9 Giu 2023

Incendi fuori controllo in Canada, i cieli negli Usa diventano gialli – #743

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Centinaia di incendi, molti dei quali fuori controllo, stanno distruggendo le foreste del canada e tingendo di giallo i cieli anche di molte città Usa, fra cui New York, in cui l’aria è irrespirabile e le autorità hanno introdotto l’obbligo di mascherine. Intanto, in Italia, il governo ha approvato il ddl sui femminicidi, mentre arrivano altre analisi e dati sulla distruzione della diga di Kakhovka in Ucraina.

Avrete forse visto le immagini impressionanti di New York e altre città statunitensi con i cieli completamente tinti di giallo. Immagini a dir poco suggestive, che colpiscono ancor di più quando ne scopriamo la causa. La causa sono gli enormi incendi che stanno divorando ettari ed ettari di foreste in Canada in queste ore. Si tratta di centinaia di incendi, molti dei quali fuori controllo, che hanno avvolto le città in una densa nebbia di fumo, con gli esperti che avvertono che la situazione continuerà a peggiorare”.

Come racconta Leyland Cecco sul Guardian “Toronto è stata a lungo conosciuta come “il Grande Fumo” per la sua storia di industria pesante, ma il soprannome ha assunto un significato diverso mercoledì, quando i residenti hanno indossato le maschere all’aperto, in seguito all’allarme lanciato dai funzionari che la qualità dell’aria della città avrebbe continuato a peggiorare. Gli eventi scolastici all’aperto sono stati rinviati e i funzionari della città hanno avvertito i gruppi più vulnerabili di rimanere in casa quando possibile. Nella capitale Ottawa, Environment Canada ha dichiarato che la qualità dell’aria è “ad altissimo rischio”, così come nelle vicine città di Kingston, Cornwall e Belleville. In gran parte dell’Ontario meridionale, si prevede che la cattiva qualità dell’aria persista fino al fine settimana.

La maggior parte del fumo nel Canada orientale proviene dalla provincia del Quebec, dove le squadre stanno affrontando più di 150 incendi, molti dei quali sono considerati “fuori controllo”.

Anche i venti hanno trasportato il fumo degli incendi verso sud, provocando allarmi sulla qualità dell’aria in tutti gli Stati Uniti. Mercoledì, sia Detroit che New York hanno registrato la peggiore qualità dell’aria di una grande città. (Notizia di poche ore fa, anche a New York hanno introdotto le mascherine obbligatorie). L’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) ha già emesso allarmi per la cattiva qualità dell’aria nel New England, in parti dell’Illinois, del Wisconsin e del Minnesota.

Al pomeriggio di martedì, in Canada c’erano 415 incendi selvaggi attivi e 238 erano considerati fuori controllo. Dall’inizio della stagione degli incendi, 2.214 roghi hanno già bruciato più di 3,3 milioni di ettari del Paese, ben al di sopra della media decennale di 1.624 incendi e 254.429 ettari bruciati.

Il Centro canadese per gli incendi boschivi ha dichiarato che è stato un anno “senza precedenti” per gli incendi selvaggi e che le risorse sono state esaurite in tutto il Paese.

Mentre il Canada orientale si trova sotto una nebbia di fumo relativamente rara, le squadre della Columbia Britannica stanno aspettando un cambiamento del tempo per affrontare l’incendio di Donnie Creek, un incendio che si estende per oltre 2.400 km quadrati. Il BC Wildfire Service afferma che l’incendio è ora considerato il secondo più grande nella storia della provincia.

Da maggio, più di 100.000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro case a causa degli incendi selvaggi che hanno colpito tutte le regioni del Paese, anche in luoghi come la Nuova Scozia, dove gli incendi selvaggi di grandi dimensioni e distruttivi sono relativamente rari.

Ecco, questa è la situazione. Ci sono ovviamente una serie di concause legate a questi incendi, ma è impossibile non notare come anno dopo anno la situazione incendi diventi più insidiosa a livello globale, per via dell’aumento dell’intensità e della durata delle ondate di calore. Il problema grosso degli incendi è che sono un potente ciclo di retroazione positivo, ovvero un fenomeno che dipende dai cambiamenti climatici e che a sua volta li va ad alimentare, in un circolo vizioso difficile da fermare. Perché gli alberi che bruciano immettono CO2 in atmosfera, e meno alberi vivi significa minore capacità di assorbirne da parte dell’ecosistema terrestre.

Veniamo in Italia e a questioni che riguardano l’azione del governo su un tema importante e molto sensibile. Mercoledì il Consiglio dei Ministri ha approvato un Ddl messo a punto dalla ministra della Famiglia Eugenia Roccella e dai ministri di Giustizia Carlo Nordio e Interno Matteo Piantedosi, per rafforzare gli strumenti di contrasto alla violenza maschile sulle donne. Quello che i giornali chiamano Ddl femminicidio.

Il ddl arriva a tempo di record dopo l’uccisione di Giulia Tramontano e quello, avvenuto poche ore dopo, di Pierpaola Romano, due donne uccise dai rispettivi compagni i cui nomi si sono aggiunti alla lunga lista di nomi di donne morte a causa della violenza maschile: 17 in totale dall’inizio dell’anno.

Cosa prevede? In brevissimo, come racconta Costanza Giannelli su La Svolta “Pene più severe, tempi più stretti per l’azione di inquirenti e magistrati e rafforzamento delle misure cautelari come il braccialetto elettronico”. 

Più nel dettaglio le nuove disposizioni prevedono innanzitutto il rafforzamento delle misure cautelari quindi:

  • distanziamento di minimo 500 metri (adesso in alcuni casi è previsto un distanziamento di 50 metri, che però risulta spesso inefficace)
  • rafforzamento dell’ammonimento, che sarebbe una sorta di ultimatum che il questore da allo stalker o molestatore. (oggi applicato solo nei casi di maltrattamenti o stalking, viene allargato a reati come aggressioni con l’acido, revenge porn e tentato omicidio)
  • arresto in flagranza differita (quando si scopre l’autore di un’azione penale attraverso strumenti di video sorveglianza, come telecamere di sicurezza o fotografie e si arresta entro trentasei ore dall’evento delittuoso.) 
  • utilizzo del braccialetto elettronico, che diventa automatico a meno di obiezioni del giudice e la cui manomissione sarà punita con la custodia cautelare in carcere (attualmente era il giudice a doverlo prevedere) 
  • pene più severe, soprattutto per i “recidivi”.

La stretta è anche sui tempi: dall’inizio delle indagini gli inquirenti avranno 30 giorni per richiedere le misure cautelari e il giudice avrà al massimo 30 giorni per concederle, mentre oggi in alcuni casi si tratta di mesi o anche anni.

Il testo non non entrerà subito in vigore, ma dovrà essere discusso ed eventualmente approvato dal Parlamento. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che

«Chiederemo al Parlamento di applicare la dichiarazione d’urgenza, dato che si tratta di provvedimenti importanti».

Ora, veniamo al commento: è un buon ddl? È un cattivo ddl? Di sicuro è un ddl che agisce su l’inasprimento delle pene. Che a mio avviso ci sta, come misura immediata, per arginare un fenomeno terribile e fuori controllo. 

Al tempo stesso resta una misura zoppa se non si interviene alla base del problema. Dico una banalità, ma è ovvio che il femminicidio ha le sue origini in una cultura patriarcale ancora molto radicata nel nostro paese. E sulla quale credo che l’attuale governo non abbia tutta questa voglia di intervenire. 

La ministra Roccella, nel presentare il ddl, ha detto: «Tutto questo non basta se non viene accompagnato da un cambiamento culturale. Pensiamo al caso terribile di Giulia Tramontano, nessuna legge avrebbe potuto salvarla». Per favorire una presa di coscienza delle nuove generazioni, quindi «con il ministro Valditara in autunno per la giornata contro la violenza nei confronti delle donne diffonderemo il testo di legge nelle scuole, dove porteremo anche le persone che hanno subito violenza per spiegate quali sono state le conseguenze. Perché solo con uno scambio diretto, con i racconti delle vittime si può rendere giustizia» e lavorare a «una consapevolezza crescente che dobbiamo assolutamente alimentare».

Insomma, commento mio, anche dal punto di vista culturale l’idea del governo è fare vedere come è brutto subire una violenza e quanto sono terribili le pene a cui si va incontro se la si commette. Che è coerente con la cultura di destra dell’attuale governo, ma che secondo me manca il bersaglio.

Non so, probabilmente ho i miei bias sull’argomento che mi impediscono di essere scevro da pregiudizi, ma vedo un grosso e difficile nodo da sciogliere, che mi pare che il governo stia ignorando. Le origini dei femminicidi stanno anche in quella cultura maschilista, la cultura della famiglia tradizionale, della donna che cresce i bambini e che sta a casa e dell’uomo che lavora. Una cultura molto cara almeno a una fetta conservatrice dell’elettorato del governo, molto cara a una corrente dominante nella chiesa cattolica e così via. Credo che il governo stia cercando di affrontare il problema, senza toccare quegli aspetti là, anzi rafforzandoli, parallelamente, con altre leggi. Solo, mi chiedo: è possibile?

A distanza di due giorni dall’esplosione, si continuano a contare o danni e a fare previsioni sulle conseguenze di questo sabotaggio. Mentre non abbiamo elementi in più rispetto a ieri sulle origini del gesto (sul “chi è stato” per intenderci) ne abbiamo sulle sue conseguenze. 

Ed è, ve lo preannuncio, un quadro a tinte sempre più fosche. Dal punto di vista del disastro ecologico, l’organizzazione ambientalista ucraina Ukrainian Nature Conservation Group ha pubblicato una valutazione molto estesa – ripresa da Greenreport – che prende in considerazione le conseguenze dell’esplosione della diga Kakhovka per la fauna selvatica e suddivide le conseguenze dell’attacco in due tipi: quelle dell’essiccazione del bacino idrico di Kahovka e l’inondazione a valle del fiume Dnepr.

L’organizzazione elenca una serie di impatti negativi di questo evento e per ciascuno di questi impatti butta giù un report abbastanza specifico. Vi leggo solo l’indice, con l’elenco dei vari tipi di impatti rilevati:

  • Impatto sulla popolazione ittica.
  • Impatto sugli uccelli.
  • Impatto sulla fauna bentonica (che vive nel fango bentonico della zona costiera)
  • Impatto sulla vita delle piante.
  • Impatto su tipi di habitat rari.
  • Impatto sulle aree di riserva naturale. 
  • Impatto su siti di conservazione della natura di importanza internazionale. 
  • Impatto sulla fauna terrestre. 
  • Impatto sulle colonie di nidificazione degli uccelli. 
  • Impatto sulla vita delle piante. 
  • Impatto su biotopi rari (area in cui vive una determinata specie animale o vegetale).
  • Impatto sui territori delle riserve naturali. 
  • Impatto sui territori dell’Emerald Network (una rete di aree naturalistiche tutelate)
  • Impatto su zone umide di importanza internazionale.
  • Inondazioni fluviali. 
  • Dissalazione del mar Nero.
  • Inquinamento marino. 

Ecco, questi sono solo i titoli. E se possono sembrarvi aspetti marginali, bé non lo sono. Un habitat unico al mondo che scompare scompare per sempre, una specie che si estingue porta con sé il suo patrimonio genetico frutto di milioni di anni di evoluzione, per sempre. Un pezzetto di biodiversità e resilienza di questo pianeta se ne va. 

Oltre a ciò ovviamente ci sono le conseguenze sulle persone e sulle attività umane. Un articolo del Guardian scritto da Ashley Kirk e Lucy Swan spiega come “La distruzione della diga di Nova Kakhovka fa temere che l’esaurimento del bacino idrico lascerà tre intere regioni ucraine senza un approvvigionamento idrico fondamentale.

Questo ha già portato ad allarmi per l’approvvigionamento alimentare della regione e del mondo intero, visto che l’Ucraina rappresenta il 40% del commercio globale di farina di girasole, il 35% dell’olio di girasole e il 5% delle esportazioni di grano, orzo e mais. Dal bacino di Kakhovka partono una serie di canali che contribuiscono all’irrigazione di vasti terreni agricoli nell’Ucraina meridionale. Se il bacino si prosciuga, la fornitura d’acqua si riduce.

Il ministero ucraino dell’Agricoltura e dell’Alimentazione ha avvertito che i terreni agricoli di queste regioni potrebbero essere così pesantemente colpiti da trasformarsi in “deserti”. Sono rimasti senz’acqua il 94% dei sistemi di irrigazione nella regione di Kherson, il 74% in quella di Zaporizhzhia e il 30% in quella di Dnipropetrovsk. “La distruzione dell’impianto Kakhovskaya – ha continuato il minisrtro – significherà che i campi nel sud dell’Ucraina potrebbero trasformarsi in deserti già dal prossimo anno”.

In tutto ciò, rispunta la questione della centrale di Zaporizhzhia, che forse avevamo liquidato troppo velocemente. Sul suo blog sul Fatto Quotidiano il chimico ed esperto di energia Ugo Bardi spiega che “La centrale si trova sul fiume Dnieper (o Dnipro), dalla parte opposta del bacino creato dalla diga di Nova Kakhovka. La rottura della diga sta causando lo svuotamento del bacino, ancora in corso in questo momento. Se il livello dell’acqua scende oltre un certo limite, non sarà più possibile usarla per il raffreddamento della centrale. Per fortuna, i reattori risultano fermi in questo momento, è quindi hanno meno bisogno di raffreddamento, ma devono essere comunque raffreddati. 

Se manca il raffreddamento, le reazioni nucleari all’interno del core del reattore potrebbero causare un riscaldamento sufficiente per fondere tutto, con la distruzione del reattore e l’emissione di sostanze radioattive nell’ambiente. Sembra che la centrale abbia delle riserve d’acqua indipendenti dal bacino di Kakhovka, ma non è chiaro quanto potrebbero durare. In ogni caso, le forze ucraine stanno attaccando proprio la zona di Zaporizhzhia, una situazione certamente non propizia per controllare i reattori in condizioni di emergenza”.

Insomma, non è una faccenda per niente simpatica. 

  • Ieri – sotto al cielo giallo di cui parlavamo prima – diverse centinaia di manifestanti sono scesi in piazza di fronte alla Casa Bianca, per protestare nei confronti di Joe Biden, che ha permesso di accelerare la costruzione di un controverso gasdotto in Appalachia.
  • A sei mesi dall’apertura della ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 che si terrà a Dubai, i delegati di quasi 200 nazioni si sono riuniti a Bonn, in Germania, per i lavori preparatori del summit. L’incontro durerà fino al 16 giugno, e la speranza è riuscire a spianare la strada, sciogliendo il più ampio numero di nodi possibile.
  • Il 6 giugno, un gruppo di indios appartenenti all’ Asociación Indígena de Desarrollo y Conservación del Bajo Puinahua  (Aidecobap) hanno assaltato e sequestrato due petroliere del dipartimento di Loreto, nell’Amazzonia peruviana, poi hanno attaccato anche una nave della Marina militare, per protestare contro la recente approvazione di un regolamento che autorizza lo sfruttamento di un giacimento petrolifero nella regione. 

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