18 Lug 2023

L’Iran reintroduce la polizia morale, ma le donne non torneranno a casa – #768

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A quasi un anno dalla morte di Masha Amini il regime iraniano reintroduce la polizia morale. Che significato ha questa mossa? E com’è la situazione adesso in Iran? Ne parliamo, in compagnia di Samirà Ardalani, attivista dell’associazione Giovani Iraniani d’Italia. Parliamo anche dell’inaspettato contratto collettivo nazionale dei lavoratori del mondo dell’istruzione, approvato anche dal governo, al cui interno sono previste delle interessanti novità tipo i bagni gender neutral. E del memorandum della vergogna fra Ue e Tunisia sui migranti. E infine della Russia che non rinnova l’accordo sul grano con l’Ucraina.

Non so se vi ricordate, ne avevamo parlato anche in una puntata di INMR+ dedicata alle rivolte in Iran, ma a seguito delle proteste per la morte di Masha Amini che in breve erano diventate le più grandi proteste contro il regime degli ultimi anni, la polizia religiosa era stata in gran parte ritirata dalle strade e alcune donne avevano cominciato a uscire di casa senza velo, o con le gambe non completamente coperte. Non era chiaro quale fosse la motivazione di questo passo indietro del regime, se fosse una concessione ai manifestanti e alle manifestanti oppure solo una questione di indirizzare le energie verso una repressione più dura, quindi verso le forze dell’ordine tradizionali, fatto sta che nei fatti era stata praticamente l’unica concessione che il regime aveva fatto ai manifestanti era stata il ritiro della polizia religiosa dalle strade, e la fine dei pattugliamenti con cui la polizia costringe le donne ad aderire alle leggi sull’abbigliamento.

La polizia religiosa iraniana, spiega un articolo del Post, è un organismo di controllo “morale” della società, istituita ufficialmente nel 2005 e messa sotto il controllo del ministero della Cultura, che si occupa di proteggere l’etica e i valori iraniani, molto spesso attraverso una estesa censura!. 

Le pattuglie sono solitamente composte da sei persone, di cui quattro uomini e due donne vestite con il chador, un mantello generalmente nero che copre tutto, dalla testa ai piedi. Possono talvolta redarguire uomini per una barba troppo lunga, ma la loro attenzione si concentra principalmente sulle donne e sul corretto impiego dello hijab, il velo, che secondo la legge iraniana, basata su un’interpretazione della sharia, deve coprire tutti i capelli!.

Comunque, i pattugliamenti erano stati sospesi, ma domenica il regime ha annunciato che riprenderanno. Saeed Montazer al Mahdi, il portavoce della polizia, ha detto che «a partire da oggi, la polizia non avrà altra scelta che intraprendere le vie legali con le persone incuranti delle norme sull’abbigliamento e che continuano a violarle […]. In caso di rifiuto ad ascoltare la polizia, le donne saranno mandate a processo». Il ritorno della polizia morale servirà a riportare la «solidarietà sociale», a «rafforzare le radici della famiglia» e arriva in risposta «alla richiesta della popolazione» e dei leader del regime, compreso Ebrahim Raisi, il presidente conservatore dell’Iran.

Non è ancora chiaro se la polizia religiosa tornerà a operare come prima, o se ci saranno cambiamenti. Domenica, ha scritto il corrispondente del Financial Times, nel centro di Teheran la polizia religiosa non era visibile (mentre prima le pattuglie erano spesso bene in vista) e c’erano donne che circolavano tranquillamente senza hijab.

Per capire meglio quello che sta succedendo in Iran, ho contattato Samirà Ardalani, attivista dell’associazione Giovani Iraniani d’Italia che avevamo intervistato proprio in occasione della puntata sull’Iran di INMR+, a cui ho chiesto un commento su questa novità, e più in generale sulla situazione delle proteste in Iran, adesso.

AUDIO DISPONIBILE NEL VIDEO/PODCAST

C’è una notizia che mi ha lasciato molto sorpreso. Ma mooolto sorpreso. Ve la do seguendo un articolo a firma di Alex Corlazzoli sul Fatto Quotidiano. “Gli insegnanti transgender ora avranno diritto ad avere i bagni neutri, l’identità alias per le credenziali della posta elettronica, su eventuali tabelle di turno orari esposte negli spazi comuni e sul cartellino di riconoscimento. La rivoluzionaria novità, poco sbandierata per ora anche dalle organizzazioni sindacali che l’hanno fortemente voluta, è contenuta nel contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione, università e ricerca 2019/21, firmato venerdì dai sindacati (tranne la Uil) e dall’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Cioè dal governo. E in particolare dal ministero dell’Istruzione e del merito guidato dal leghista Giuseppe Valditara”. 

Ora, se conoscete le linee del governo, e in particolare della Lega, capirete che è una notizia strana. Un segnale di civiltà e di riconoscimento delle diversità di genere del tutto inaspettato da parte di un ministro che appartiene a un partito che ha fatto della lotta alla “ideologia gender” uno dei suoi cavalli di battaglia.

E infatti è interessante notare come la notizia, che esce completamente dal gioco delle parti politico a cui assistiamo abitualmente, sia passata infatti del tutto in sordina. I sindacati e le associazioni non l’hanno sbandierata, i giornali non ne hanno parlato – eccezion fatta per il Fatto e pochi altri – e lo stesso ministro l’ha sottaciuta nel suo comunicato ufficiale in cui dice genericamente: “Il nuovo contratto segna un importante passo avanti verso una sempre maggiore valorizzazione di tutto il personale della scuola, sia docenti sia Ata”. 

Ma la novità c’è, ed è grossa. Come scrive ancora Corlazzoli, “studiando “l’ipotesi di accordo”, che sarà definitivo quando passerà tutti i controlli del Mef e della Funzione pubblica sulla parte economica, spunta un articolo che nel precedente contratto non c’era.

Si tratta del 21 che riporta il titolo “Transizione di genere”. Nel testo c’è tutto o molto di ciò che il pianeta Lgbtq+ si potrebbe aspettare e che dopo l’affossamento del ddl Zan sembrava rimandato a data da destinarsi. 

Ecco il testo: “Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla Legge 164/1982 e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale. Modalità di accesso e tempi di richiesta e attivazione dell’alias saranno specificate in apposita regolamentazione interna, la carriera alias resterà inscindibilmente associata e gestita in contemporanea alla carriera reale”.

Di seguito vengono riportati gli esempi di applicazione della norma citati sopra relativamente ai servizi igienici, agli spogliatoi etc: “Divise di lavoro corrispondenti al genere di elezione della persona e la possibilità di utilizzare spogliatoio e servizi igienici neutri rispetto al genere, se presenti, o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore”.

A questo punto il Fatto ha contattato il Ministero per chiedere spiegazioni. “Il ministero dell’Istruzione e del merito allarga le braccia spiegando a ilfattoquotidiano.it che si tratta di un articolo “presente in tutti i contratti” del settore pubblico. Un adeguamento resosi necessario e al quale, in sostanza, non si è potuto dire di no. Una di quelle norme, insomma, passate obtorto collo. 

La segretaria della Flc Cgil Gianna Fracassi e quella della Cisl Scuola Ivana Barbacci danno invece una versione diversa: “Questo articolo è stato inserito con la volontà di tutti e non c’è possibilità che venga modificato. Non l’abbiamo ancora pubblicizzato perché stiamo facendo la sintesi dei temi di maggiore diffusione; questo è un argomento particolare che riguarda una fascia precisa di lavoratori. Lo valorizzeremo. Nessuno ha posto questioni, l’abbiamo anche perfezionato. È un diritto significativo come i tre giorni di permesso retribuito ai precari che è costato 74 milioni di euro”. 

Insomma, non si capisce bene come e perché questo governo abbia fatto questa mossa, Se obbligato, se per sbaglio, se volontariamente. “Sta di fatto – chiude l’articolo del fatto – che il governo di destra ha fatto (volontariamente o meno) qualcosa di sinistra, anzi, di Arcobaleno.

Di sicuro il governo non ha fatto qualcosa di sinistra sul tema dei migranti. o forse sì, visto che i precedenti governi sedicenti di sinistra avevano adottato linee simili. E che in realtà l’accordo di cui vi sto per parlare è stato siglato dall’Unione europea nel suo complesso, pur con un ruolo attivo del nostro Paese. 

La notizia è che, scrive la Repubblica, la Tunisia ha firmato il Memorandum of Undestranding (MoU) con l’Ue. A apporre la propria firma sono stati il presidente tunisino Kais Saied, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il premier italiano Giorgia Meloni e quello dei Paesi Bassi, Mark Rutte. 

Grandi affermazioni di soddisfazione e pacche sulle spalle da parte di tutti i partecipanti. Ma cosa prevede l’accordo? Ne parla un articolo di AGI. 

Sono 5 i punti principali del Memorandum:

  1. Creare opportunità per i giovani tunisini. Per loro “ci sarà una finestra in Europa con l’Erasmus”. Per le scuole tunisine stanziati 65 milioni;
  2. Sviluppo economico della Tunisia. La Ue aiuterà la crescita e la resilienza dell’economia tunisina;
  3. Investimenti e commercio. “La Ue è il più grande partner economico della Tunisia. Ci saranno investimenti anche per migliorare la connettività della Tunisia, per il turismo e l’agricoltura. 150 milioni verranno stanziati per il ‘Medusa submarine cable’ tra Europa e Tunisia;
  4. Energia pulita. La Tunisia ha “potenzialità enormi” per le rinnovabili. L’Europa ha bisogno di “fonti per l’energia pulita. Questa è una situazione win-win. Abbiamo stanziato 300 milioni per questo progetto ed è solo l’inizio”;
  5. Migranti. “Bisogna stroncare i trafficanti – dice Von der Leyen – e distruggere il loro business”. Ue e Tunisia coordineranno le operazioni Search and Rescue. Per questo sono stanziati 100 milioni di euro.

Insomma, parafrasando: l’Ue garantisce tutta una serie di benefit e favori al governo tunisino, purché questo si occupi di non far partire migranti diretti in Europa. 

Ovviamente l’accordo non ne fa menzione, ma basta informarsi un minimo per comprendere come il governo tunisino possa bloccare i migranti. 

Kais Saied, il Presidente tunisino, è noto per essere un leader xenofobo, seguace della teoria della grande sostituzione, che sostiene che sia in corso una sostituzione etnica decisa a tavolino ai danni della etnia tunisina. La stessa storia che viene raccontata dalle destre xenofobe di mezzo mondo. 

Basti pensare che All’inizio di luglio le forze dell’ordine tunisine hanno arrestato centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana e li hanno portati con la forza in una zona desertica nell’est del paese al confine con la Libia.

Da allora i migranti sono bloccati in una specie di “terra di nessuno” al confine fra i due paesi, senza cibo, acqua e possibilità di accedere a cure mediche. È una zona difficilmente accessibile per ong e giornalisti: solo Al Jazeera negli ultimi giorni è riuscita a parlare con i migranti bloccati, descrivendo una situazione estremamente grave.

Fatto sta che nelle ultime ore diverse organizzazioni umanitarie hanno parlato di memorandum della vergogna riferendosi all’accordo appena firmato.

Torniamo a parlare di Ucraina e di Russia. la novità principale è che ieri Dmitri Peskov, portavoce di Putin, ha annunciato che la Russia non rinnoverà l’accordo sul grano ucraino, che scadeva proprio ieri. L’accordo era servito finora per permettere alle navi ucraine di attraversare in sicurezza il Mar Nero ed esportare grano e altri cereali nonostante la guerra. 

Era stato stipulato a luglio del 2022 da Ucraina e Russia, con la mediazione dell’ONU e in particolare della Turchia, ed era già stato rinnovato due volte e da quell’accordo dipende la sicurezza alimentare di diversi paesi del mondo. Anche se, come abbiamo visto già qualche mese fa, buona parte di quel grano è andato ad alimentare gli allevamenti intensivi spagnoli e ben poco a dare cibo ai paesi più poveri.

Comunque, come mai non è stato rinnovato? Non è del tutto chiaro. Venerdì il presidente turco Erdogan aveva garantito che l’accordo sarebbe stato rinnovato dopo aver parlato con il presidente russo Vladimir Putin. Forse qualcosa è cambiato dopo che lunedì mattina le autorità russe hanno accusato l’Ucraina di aver attaccato il ponte che collega la Crimea alla Russia.

Peskov ha negato ogni collegamento fra i due fatti e ha detto che il motivo è che in questi mesi non sarebbero stati attuati alcuni termini dell’accordo riguardanti la Russia che erano stati chiesti come garanzia. Solo che non è chiaro a cosa si riferisca esattamente.

Fin qui l’accordo era stato probabilmente l’unico esempio di cooperazione tra Russia e Ucraina in questi mesi. Adesso il mancato rinnovo potrebbe creare problemi per la sicurezza alimentare globale, così come chiudere anche quel piccolo canale di comunicazione esistente.

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