16 Nov 2023

Il segreto del successo di Donald Trump – #832

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Cosa c’è dietro al successo di Trump che negli Usa sembra aver già vinto le primarie prima ancora che inizino? E come mai l’amministrazione americana sta facendo colloqui con quella cinese e segretamente anche con quella russa? E ancora, come vanno le cose a Gaza? E infine, lo sapete che la Corte suprema inglese ha respinto definitivamente il piano di deportazione degli immigrati illegali in Ruanda? Parliamo di tutto questo fra poco.

A gennaio inizieranno le primarie del partito repubblicano negli Usa, solo che almeno stando ai sondaggi non sembra che ci sarà storia. Sappiamo bene che i sondaggi spesso non sono attendibili, ma i numeri sono imbarazzanti. Trump sembra avere da solo più dei consensi di tutti gli altri candidati messi assieme, compreso l’attuale governatore della Florida Ron De Santis che doveva essere il vero sfidante, ma che sembra essere poco più di una comparsa, nella gara che porterà verso le presidenziali del 2024.

Ma come è possibile? Trump negli ultimi mesi è stato incriminato varie volte, incarcerato., accusato di aver provato a truccare le elezioni, di aver molestato donne e sottratto documenti classificati. Pochi giorni fa, il 6 novembre, ultima vicenda del lungo elenco, ha testimoniato in un tribunale di New York, negli Stati Uniti, su un’accusa per frode che rischia di mandare in rovina il suo impero immobiliare. Eppure niente sembra scalfire il suo consenso, anzi, ogni cosa nelle sue mani sembra trasformarsi in un potentissimo strumento di campagna elettorale, ogni azione che potenzialmente potrebbe danneggiarlo lo rafforza.

I giornalisti del Guardian sono andati in South Carolina, uno stato del sud tradizionalmente conservatore, e hanno cercato di rispondere a queste domande, hanno intervistato decine di sostenitori di Trump, così come di repubblicani che invece non lo supportano (o sopportano) per capire meglio questo fenomeno. Il risultato è un video reportage di circa 15 minuti che Internazionale ha sottotitolato in italiano. Molto interessante, perché ci permette di capire meglio il trumpismo e i suoi effetti.

Ve ne raccomando la visione, ma provo comunque a farvi un po’ un riassunto dei punti principali, del quadro che emerge. La sensazione è che il partito repubblicano non esista più. O perlomeno esiste, ma in forma minoritaria. Il partito principale di destra adeso è il partito di Trump. Lo chiamano così i suoi sostenitori, che chiedono fra l’altro che gli altri candidati alle primarie si ritirino e facciano fronte compatto per Trump, che è l’unico legittimo candidato e Presidente.

Chiunque non sia allineato alla visione di Trump è chiamato un Rino, ovvero Republican in name only. In alcuni paesi della South Carolina i circoli repubblicani locali si sono proprio formalmente scissi, con quelli più moderati che hanno abbandonato il gruppo perché non volevano seguire quello che è a tutti gli effetti diventato un culto della persona. 

Nei circoli locali pro Trump circolano idee estreme, cospirazioniste, a volte legate a Qanon e dintorni. Il presidente di uno di questi circoli dice candidamente al giornalista che lui appoggia l’idea della pena di morte per le donne che abortiscono, e quando il giornalista gli fa notare che è una roba da stato autoritario, non fa una piega e continua ad affermare che Trump è l’unico che avrebbe il coraggio di portare avanti una riforma di questo genere. 

Cosa che ovviamente – spero di non essere smentito – non è vera, nel senso che è troppo estrema anche per un Trump, ma questo non sembra interessare ai sostenitori. Così come non gli interessano le accuse, i processi, le incriminazioni. Quando il giornalista chiede, la risposta tira sempre in ballo il fatto che l’establishment lo vuole far fuori dai giochi. Nessuno ha letto i capi d’accusa, a nessuno interessa, perché tutti si fidano ciecamente di Trump. Una attivista lo paragona persino a Gandhi e Martin Luther King, e lo fa in maniera paradossale stringendo con orgoglio un fucile in mano.

Comunque, l’aspetto che colpisce di più del video è l’assoluto culto della personalità di Trump, che non ha più niente di razionale. Ai raduni vanno a ruba tutti i gadget con la foto di Trump carcerato. Ognuno proietta su quest’uomo le sue speranze, le sue idee, le sue convinzioni, ed è convinto che Trump le realizzerà. Su cosa ci possa essere dietro a questo fenomeno di massa, mi sono fatto qualche idea, ma ne parliamo dopo.

L’altro aspetto che mi ha colpito, è la spaccatura radicale non solo nella società americana fra democratici e repubblicani, quello me lo aspettavo, ma anche fra i repubblicani stessi. C’è l’ala più moderata e democratica, e poi c’è appunto questo partito per Trump, che mi è sembrato quasi una specie di esercito fedele al suo comandante, più che la base di un partito di un paese democratico.

Ora, le motivazioni che stanno dietro a questa situazione: l’articolo non le affronte, e ovviamente sono molte e molto complesse. Ma credo che dietro ci sia uno smarrimento un po’ identitario. Mi ha colpito un passaggio dell’editoriale dell’ultimo numero di Limes, che analizza il ruolo delle grandi potenze economico-militari mondiali. 

“La guerra totale, se sarà, deriverà dall’implosione dei Grandi. Vittime di sé stessi, non di maligni complotti altrui né di aggressione nemica. Incapaci di gestire un mondo troppo largo da comprimere in una sola equazione. 

Vale anzitutto per il Numero Uno. La tempesta che scuote le fondamenta degli Stati Uniti d’America è figlia del Washington Consensus. Dell’ideologia e della prassi neoliberiste che hanno declassato la classe media, anima della way of life. Così delegittimando le istituzioni. L’America è stretta fra due follie. La tentazione di scaricare la sua crisi sul pericolo creduto mortale, Cina, e sul suo non brillante secondo, Russia, scatenando il proprio formi­dabile apparato militare. E l’impossibilità di farlo senza rischiare la rivo­luzione a casa propria”.

Le politiche interne degli Usa, unite alla situazione globale sempre più difficile da leggere e gestire, alimentano, immagino, una crisi d’identità alla quale si cerca rimedio nel culto di un personaggio che promette di far tornare il paese agli antichi fasti, promette un mondo semplice, dove ci sono i buoni e i cattivi, e da cui ci si aspettano cose quasi sovrumane, e in maniera del tutto irrazionale. Questo distacco dalla realtà, fra l’altro, questa estremizzazione, si vede in maniera diametralmente opposta anche negli ambienti più progressisti, dove ad esempio, il sacrosanto rispetto e tutela delle diversità sta sfociando in una specie di ideologia (cosiddetta woke) che paralizza la ricerca ed è altrettanto distaccata dalla realtà.

Comunque, restando più o meno in tema, sembra è arrivato un segnale distensivo nei rapporti fra i governi di Cina e Usa. Ieri il presidente cinese Xi Jinping è volato in California per incontrare Joe Biden nel primo incontro faccia a faccia tra i due leader in un anno. Incontro che è stato presentato dai funzionari statunitensi come un’opportunità per ridurre gli attriti in quella che molti considerano la rivalità più pericolosa del mondo. E in cui si è parlato molto di clima. Leggo sul Guardian che “Cina e Stati Uniti si sono impegnati a collaborare più strettamente per combattere il riscaldamento globale, dichiarando la crisi climatica “una delle più grandi sfide del nostro tempo”.

L’annuncio alimenta ulteriormente le speranze che le due nazioni possano ricucire le relazioni dopo anni di turbolenze su questioni quali il commercio, i diritti umani e il futuro di Taiwan.

Ancora: “Gli Stati Uniti e la Cina riconoscono che la crisi climatica ha colpito sempre di più i Paesi di tutto il mondo”, si legge nella dichiarazione. “Lavoreranno insieme… per affrontare una delle più grandi sfide del nostro tempo per le generazioni presenti e future dell’umanità”. Oltre all’accordo sul clima pubblicato martedì, Pechino e Washington dovrebbero raggiungere un accordo sul controllo del flusso di fentanyl dalla Cina agli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti sperano anche di riaprire i dialoghi militari, che sono stati in gran parte congelati dopo la visita di Nancy Pelosi, l’allora presidente della Camera dei Rappresentanti, a Taiwan lo scorso anno. Taiwan che è stato un altro oggetto del colloquio. Il faccia a faccia si svolgerà oggi, quindi magari domani commenteremo i risultati.

Comunque, questi incontri non sono particolarmente importanti per quello che viene detto o deciso, ma per il fatto di esserci. Sono segnali diplomatici. Prima del vertice, i media statali cinesi hanno adottato un tono più caldo nei confronti degli Stati Uniti. Il quotidiano ufficiale del Partito Comunista, il Quotidiano del Popolo, ha dichiarato nella sua edizione estera che: “Il popolo cinese non dimenticherà mai un vecchio amico, e questo è un messaggio importante che vogliamo inviare al popolo americano”. Il quotidiano Global Times, spesso conflittuale, ha invitato i due Paesi a cooperare.

Una delle caratteristiche più rilevanti della dichiarazione sul clima è che entrambi i Paesi si impegneranno a fornire contributi nazionali determinati “a livello economico” (NDC) per tutti i gas serra, non solo per la CO2. In passato la Cina ha resistito all’idea di specificare quali parti dell’economia sarebbero state coperte dai suoi impegni climatici. 

Nel frattempo, ne approfitto per darvi una notizia che mi era sfuggita, alcune inchieste di giornali americani hanno rivelato che da luglio vanno avanti dei colloqui segreti gra funzionari americani e russi, sarebbe coinvolto anche Lavrov, per capire come uscire dal pantano ucraino. Colloqui in cui, se ho capito bene, nessun ucraino è tuttavia stato invitato.

Facciamo un breve breve aggiornamento anche sulla situazione a Gaza. Ieri l’esercito israeliano ha annunciato di aver fatto saltare in aria il palazzo del parlamento di Hamas a Gaza, conquistato nei giorni scorsi. Lo ha riferito il sito Ynet.

Esercito israeliano che è anche entrato nell’ospedale Al Shifa, il più grande della Striscia di Gaza, per un’operazione “mirata” contro Hamas. Solo che nell’ospedale ci sono migliaia di persone tra pazienti, medici, infermieri e sfollati.

Come riporta un comunicato di Afp, I soldati israeliani hanno interrogato alcune persone presenti nell’ospedale, compresi pazienti e medici, mentre i carri armati e i veicoli corazzati hanno circondato la struttura. Non arrivano notizie dall’interno dell’ospedale, ma c’è chi teme, comprensibilmente, un ennesimo massacro di civili.

Spostiamoci infine nel Regno Unito, dove la Corte suprema ha ufficialmente messo la parola fine sul folle piano di spostare (deportare?) i migranti irregolari in Ruanda. Leggo su la : “La Corte Suprema britannica ha giudicato illegale il controverso programma per migranti e richiedenti asilo giudicati “irregolari” da Londra e che prevede la loro deportazione in Ruanda. Secondo i giudici, il governo di Rishi Sunak e il Ministero dell’Interno non sono riusciti a dimostrare che il Ruanda è un “Paese terzo” sicuro per espellere i migranti sbarcati irregolarmente dalla Manica; che rispetterà gli accordi con il Regno Unito; e che lo stato africano non rispedirà indietro quei richiedenti asilo “a rischio”, ossia in Paesi di origine dove potrebbero subire violenze”.

Un articolo di Ansa spiega meglio l’accaduto. Il punto, secondo i cinque supremi giudici che all’unanimità hanno respinto il ricorso presentato dal ministero dell’Interno e confermato il precedente verdetto della Corte d’Appello di Londra, il Ruanda non può essere considerato un Paese terzo sicuro. E’ infatti possibile che le autorità di Kigali rimandino i migranti nel loro Paese d’origine da cui erano fuggiti: in questo modo il controverso piano viola le leggi sui diritti umani lasciando potenzialmente le persone inviate in Ruanda esposte a rischi.

Come al solito concludiamo con la rubrica “La giornata di Italia che Cambia”. Questa volta è Francesco Bevilacqua a guidarci alla scoperta degli articoli più interessanti usciti oggi su Italia che Cambia.

Audio disponibile nel video/podcast

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