29 Mar 2023

Il Ramadan diventa plastic free e senza usa e getta – #699

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La scorsa settimana è iniziato il Ramadan per centinaia di milioni di musulmani in tutto il mondo ma forse questo sarà un Ramadan diverso, almeno in parte: plastic free e senza usa e getta. Parliamo anche della crisi della Tunisia, della Cina che accelera sulle rinnovabili, del nuovo premier scozzese e di un po’ di segnalazioni in chiusura, fra cui la soluzione di trova il bias di ieri. Chissà se avremo un vincitore o una vincitrice.

La scorsa settimana per milioni di musulmani è iniziato il Ramadan, il mese sacro dedicato al digiuno. Quest’anno però, segno forse dei tempi che cambiano, il Ramadan potrebbe essere un po’ diverso, diciamo più sostenibile grazie a una campagna partita fdal Dal Regno Unito e che sta diffondendosi in diversi paesi del mondo. L’obiettivo è quello di evitare di produrre rifiuti di plastica, cosa che è una triste consuetudine durante la ricorrenza, negli ultimi anni.

Rosita Cipolla su GreenMe spiega il motivo dei tanti rifiuti prodotti. In pratica, come forse saprete, l’obbligo di digiuno per i musulmani osservanti durante il Ramadan viene rispettato nelle ore che vanno dall’alba al tramonto. Dopo il tramonto, come da tradizione i fedeli si riuniscono nelle moschee per cenare insieme.

Ed è qui che negli ultimi decenni hanno iniziato a comparire sempre più numerose bottigliette di plastica monouso, oltre che piatti e posate usa e getta. Una pratica che come sappiamo è molto insostenibile.

Così, per combattere l’inquinamento da plastica il Bristol Muslim Strategic Leadership Group e il Muslim Council of Britain stanno invitando tutti i fedeli ad aderire all’iniziativa Projects Against Plastic (PAP), lanciata sui social con l’hashtag #PlasticFreeRamadan. Che sichiama così, forse perché Plastic free è uno slogan che funziona molto, ma che è interessante perché non sponsorizza prodotti sempre usa e getta realizzati con materiali sostitutivi della plastica (soluzioni che come abbiamo visto spesso qui su INMR non funzionano granché) ma chiede di portarsi le borracce, le posate e i piatti da casa. 

Solo nel territorio britannico ogni anno si gettano solo per via del Ramadam 1,5 milioni di bottigliette e 1 milione di posate di plastica. All’iniziativa stanno aderendo diverse comunità islamiche, fra cui il Akram Jomaa Islamic Centre di Alberta (Canada) e anche alcune comunità musulmane presenti in Italia. Fra queste il Centro culturale islamico di Saronno (provincia di Varese), che sui suoi canali social scrive:

“Questo Ramadan scegli di essere eco-friendly e porta la tua borraccia in moschea. Con il nostro distributore d’acqua potabile puoi facilmente riempirla e ridurre l’uso della plastica. Contribuisci a proteggere il nostro pianeta e fai la tua parte per un ambiente più sostenibile”.

Molto bene, direi!

Intanto preoccupa la situazione in Tunisia. Dico preoccupa genericamente perché preoccupa attori diversi per motivi diversi. Il paese è sull’orlo del baratro economico e sociale, è governato da un presidente xenofobo che però viene appoggiato dai governi europei perché mette un freno (fa da filtro) all’imigrazione delle popolazioni subsahariane, in più è sotto lo scacco del FMI che chiede riforme sanguinarie per concedere un prestito. 

Un articolo su Nigrizia riporta come in Europa sia scattato “l’allarme rosso” per la questione migranti. Josep Borrell, il capo della diplomazia di Bruxelles, dopo una riunione dei ministri degli esteri Ue ha detto: «La situazione in Tunisia è molto pericolosa. Se il paese crolla, rischia di causare esodi migratori verso l’Unione europea». 

Della situazione del paese abbiamo già parlato in passato qui, ma proviamo a riepilogare. Dal punto di vista economico il paese maghrebino vive un violento impoverimento, con le casse statali vuote. Il rischio default è un’ipotesi per nulla remota e il Fondo monetario internazionale ha promesso un finanziamento di 1,9 miliardi di dollari.

Ma per sbloccarlo Tunisi dovrebbe accettare una politica di austerity e di riforme economiche sanguinose, che rischiano di incendiare ancora di più il malessere popolare. Per cui il governo tergiversa. 

Dal punto di vista sociale, il paese sembra piuttosto allo sbando. Le ultime elezioni sono andate quasi deserte, ha votato circa l’11% della popolazione, sintomo del definitivo tramonto di quella speranza di democrazia che aveva animato la primavera araba. 

Dal punto di vista politico, leggo sull’articolo di Nigrizia, “Il presidente tunisino,  Kais Saied, è un panarabista conservatore che in 3 anni e mezzo di iperpresidenzialismo ha liquidato governi, parlamento, partiti politici, Costituzione e magistratura. 

Ha avviato una sistematica repressione del dissenso e ha indirettamente lanciato una brutale campagna xenofoba contro gli africani subsahariani. Campagna così violenta da aver scatenato la caccia ai migranti e costretto paesi di provenienza, come Costa d’Avorio e Guinea, al rimpatrio d’urgenza dei propri cittadini.

Il 21 febbraio Saied ha pronunciato un discorso nel quale ha abbracciato la teoria della grande sostituzione, una teoria cospirazionista fin qui diffusa soprattutto fra gli ambienti di estrema destra dei paesi occidentali. A suo avviso «orde illegali di migranti dell’Africa subsahariana rischiano di cambiare la composizione demografica della Tunisia per farlo un altro stato africano, escludendolo dal mondo arabo e islamico».

Questa è la situazione. In questo contesto, l’Europa sembra aver preso una posizione che però non ha niente a che fare, ad esempio, con la questione etica delle migrazioni, degli esseri umani discriminati in Tunisia, ma solo con quella economica. Nonostante ci sia un diffuso terrore di quello che un default della Tunisia potrebbe provocare dal punto di vista del flusso dei migranti, come ha detto ancora Borrell, «L’Unione europea non può aiutare un paese che non riesce a firmare un accordo con il Fondo monetario».

Una presa di posizione da cui il governo italiano si dissocia, anche qui per questioni meramente di comodo. L’Italia sembrerebbe pronta a un sostegno incondizionato anche economico al governo tunisino, per paura dell’intensificarsi della rotta tunisina, che già oggi è di proporzioni maggiori rispetto a quella libica.

Il nostro governo ripropone la solita ricetta: finanziare l’autocrate di turno nella speranza che contenga le partenze. È già successo con Gheddafi. Succede con Erdogan. Ora si tenta con Kais Saied.

Anzi, in parte questa cosa sta già succedendo. Dal 2011 a oggi, Roma ha speso 47 milioni di euro, 15 negli ultimi due anni, per rafforzare la guardia costiera tunisina. Mentre poco o niente è stato fatto per spingere Tunisi a colmare le lacune del suo sistema di accoglienza, dove la legge sull’asilo è rimasta solo un’ipotesi.

Insomma, ancora una volta le politiche economiche e di contenimento dei flussi migratori, i braccio di ferro fra Roma e Bruxelles, si giocano in barba ai diritti umani. So che sembra un po’ un discorso facile e demagogico, e magari lo è anche. Ma è anche vero.

Spostiamoci in Cina, dove – apprendo da Rinnovabili.it – c’è stato un passo in avanti interessante sul fronte delle rinnovabili. In pratica la National Energy Administration (l’agenzia governativa sull’energia) ha diffuso il “Piano per la realizzazione di contee pilota per la rivoluzione energetica rurale“, ovvero il nuovo programma per accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili a livello locale. 

Secondo il programma, i dipartimenti governativi a livello provinciale dovranno identificare delle “contee pilota” rurali per la costruzione di progetti di energia rinnovabile e presentare i proprio Piano di sviluppo all’agenzia per la valutazione e l’approvazione entro la fine di maggio di quest’anno. Fra due mesi in pratica.

Successivamente la National Energy Administration valuterà i singoli piani di “rivoluzione energetica rurale” e selezionerà quelli che potranno passare alla pratica. Secondo quanto riporta oggi l’agenzia di stampa Reuters, lo schema propone un obiettivo al 2025 di oltre il 30% di rinnovabili nel consumo totale di energia primaria. O di oltre il 60% facendo riferimento solo alla nuova capacità installata. Il documento invita anche le autorità locali a “deregolamentare” le proprie industrie di energia rinnovabile.

Ora, questa cosa come abbiamo visto nella puntata speciale di INMR+ sulla Cina potrebbe avere anche ripercussioni dubbie o persino negative.Ad esempio, che vuol dire deregolamentare le industrie di energia rinnovabile? Vuol dire ad esempio cacciare dai crinali di una montagna i pastori che la abitavano da decenni per lasciar spazio a distese di pannelli solari, come avvenuto in occasione delle olimpiadi invernali?

Insomma, immagino scenari pieni di contraddizioni, come lo sono d’altronde tutti quelli in cui si prova ancora a tenere insieme crescita economica e transizione ecologica. Tuttavia, e con tutti i ma e i se del caso, direi che possiamo provare a prendere questa notizia con un moderato e cauto ottimismo. 

Lunedì Humza Yousaf è stato eletto nuovo leader del Partito Nazionale Scozzese (SNP), e ieri sera è diventato il nuovo primo ministro della Scozia al posto di Nicola Sturgeon, che a inizio febbraio aveva annunciato le proprie dimissioni da prima ministra e contemporaneamente da leader del partito. 

Un articolo del Post racconta la storia e traccia il profilo del nuovo premier scozzese. Humza Yousaf è molto giovane per il suo ruolo, ha 37 anni ed è nato a Glasgow da padre pakistano e madre kenyana.

È nato da una famiglia mediamente povera, ma ha studiato all’università. Ha fatto diversi lavori, fra cui uno in un call center. È un fervente indipendentista, come la sua predecessora, e un fervente musulmano: è stato anche presidente dell’Associazione degli studenti musulmani della sua università, ma ha detto esplicitamente che questo non gli impedirà di governare secondo principi di giustizia ed equità, verso tutti. È il primo premier musulmano del paese.

Interessante il suo ingresso in politica: Yousaf dice che decise di entrare a far parte dell’SNP (il suo partito) nel 2005 dopo aver ascoltato l’allora leader del partito Alex Salmond che si era espresso contro la guerra in Iraq: quel discorso lo convinse che l’indipendenza sarebbe stata l’unico modo per la Scozia di evitare di prendere parte al conflitto.

La sua ascesa nel partito è stata molto rapida e devo dire che è indice anche di una mobilità politica molto alta (e probabilmente anche sociale): dopo aver lavorato nel call center, Yousaf è diventato assistente parlamentare di Bashir Ahmad, la prima persona musulmana eletta al parlamento scozzese nel 2007. Ahmad morì di infarto due anni dopo e Yousaf continuò a lavorare come assistente parlamentare per Alex Salmond e Nicola Sturgeon occupandosi anche di comunicazione all’interno del partito.

Yousaf è considerato politicamente molto vicino alle posizioni di Sturgeon, in particolare sul tema dell’indipendentismo. E ha anticipato che l’indipendenza rimane il suo principale obiettivo. Non è chiaro però quale potrebbe essere la strategia del partito per ottenerla. Il primo atto da nuovo leader dell’SNP di Humza Yousaf è stato quello di inviare una lettera al primo ministro britannico Rishi Sunak chiedendo l’attivazione della clausola prevista dall’articolo 30 dello Scotland Act del 1998 – la legge con cui venne creato un governo regionale scozzese – che prevede una temporanea cessione di sovranità dal parlamento britannico a quello scozzese. 

È la stessa clausola che venne attivata per permettere il referendum sull’indipendenza del 2014. Sturgeon ci aveva già riprovato, senza successo, nel 2017 e di nuovo nel 2019. Il governo del Regno Unito ha già chiarito che la risposta di Sunak a Yousaf non sarà differente da quella data a Sturgeon, e Yousaf ha dichiarato dunque che il movimento indipendentista non dovrà rimanere bloccato nelle procedure, ma riattivare concretamente la campagna a favore dell’indipendenza cercando di conquistare gli indecisi o coloro che hanno dichiarato di non voler votare.

Curiosità, che non so se vuol dire qualcosa oppure è un caso: ma il premier britannico è di origini indiane e di religione induista (anche lui il primo uomo di origini asiatiche e di religione induista ad essere premier in Inghilterra). Insomma abbiamo per la prima volta, in contemporanea, due persone di origine asiatica (fra l’altro Yousaf ha il padre pakistano e la madre, anche se Kenyana, ha vissuto buona parte della sua vita in India, dalla quale è fuggita per via delle repressioni e discriminazioni etniche e religiose ricevute negli anni Settanta) di religione diversa da quella cristiana/protestante alla guida di due paesi della GB.

È uscita la nuova puntata di A tu per tu, è uscita ieri ma ve la segnalo oggi in ritardo. Allora so che lo dico sempre, ma davvero questa puntata è imperdibile. Daniel Tarozzi ci accompagna in un viaggio nel clima e nel meteo. Si parla di maltempo, nubifragi, siccità, di fenomeni “estremi” che sono ormai sempre più frequenti, si parla di quello che dobbiamo ormai accettare come nuova normalità climatica e a cui dobbiamo adattarci (e come farlo) e a cosa invece possiamo ancora fare per evitare il peggio. Tutto ciò grazie al contributo di sìdue super esperti in materia, Filippo Thiery, meterologo di Geo, e Cristiano Bottone, divulgatore e ideatore del servizio “Attenti al meteo”.

“Dopo la Francia che si batte contro la riforma delle pensioni imposta da Macron anche in Germania nella giornata di ieri c’è stato un mega sciopero di 24 ore (il più grande degli ultimi 30 anni) nel settore dei trasporti. 230 mila i dipendenti di aeroporti, ferrovie, trasporti marittimi, compagnie autostradali, trasporti locali interessati dall’astensione. I sindacati EVG e Ver.di chiedono un aumento salariale superiore al 10% contro l’inflazione all’8,7%. (Fonte: La fionda)

Lunedì in tarda serata è morto uno dei più grandi giornalisti italiani, Gianni Minà. È morto all’età di 84 anni, e la sua vita è costellata di incontri incredibili e aneddoti quasi surreali, come quando portò a cena fuori a Roma Gabriel Garcia Marquez, Robert de Niro, Sergio leone e Muhammed Ali da Checco Er Carettiere. O il suo incontro con i Beatles così come con tutte le icone culturali e politiche del secolo scorso. Vi lascio sotto FONTI E ARTICOLI  alcuni pezzi per scoprire qualcosa in più su di lui. (Fonte: varie)

C’è stata una strage, l’ennesima, in una scuola americana. Una donna di 28 anni ha fatto irruzione in una scuola elementare cristiana che lei stessa aveva frequentato da bambina armata di due fucili d’assalto e una pistola mentre 200 studenti seguivano le lezioni, uccidento 6 èpersone di cui 3 bambini. Un fatto che risolleva nuovamente la tematica dell’accesso facile alle armi negli Usa.

Nel Regno Unito , nella giornata di domenica 26 marzo, si è verificata una perdita in un oleodotto gestito dalla società anglo-francese Perenco. Come risultato, circa 200 barili di acqua mista a petrolio si sono riversati nelle acque di Poole Harbour, nel Dorset, nella costa sud dell’Inghilterra. Le autorità hanno dichiarato che si tratta di un grave incidente, cioè di “un evento o una situazione con una serie di gravi conseguenze che richiedono l’adozione di disposizioni speciali da parte di una o più agenzie di pronto intervento”. Ancora non si conoscono comunque ne l’entità esatta della perdita e del danno ambientale, né le sue conseguenze. (Fonte: BBC)

Segnalo anche l’inchiesta molto interessante di Oliver Milman sul Guardian, dal titolo “Exxon in classe: come i soldi delle compagnie petrolifere influenzano le università americane” in cui gli studenti di Princeton descrivono il disagio per il fatto che un dipendente della Exxon abbia un ufficio nel campus, e decine di altre università hanno legami con le grandi compagnie petrolifere. (Fonte: Guardian)

Segnalo l’articolo molto interessante di Josephine Condelli su Valori che parla del rapporto sempre più stretto e a tratti problematico fra giornalismo e Intelligenza artificiale. Un rapporto che ci porta a farci delle domande anche su che cosa sia vero e su quali strumenti abbiamo per riconoscerlo. (Fonte: Valori)

Va bene, concludiamo con la soluzione di trova il bias di ieri. Mi avete risposto in tante e tanti. La risposta più gettonata è stata il bias dell’ancoraggio, alcuni hanno detto confirmation bias, altri ancora bias dei dettagli seduttivi. Ora, premesso che come tutte le classificazioni, anche quella dei Bias non sempre aderisce perfettamente alla realtà, e quindi possiamo interpretare una cosa nell’uno o nell’altro senso, vale la regola di ogni gioco: l’insindacabile giudizio della giuria. Che in questo caso cono io. E quindi a mio insindacabile giudizio, si trattava invece del bias del cherry picking, letteralmente raccogliere ciliegie. Un bias in cui si prendono solo alcuni elementi specifici all’interno di una sequenza più ampia di dati e si traggono delle conclusioni generali a partire da quel numero limitato di dati, scelti deliberatamente. Uno dei casi più famosi di cherry picking è quello usato dai negazionisti climatici, che mostrano l’andamento delle temperature nell’unica finestra in cui sembrano restare stazionarie, ovvero dal 1998 al 2012 (ma solo perché il 98 fu molto caldo e il 2012 molto freddo rispetto al trend generale).

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