20 Giu 2023

L’invasione della cronaca nera – #748

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In questi giorni stiamo assistendo a una vera e propria invasione della cronaca nera sui nostri giornali. Ma a cosa è dovuto questo fenomeno? E quali effetti ha? È forse collegato a una convinzione fallace, evidenziata da un recente studio di Nature, che la società sia in costante declino morale? Parliamone. Sul finire parliamo anche di come l’estrazione di acqua dal sottosuolo da parte degli esseri umani sembri aver spostato l’asse terrestre.

Non so se ci avete fatto caso, ma nelle ultime settimane la stampa nostrana è invasa da fatti di cronaca nera. Ci sono stati i due casi di femminicidio a distanza ravvicinata, c’è il caso della bambina scomparsa a Firenze, quello degli YouTuber che hanno travolto e ucciso un bambino di 5 anni, quello di ieri del sottomarino disperso mentre dei turisti facevano visita al Titanic. Ma non solo: sembra che questa ondata di fatti drammatici abbia aperto una sorta di vaso di Pandora mediatico che ha portato a galla nuovi fatti di cronaca, come il commerciante di Caserta ucciso perché aveva chiesto a un diciassettenne di pulire la sporcizia lasciata davanti al suo negozio, il ragazzo quindicenne scomparso nel Po’, il diciottenne morto per un tuffo nel fiume Secchia mentre girava un video. E così via. Sono andato un po’ a memoria, ma i casi sono molti di più.

Ora, come avrete notato, e come ribadiamo spesso, non ne abbiamo parlato fin qui. Questa rassegna e questo giornale non sono il luogo dove troverete approfondimenti di questo tipo. Non perché tutte queste, prese singolarmente, non siano tragedie terribili. Lo sono, eccome. E alcune di esse, probabilmente, ci portano anche delle informazioni interessanti da analizzare. Ad esempio sulle relazioni di genere nella nostra società, o sul ruolo dei social nel generare, o amplificare, o forse solo rendere più evidente un disagio profondo. 

Tuttavia il modo in cui tutte queste storie sono state raccontata da molti media, la quantità di particolari forniti, ha un che di morboso. E quindi oggi ne parliamo, di cronaca nera, ma per fare un metadiscorso. Non quindi  per raccontare i singoli avvenimenti ma per osservare e provare a spiegare questa peso specifico enorme che la cronaca nera ha assunto sui nostri media in questi giorni.

Partiamo dal validare la premessa. È vero che ultimamente i media sono più invasi del solito da fatti di cronaca e in particolare cronaca nera? Non ho un dato esatto, ma mi sono andato a spulciare con una certa attenzione i giornali più venduti del nostro paese, nello specifico la Repubblica, il Corriere, la Stampa e il Fatto Quotidiano, e ho fatto un confronto a spanne con le edizioni di un mese fa. E la risposta è che sì, questo fenomeno è reale. 

La prima spiegazione che potremmo darci è che improvvisamente stanno avvenendo più incidenti, femminicidi, omicidi e sparizioni dei mesi passati. Tutti assieme. È una spiegazione possibile, e che non possiamo escludere. Anche se mi sento di dire che non è la più probabile. Forse alcuni di questi eventi sono effettivamente – e fortunatamente – rari. Ma altri non lo sono. Insomma, le tragedie sono sempre capitate e continueranno a capitare, che lo vogliamo o no. Stesso discorso vale per la significatività dei fatti. Alcuni di questi fatti, come accennavamo, ci portano messaggi più ampi, che è importante analizzare con cura. Ma tanti altri no. Preciso che il fatto che non siano rilevanti da un punto di vista informativo non li rende meno drammatici e strazianti. Semplicemente non ci sono utili in nessun modo, come notizie.

Un’altra spiegazione potrebbe essere quella del “parlare di cose poco importanti per nascondere fatti più importanti, che vengono taciuti”. È una spiegazione che sento spesso tirare in ballo quando si parla dei media, ma devo dire, nella mia esperienza  nel mondo dei media, molto rara. Sono davvero pochissimi i casi in cui più giornali scelgono deliberatamente di creare uno scandalo o un caso per evitare di parlare di altro. E succede soprattutto, quando succede, per questioni politiche, e devo dire non è quasi mai trasversale a molte testate di orientamento diverso. 

Ad esempio succede quando, che ne so, il politico Tizio, Caio o Silvio ha un processo e i giornali di sua proprietà decidono di aprire con uno scandalo di tutt’altro tipo, sperando di aumentare il rumore mediatico e far passare sotto traccia quella che sarebbe la notizia principale. Però, appunto, sono casi isolati e molto spot.

Quindi qual è la spiegazione? Io non ho la certezza assoluta, ma credo che la spiegazione sia probabilmente molto più banale. Quello che spesso succede è che ci sono uno o più eventi scatenanti, che innescano una spirale mediatica in cui si iniziano a cercare compulsivamente nuovi casi. Sia per una sorta di trend del momento, sia perché si vuole cavalcare l’onda dei click, della curiosità dell’interesse (spesso un po’ morboso) generato. 

Insomma, perché la cronaca nera porta click e visualizzazioni, e i click e le visualizzazioni portano entrate pubblicitarie ai giornali. Tutto ciò ha origine, questo interesse, questa fascinazione per le sventure umane ha origini, credo genetiche. 

C’è una teoria piuttosto accreditata secondo la quale persino lo sviluppo di un linguaggio elaborato, millenni addietro, nella nostra specie sarebbe dovuto al pettegolezzo, alla possibilità di fornire informazioni dettagliate sugli individui facenti parte della stessa tribù. Le informazioni sulla salute, sulle relazioni, sulle sventure dei propri simili sono di estrema importanza in una società tribale, perché permettono di decidere di chi ci possiamo fidare o su chi possiamo fare affidamento, oppure i comportamenti da evitare perché comportano un rischio. Quindi è normale che i fatti di cronaca nera, così come della cosiddetta cronaca rosa, abbiano una presa istintiva e irrazionale su di noi.

Solo che mi sembra che manchi completamente una riflessione mediatica, fatta dai giornali, sull’effetto di questa ondata di notizie “nere” possono avere a livello sociale. Si va avanti per inerzia, per conquistare qualche click, visualizzazione o copia venduta in più, ma lo si fa al prezzo di restituire un’immagine completamente distorta della società in cui viviamo, che ci appare improvvisamente più pericolosa e piena di insidie di quanto non sia realmente. 

Nei giorni scorsi abbiamo fatto una serie di incontri molto importanti e strategici nella nostra organizzazione e abbiamo condiviso alcune riflessioni proprio su questi aspetti dell’informazione. Chiacchierando, il nostro direttore Daniel Tarozzi si chiedeva persino se un fatto di cronaca nera potesse essere definita una notizia, perché nella maggior parte dei casi non è in alcun modo utile alle persone.

In un altro momento, durante un processo facilitato condotto da Melania Bigi di Tara Facilitazione, è emerso come all’interno di organizzazioni complesse, come un’azienda ma anche una società umana, il pettegolezzo possa diventare altamente disfunzionale, perché alimenta il non detto, porta al sotterfugio, cova segreti.

Insomma, credo che questa inondazione di cronaca nera ci possa far riflettere sulla mancanza di riflessione (scusate il gioco di parole) interna ai nostri media. E su quanto sia importante uscire dal loop, dall’inerzia, e fare scelte consapevoli, ogni singola volta che si pubblica un articolo. Non ragionare solo in termini di click ma di senso. Non lo so, forse è chiedere troppo.

È sicuramente un percorso da intraprendere, la domanda è, quanti giornali lo voglio intraprendere? 

Restando più o meno in tema, vi segnalo un interessante articolo del Post che si chiama “Il declino morale della società è un’illusione” e che prende spunto da un recente articolo pubblicato su Nature che ha messo insieme decenni di sondaggi e ha scoperto che questa sensazione è una percezione costante e comune a tutto il mondo.

Ve ne leggo alcuni stralci: “In certe discussioni abituali sulle qualità morali delle persone tende spesso a prevalere un’opinione, sostenuta da prove perlopiù aneddotiche, secondo cui quelle qualità sarebbero in declino da tempo. È molto condivisa cioè l’impressione che le persone siano meno altruiste, gentili, oneste e affidabili di quanto lo fossero un tempo. Ma non c’è di solito lo stesso accordo quando si tratta di stabilire il punto a partire dal quale il declino avrebbe avuto inizio: ogni persona, a seconda delle proprie esperienze e convinzioni ma anche di altri fattori, ha una propria idea.

Una ricerca da poco pubblicata su Nature e condotta da due psicologi statunitensi ha descritto il declino morale come una percezione molto comune, diffusa tra diverse popolazioni e condivisa in modo costante negli ultimi 70 anni. Le valutazioni negative espresse dalle persone riguardo alla moralità dei loro contemporanei, stando a un cospicuo insieme di sondaggi e studi longitudinali consultati dai due ricercatori, sono rimaste stabili e non sono peggiorate nel corso del tempo”.

L’ipotesi sostenuta dai risultati della ricerca è che quella del declino morale sia una percezione ingannevole, favorita da un lato dalla tendenza a ricordare il passato in termini positivi e dall’altro da una sproporzionata attenzione alle notizie negative sul presente, tendenzialmente assecondata dai mezzi di informazione.

Vi salto qui una parte in cui viene spiegato come è stato condotto l’esperimento e vi leggo alcuni risultati più nel dettaglio:

“In sostanza, sulla base dei dati analizzati, quando alle persone viene chiesto esplicitamente di valutare il cambiamento morale affermano che c’è stato un peggioramento. Ma quando viene chiesto loro di valutare la moralità attuale dei loro contemporanei forniscono risposte che non cambiano nel tempo. «Le persone in tutto il mondo credono che la moralità sia diminuita, e lo credono fin dai tempi in cui i ricercatori glielo hanno chiesto», sintetizzano Mastroianni e Gilbert.

I risultati della ricerca mostrano come la percezione del declino morale sia condivisa da persone differenti per genere, età, livello di istruzione, identità etnica e ideologia politica. «L’effetto dell’età è molto limitato», ha detto Mastroianni ad AFP, contraddicendo un’aspettativa molto comune secondo cui le persone più anziane sarebbero più inclini a descrivere il presente in termini negativi. E la percezione di un declino morale è più o meno equamente distribuita anche tra conservatori e progressisti.

La tendenza a individuare nel presente segni di un declino morale ha radici antiche ed è attestata in qualsiasi epoca, scrivono gli autori della ricerca citando un famoso passaggio della prefazione all’opera Ab Urbe condita, scritta tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. dallo storico romano Tito Livio. «Si ponga attenzione a come, man mano che il rigore morale veniva meno, i costumi dapprima si siano infiacchiti, poi come siano sempre più degenerati, infine come abbiamo iniziato a precipitare, finché si è giunti a questi tempi in cui non possiamo tollerare né i nostri vizi né i loro rimedi».

Mastroianni e Gilbert hanno formulato due diverse ipotesi per cercare di spiegare perché l’inclinazione a riscontrare una decadenza dei valori morali nella società sia così presente e radicata nella storia. Una possibilità è che quei valori morali siano effettivamente in declino dappertutto e da millenni, e che tale declino sia abbastanza rapido da essere osservabile nel breve arco di una vita umana. Ma se così fosse, partendo dal presupposto che le società tengono o comunque lasciano tracce di comportamenti «estremamente immorali» come massacri, schiavitù e genocidi, un’attenta analisi di quelle tracce non dovrebbe mostrare – come invece mostra – una significativa diminuzione di quei comportamenti negli ultimi secoli.

«In media gli esseri umani moderni si trattano l’un l’altro molto meglio di quanto abbiano mai fatto i loro antenati, il che non è quello che ci si aspetterebbe se l’onestà, l’altruismo, la gentilezza e la bontà fossero diminuite costantemente, anno dopo anno, per millenni», scrivono i ricercatori.

Esiste poi una moralità di tutti i giorni e di cui non esistono tracce storiche altrettanto oggettive: quante volte le persone lasciano il proprio posto a una persona più anziana sui mezzi pubblici, per esempio. Ma i sondaggi analizzati da Mastroianni e Gilbert hanno effettivamente esplorato anche questo tipo di comportamenti morali, e anche da questo punto di vista le valutazioni fornite dalle persone – per quanto soggettive – non mostrano un declino morale, bensì una sostanziale stabilità nella frequenza riferita dei comportamenti ispirati da gentilezza e buona educazione nel corso del tempo.

L’ipotesi considerata quindi più probabile dai ricercatori per spiegare perché le persone credono stabilmente che sia in corso un declino della moralità è che ne siano convinte per effetto di una percezione illusoria, favorita da due diversi fenomeni psicologici. Il primo, noto come principio di Pollyanna, riguarda una particolare distorsione della memoria: la tendenza delle persone a rimuovere dai ricordi gli elementi negativi più facilmente di quelli positivi. 

L’altro fenomeno psicologico coinvolto nella percezione del declino della moralità è la tendenza delle persone a cercare informazioni negative sugli altri, dirigendo l’attenzione verso eventi che rischiano di avere conseguenze indesiderabili sulla loro vita. I mezzi di informazione tendono ad assecondare questa tendenza nota, destinando un’attenzione sproporzionata ai comportamenti negativi delle persone. L’esposizione distorta alle notizie negative, secondo i ricercatori, potrebbe spiegare la convinzione comune che le qualità morali delle persone siano in declino.

Ed eccoci che torniamo ai ragionamenti di prima. C’è una tendenza innata e c’è un comportamento dei media che alimenta e intensifica questa tendenza. Ma lo studio analizza anche le conseguenze sociali di questo loop. 

“L’illusione del declino morale potrebbe avere anche rilevanti conseguenze sociali e politiche, perché può esporre le persone al rischio di manipolazione psicologica. In un sondaggio del 2015 analizzato dagli autori della ricerca il 76 per cento delle persone negli Stati Uniti era d’accordo sul fatto che «affrontare il declino morale del paese dovesse essere una priorità assoluta per il governo». Opinioni di questo tipo potrebbero influenzare le scelte di voto, distogliendo l’attenzione da problemi meno astratti, come il cambiamento climatico, e rendendo più attraenti slogan ambigui, come «Make America Great Again», centrale nella campagna elettorale presidenziale di Donald Trump nel 2016”.

Insomma, come spesso accade si parte da una fragilità umana, un bias per l’esattezza (se vi ricordate tempo fa parlavamo del bias del declinismo, che in fin dei conti è questa roba qua) che viene utilizzato e sfruttato più o meno consapevolmente da media e forze politiche.

Su questo punto ne approfitto per dirvi che noi, nel nostro piccolo, abbiamo scelto consapevolmente di non giocare a questo gioco. Di non rincorrere il pettegolezzo o la notizia negativa. Se ci volete dare una mano, e dei consigli, vi invito a compilare un sondaggio che stiamo somministrando in questi giorni proprio per migliorare il nostro servizio di abbonamento e renderlo più adatto alle esigenze di voi lettori. Bastano 5 minuti per compilarlo, e come premio riceverete un mese di abbonamento omaggio a ICC. Grazie, se ci dedicherete questi 5 minuti di tempo.

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Chiudiamo con una notizia di tutt’altro genere, che ci dà in modo abbastanza inedito la misura dell’impatto della nostra specie sull’ecosistema terrestre. Anzi, in questo caso più che sull’ecosistema sulla conformazione stessa del nostro Pianeta.

La notizia la riportano diversi giornali, fra cui Open. Ed è questa: “Gli esseri umani hanno estratto talmente tanta acqua dalle falde globali che la differenza ha modificato l’inclinazione dell’asse terrestre. Le riserve sotterranee hanno perso, tra il 1993 e il 2010, 2 trilioni di tonnellate di acqua. Una cifra enorme, equivalente a 2 milioni di milioni di milioni di tonnellate, sufficiente a far spostare il polo nord geografico di 4,36 centimetri all’anno in direzione della Russia centrale. A certificarlo è uno studio pubblicato lo scorso 15 giugno da Ki-Weon Seo sulla rivista American Gephysical Union, poi analizzato in un articolo su Nature. Tendenzialmente, l’asse di rotazione dei corpi celesti rimane stabile, ma «lo spostamento di ogni massa di materiale sulla superficie o al loro interno può influenzarne la rotazione», commenta Ki-Weon Seo, autore dello studio e geofisico alla Seoul National University.

A modificare l’inclinazione dell’asse terrestre sono anche gli spostamenti di masse d’aria, in particolare quelli stagionali. Differenze che gli scienziati rilevano osservando la posizione relativa di elementi celesti lontani, come i quasar, i centri delle galassie. Il recente studio smentisce la precedente teoria secondo cui a modificare l’inclinazione dell’asse terrestre fosse la fusione dei ghiacci polari. I calcoli, però, confermano che si tratta dell’enorme quantità di acqua estratta dalle falde. La maggior parte di questa è destinata all’irrigazione, con India e Usa che si piazzano tra i maggiori utilizzatori delle riserve idriche. La richiesta di acqua ha generato sufficienti modifiche al sistema Terra, tra abbassamenti del terreno continentale e spostamenti di masse d’acqua, da essere responsabile di un innalzamento del livello dei mari di 6,24 millimetri.

Ora, credo lo spostamento dell’asse non abbia conseguenze immediate e conosciute sulla vita sul pianeta. Ma lo riporto come dato perché appunto ci dà la misura del nostro impatto. Credo sia importante saperla, anche per decidere come diminuirla. 

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