il tasso di natalità più basso del mondo.

Ecco, fine delle notizie. Che ci dicono queste cose? Al di là dello sgomento in particolare della legge dell’Uganda, ma quello va da sé, la mia sensazione osservando la situazione un po’ più dall’esterno è che per qualche ragione che non ho mai compreso del tutto i diritti delle persone che hanno orientamenti sessuali e identità di genere diversi da maschio/femmina eterosessuale sono finiti al centro di una sorta di enorme questione politica, geopolitica, culturale e sociale che mi pare non abbia niente a che fare con loro. 

Al punto che la Russia probabilmente approverà una legge di questo genere per “tutelarsi dall’aggressione dell’Occidente alla famiglia tradizionale”. E chissà se anche sotto la legge ugandese non ci sia qualcosa del genere, vista la crescente influenza russa in Africa. Mentre al contrario un paese tradizionalmente ostile alle unioni omosessuali muove i suoi primi timidi passi di apertura perché è più vicina al blocco Nato.

Ora, non voglio semplificare né banalizzare la questione che immagino abbia le origini nel fatto che i paesi occidentali, e gli Stati Uniti in particolare, hanno spesso usato la questione dei diritti civili come grimaldello per compiere degli attacchi politici o sobillare proteste che poso avevano a che fare con quei diritti, e anche un po’ col fatto che il nostro sistema socio-economico (il cosiddetto neoliberismo) ha eroso completamente i diritti sociali potenziando quelli civili e individuali (gli unici che si sposano bene con una società di mercato).

Ma premesso questo:

  1. non è che i diritti civili sono contro quelli sociali. È un falso dilemma. Non è che un diritto in più a una coppia di persone omosessuali equivale a un diritto in meno di un lavoratore, un’anziana, un malato. Credo che abbiamo estremo bisogno di entrambi, per dire di vivere in una società di cui andare fieri
  2. il fatto che questi diritti siano stati strumentalizzati spesso, non li rende dal mio punto di vista meno sacrosanti e importanti. È importante distinguere i fatti da come vengono utilizzati. È lo stesso meccanismo che porta alcuni a dire che siccome c’è un sacco di gente che specula sulla transizione ecologica e sulla green economy allora il cambiamento climatico non esiste. È essenziale iniziare a rragionare bene e distinguere le cose.

Come ogni anno l’associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, ha pubblicato un rapporto sulla condizione delle carceri italiane. Ne parlano diversi giornali fra cui la Repubblica, il Post, il Corriere. 

Il dato principale che emerge da rapporto è il sovraffollamento: a fronte di una capienza ufficiale di 51.249 posti (con fra l’altro 3.646 posti non disponibili, quindi in realtà i posti effettivi sono 47.600), al 30 aprile erano detenute 56.674 persone, in aumento del 3,8 per cento rispetto all’anno scorso.

Un tasso di occupazione che, conteggiando anche i posti non disponibili, è del 119 per cento. Il rapporto poi mette a confronto le regioni, con le peggiori che sono Lombardia (151,8 per cento), Puglia (145,7 per cento) e Friuli Venezia Giulia (135,9 per cento). 

Altri dati interessanti:

  • sul sovraffollamento pesa la custodia cautelare, per il 26,6%, dato in calo ma comunque più alto della media europea. In Italia si fa un ricorso abbastanza generoso alla custodia cautelare. 
  • Sono in aumento invece le pene di breve durata, sintomo forse, dice il rapporto, di un ricorso generoso al carcere in generale. Le persone in carcere con una condanna fino ad un anno sono passate dal 3,1 per cento del totale del 2021 al 3,7 per cento del 2022, mentre quelle con una condanna fino a tre anni dal 19,1 per cento al 20,3 per cento. 

Poi c’è il dato sui suicidi, che è il più allarmante. Il 2022 è stato l’anno con più suicidi in carcere di sempre. Si erano uccise in carcere 85 persone. L’età media era di 40 anni. La persona più giovane era un ragazzo di 20 anni, la più anziana un signore di 71 anni. La maggior parte di queste persone si era uccisa nei primi sei mesi di detenzione (21 persone si erano uccise nei primi tre mesi, 16 nei primi dieci giorni e 10 addirittura entro le prime 24 ore dall’arrivo in carcere). 

Il rapporto rileva anche una serie di problemi strutturali delle carceri, giudicate vecchie, anguste e in alcuni casi prive dei minimi servizi per rendere la vita al loro interno accettabile. Il rapporto, e gli articoli che ne parlano, riportano poi altri dati sui carceri, ad esempio sul tipo di reato e sulla provenienza dei carcerati. Non sto qui a commentarvi tutto, ma insomma, il quadro mi sembra abbastanza chiaro. In particolare mi ha colpito il dato sul sovraffollamento e quello sui suicidi. In questi casi si cita sempre la famosa frase di Voltaire, secondo cui “Il grado di civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri”. Io non lo so se è vero, ma di certo il fatto di privare qualcuno della sua libertà, che è una delle cose più preziose che abbiamo, dovrebbe essere controbilanciato da una cura e un’attenzione fuori dal comune. E su questo, ahimè, c’è ancora tanta strada da fare.

Torniamo a parlare delle dimissioni di Pedro Sanchez in Spagna. Non perché ci siano delle novità particolari, ma perché una collega giornalista, che ha scritto e scrive anche per Italia che Cambia, Francesca Nicastro, che ringrazio, ha indagato sulle dimissioni di Sanchez per capire da dove hanno origine e rispondere sostanzialmente alle domande che ci ponevamo nella puntata di ieri. E lo ha chiesto a Ignasi Muñoz – giornalista spagnolo che lavora nell’ufficio stampa del partito Esquerra Unida del País Valencià.

Che in pratica le ha spiegato che l’usanza di dimettersi  fa parte della cultura politica spagnola in maniera molto radicata Vi leggo le sue risposte: “Sempre quando c’è una sconfitta, la sera stessa delle elezioni, la prima richiesta è che i leader si dimettano. Se non si dimettono, finiscono per essere costretti dal loro stesso partito a farlo. Qui è come una liturgia. Sconfitta elettorale – dimissioni del leader e della sua squadra – guerra totale nel partito – Pax precaria dopo una lotta feroce e, soprattutto, lunga.

È così che vanno le cose. È una tradizione da decenni. La verità è che non sapevo nemmeno io che si trattasse di una peculiarità spagnola. Ora che me l’ha fatto notare, vedo che hai ragione. 

Ignaci poi dice la sua a Francesca sulle motivazioni della vittoria del centrodestra: “In Spagna è successo che la destra è riuscita a imporre il suo discorso sulla realtà, la sua storia apocalittica su una situazione sociale ed economica relativamente positiva e su una buona gestione, sia nei governi comunali, regionali e centrali. La sinistra non è riuscita a vendere tutto questo e ha continuato a discutere su questioni minori. Podemos e gli altri partiti di sinistra sono stati impegnati a discutere sulla leadership e sono riusciti a impedire al loro elettorato di mobilitarsi, finendo per astenersi”.

Chiudiamo con due notizie climatiche. La prima la riporta Greenreport ed è che la situazione delle inondazioni in Somalia si sta aggravando ancora di più. Una decina di giorni fa parlavamo di circa 245mila sfollati, oggi sono 400mila. Tutto ciò dopo 5 anni di siccità devastante. 

I partner umanitari prevedono ora che, se le forti piogge dovessero continuare in Somalia e sugli altopiani etiopici per tutta la stagione in corso, le inondazioni improvvise e fluviali potrebbero colpire fino a 1,6 milioni di persone.

La seconda è invece raccontata da Rinnovabili.it che spiega come uno scienziato del clima abbia recentemente ipotizzato che per via del calo dell’inquinamento il clima potrebbe scaldarsi più velocemente.

Quello che sembra un controsenso è in realtà un effetto già studiato e conosciuto, si chiama effetto aerosol, ma la cosa che sorprende nella stima di James Hansen, scienziato della Nasa e uno dei maggiori climatologi al mondo, sono le dimensioni di questo fenomeno. Comunque partiamo da spiegare questo apparente controsenso. 

In pratica le particelle inquinanti, il particolato, le scie di condensa degli aerei, un sacco di emissioni nocive causate dalle attività degli esseri umani, che nel medio lungo periodo hanno un effetto devastante per gli ecosistemi terrestri, nel breve periodo hanno la capacità di riflettere una piccola parte della radiazione solare, riducendo il calore dell’atmosfera. Ridurre quelle emissioni è ovviamente necessario, ma nel brevissimo periodo avrà un effetto di accelerazione del cambiamento climatico.

Il risultato di ciò, secondo questo recente studio ancora in fase di revisione, sarebbe un riscaldamento di 2 gradi in più rispetto all’epoca pre-industriale già entro il 2050. Molto prima rispetto a tutte le previsioni più accreditate. 

Ora, ovviamente si tratta di un’ipotesi, che per altro non viene ritenuta abbastanza convincente e solida da una parte della comunità scientifica. Ma vista la fonte è una roba che comunque dobbiamo considerare. 

Sul clima però c’è anche una notizia discretamente buona. Ovvero che un articolo scientifico pubblicato una settimana fa su The Climate Brick mostra come nell’ultimo decennio le emissioni globali si siano distaccate dallo scenario peggiore e stiano seguendo una curva più bassa. 

Vi spiego meglio sennò è difficile capire. Saprete forse che esistono vari scenari climatici, che a seconda delle emissioni di CO2, altri gas e aerosol che continuiamo a fare prevedono un certo livello di riscaldamento globale. Ecco, fino al 2010 le emissioni globali stavano seguendo lo scenario peggiore, che era quello chiamato 8.5, il peggiore, il più devastante. Da allora però la cuva delle emissioni globali si è abbastanza appiattita e adesso sembra seguire lo scenario 4.5, uno scenario intermedio. 

Chiariamoci: lo scenario 4.5 è comunque una roba catastrofica, non è che adesso va tutto bene. Il punto positivo però che possiamo cogliere è che siamo riusciti a scalare di due livelli. Che è una roba interessante. Perché dobbiamo ancora scendere di parecchio, ma sappiamo che si può fare.

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