23 Feb 2023

Pagare per sparire dal web, l’inchiesta – #675

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La nostra presenza online lascia delle tracce che spesso ci sembrano indelebili. Per cancellarle sono nate aziende che si occupano proprio di questo, ma i cui metodi, svelati da una nuova inchiesta di IrpiMedia, non sono sempre eticamente ineccepibili. Parliamo anche dello scandalo di un’agenzia israeliana che da decenni interferisce con le elezioni in diversi stati del mondo e delle importantissime elezioni in Nigeria del prossimo fine settimana.

Il rapporto fra identità digitale e diritto all’oblio è uno dei più discussi e controversi del web. Molte legislazioni prevedono il diritto all’oblio fra i diritti fondanti della propria giurisdizione ovvero il diritto di chiunque abbia commesso un crimine a vedere quel crimine venire dimenticato, a non essere più tirato fuori ad ogni occasione, dopo un certo numero di anni. 

Se questa cosa era abbastanza facile da realizzare ai tempi della carta stampata (bastava fare una legge che impedisse ai giornali di associare una certa persona ad un determinato reato passato un certo numero di anni) tutto è diventato più complicato con l’avvento del web, dove ogni cosa che abbiamo fatto, detto, scritto, lascia un pulviscolo di tracce molto difficili da oscurare e facilmente raggiungibili da chiunque. 

Tant’è che tradizionalmente il dibattito sul diritto all’oblio ai tempi del web è un dibattito, per così dire, difensivo, il cui argomento principale è “dobbiamo trovare il modo di tutelare il diritto all’oblio anche sul web”. Ecco, la novità è che sembrerebbe che qualcuno abbia trovato il modo di garantirlo, il diritto all’oblio online, ma che nel frattempo si sia spinto anche un po’ troppo oltre.

La notizia di cui sto per parlarvi non la troverete sulle prime pagine dei giornali ma mi sembra interessante e soprattutto arriva da un progetto di giornalismo d’inchiesta indipendente italiano che ho conosciuto di recente e che fa cose davvero degne di nota, per quel che ho potuto osservare. Il giornale in questione si chiama IrpiMedia e l’inchiesta riguarda un servizio di “lavanderia” della reputazione online. 

Vi leggo l’inizio dell’articolo principale a firma di Raffaele Angius e Lorenzo Bagnoli su IrpiMedia “Come nella migliore tradizione dell’industria tecnologica, Diego Jiménez Sánchez ama rappresentare sé stesso come un imprenditore che si è fatto da solo, covando le idee migliori in uno scantinato o – come in questo caso – in un orfanotrofio. È qui che il trentenne imprenditore spagnolo sostiene di aver iniziato a smanettare con il computer per scappare dalla famiglia disagiata. A soli vent’anni, dice, ha avuto l’idea di costituire Eliminalia, società che da un decennio promette di cancellare dal web il passato dei suoi clienti, purché ben paganti, in tutto il mondo. Il pretesto sono le sue vicende personali: abusi e violenze sessuali subìte e poi raccontate dai giornali. Informazioni erogate dai motori di ricerca non appena si inseriva il suo nome online e che, come raccontava lui stesso al Corriere della Sera, gli impedivano di trovare lavoro e acquisire clienti.

È il 2011 e sono gli anni in cui in Europa prende forma il tema della privacy, si configurano i prodromi del Regolamento generale per la protezione dei dati personali (Gdpr) e il diritto all’oblio è sempre più urgente nel dibattito pubblico. Da qui nascerebbe l’intuizione di Didac.

Il progetto #StoryKillers ha scoperto come Eliminalia sia una delle aziende che più di tutte, negli ultimi anni, ha sviluppato capacità di reputation laundering, lavanderia reputazionale, su scala globale. Indispensabile precisare come il diritto all’oblio sia necessario per controbilanciare l’effetto che l’informazione può avere sugli individui, spesso fragili o vittime di un sistema che li ha portati a delinquere. Certamente a loro spetta il diritto, pagato il proprio debito con la società, di essere riabilitati. E non vi è dubbio che la possibilità di non essere costantemente associati agli errori del passato sia indispensabile a rendere concreto il principio secondo il quale la punizione deve «tendere alla rieducazione del condannato», come recita l’articolo 27 della Costituzione italiana. Ma non è questo il cliente-tipo di Eliminalia.

Solo che come accennavo, qui la cosa si è spinta molto oltre, e a pagare Eliminalia per fare pulizia sul passatpo online non sono solo persone che anno il diritto all’oblilo, ma può essere chiunque, anche chi vuole eliminare ad esempio le tracce di truffe passate per farne di nuove. “Due persone condannate per traffico di droga, una accusata di riciclaggio di denaro per un giro di prostituzione, altri due condannati per aver contribuito a realizzare una truffa sulle criptovalute che ha rubato miliardi di dollari agli investitori. Sono alcuni dei circa 1.400 clienti – tra cui dozzine di condannati o indagati – che hanno assunto Eliminalia (a fine dicembre 2022 ribattezzata iData Protection S.L.) per “cancellare il proprio passato”.

“Cinquantamila documenti interni ottenuti da Forbidden Stories e condivisi con un gruppo di 30 testate, tra cui IrpiMedia, hanno permesso di mappare la rete di influenze digitali operate da Eliminalia in tutto il mondo. Oltre ai clienti, spesso insoddisfatti dai risultati dell’azienda, i documenti interni permettono di ricostruire anche le tecniche impiegate da Eliminalia, che fa ricorso alle leggi su privacy e diritto d’autore per intimidire i giornalisti e manipolare i risultati dei motori di ricerca, quando non impersonano membri dell’Unione europea per dare un tono più ufficiale alle diffide inviate alle testate giornalistiche. Metodi suggestivi e capaci di attrarre i peggiori criminali e cleptocrati, che per anni hanno potuto contare sui servizi offerti da Didac per dare un colpo di spugna al loro passato”. 

L’inchiesta è davvero lunga e approfondita, indaga il passato abbastanza torbido dell’imprenditore spagnolo, che aveva avviato un’impresa che gestiva un sistema di maternità surrogata con base in Ucraina (paese con leggi molto permissive a riguardo), e cita tanti esempi di imprenditori italiani che hanno pagato Eliminalia per cancellare le tracce digitali delle proprie malefatte. Se vi va di approfondire, trovate la versione integrale sotto FONTI e ARTICOLI.

Cambiamo paese, andiamo in Israele, ma restiamo più o meno in tema. La notizia è di qualche giorno fa, mi era passata varie volte sotto gli occhi finché ieri, un ascoltatore assiduo di INMR me l’ha segnalata, e allora ho approfondito. E devo dire che è un’altra roba molto interessante e importante. In pratica un’indagine di un team di giornalisti di alcune fra le principali testate mondiali ha smascherato una squadra di contractor israeliani che sostiene di aver manipolato più di 30 elezioni in tutto il mondo utilizzando hacking, sabotaggi e disinformazione automatizzata sui social media.

Se non sapete cosa sia un contractor, si tratta di persone che lavorano in genere per l’esercito, o per agenzie governative, o per i servizi segreti, ma sono a contratto, non sono diciamo degli esterni. Sono delle figure un po’ ibride. Ad esempio, Edward Snowden era un contractor.

In questo caso, l’unità scoperta era (e credo sia tutt’ora) gestita da Tal Hanan, un 50enne ex agente delle forze speciali israeliane che ora lavora privatamente e sembra aver lavorato sottotraccia per influenzare le elezioni di vari Paesi per più di due decenni.

A smascherarlo è stato un consorzio internazionale di giornalisti. Hanan e la sua unità, che utilizza il nome in codice “Team Jorge”, sono stati smascherati da filmati e documenti sotto copertura trapelati al Guardian.

Vi leggo dall’articolo a firma di Stephanie Kirchgaessner, Manisha Ganguly, David Pegg, Carole Cadwalladr e Jason Burke: ”Hanan non ha risposto a domande dettagliate sulle attività e sui metodi del Team Jorge, ma ha detto: “Nego di aver commesso qualsiasi illecito”. L’indagine rivela dettagli straordinari su come la disinformazione viene armata dal Team Jorge, che gestisce un servizio privato che si offre di intromettersi segretamente nelle elezioni senza lasciare traccia. Il gruppo lavora anche per clienti aziendali.

Hanan ha detto ai giornalisti sotto copertura che i suoi servizi, che altri descrivono come “operazioni nere”, sono a disposizione di agenzie di intelligence, campagne politiche e aziende private che vogliono manipolare segretamente l’opinione pubblica. Ha detto che sono stati utilizzati in Africa, America meridionale e centrale, Stati Uniti ed Europa.

Uno dei servizi chiave del Team Jorge è un sofisticato pacchetto software, Advanced Impact Media Solutions, o Aims, che controlla un vasto esercito di migliaia di falsi profili di social media su Twitter, LinkedIn, Facebook, Telegram, Gmail, Instagram e YouTube. Alcuni avatar hanno anche account Amazon con carte di credito, portafogli bitcoin e account Airbnb.

Il filmato sotto copertura è stato girato da tre reporter che hanno avvicinato il Team Jorge fingendosi potenziali clienti. In più di sei ore di incontri registrati segretamente, Hanan e il suo team hanno parlato di come potevano raccogliere informazioni sui rivali, anche utilizzando tecniche di hacking per accedere agli account Gmail e Telegram. Si sono vantati di inserire materiale in fonti di notizie legittime, che vengono poi amplificate dal software di gestione dei bot Aims.

Gran parte della loro strategia sembra ruotare intorno all’interruzione o al sabotaggio delle campagne rivali: il team ha persino affermato di aver inviato un giocattolo sessuale via Amazon a casa di un politico, con l’obiettivo di dare alla moglie la falsa impressione che avesse una relazione.

I metodi e le tecniche descritte dal Team Jorge sollevano nuove sfide per le grandi piattaforme tecnologiche, che per anni hanno lottato per evitare che attori malintenzionati diffondessero falsità o violassero la sicurezza delle loro piattaforme. Le prove dell’esistenza di un mercato privato globale della disinformazione finalizzata alle elezioni faranno suonare un campanello d’allarme anche per le democrazie di tutto il mondo”.

Ecco come commenta Pierre Haski su France Inter: “La posta in gioco è nientemeno che la sopravvivenza delle nostre società democratiche (che non sono certo perfette), minacciate dall’acquisto illecito d’influenze, dalla manipolazione su vasta scala e da destabilizzazioni di ogni tipo.

Questa realtà esiste e lo sappiamo bene. Qualcuno sminuirà il pericolo sostenendo che le macchinazioni ci sono sempre state anche prima di internet , o che è troppo facile denunciare queste pratiche oggi, in un momento in cui il denaro ricopre già un ruolo enorme in politica, come dimostra il budget di una campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti (dove non è limitato, come invece accade in Francia).

Tutto questo è vero, ma nella notizia arrivata il 15 febbraio c’è qualcosa di specifico (e nuovo): la passività degli stati e la complicità, attiva o meno, delle grandi multinazionali della tecnologia, soprattutto statunitensi.

In questo momento la presenza di Facebook, Twitter o TikTok nel dibattito pubblico è talmente forte che gli stati non possono disinteressarsene. Le piattaforme devono essere messe davanti alle proprie responsabilità.

Le rivelazioni dell’inchiesta Team Jorge dimostrano che gli annunci fatti negli ultimi anni sono stati solo fumo negli occhi. Gli stati devono regolare e controllare, oppure finiremo travolti da un diluvio di disinformazioni. E nessuno potrà dire “noi non sapevamo”.

Sabato 25 febbraio ci saranno delle elezioni molto importanti. Fra le più imoortanti a livello globale. Parlo delle elezioni in Nigeria, sulle quali vi segnalo subito una puntata davvero molto interessante di Globo, il podcast del Post condotto da Eugenio Cau sulle questioni di politica internazionale. Si vota per eleggere il nuovo presidente e per rinnovare il parlamento e sono molto importanti per diversi motivi. Innanzitutto la Nigeria è il paese più popoloso, e dall’economia più grande dell’Africa. È in un’ascesa demografica spaventosa e dovrebbe diventare fra pochi anni il terzo paese più popoloso al mondo dopo India e Cina (attualmente è il sesto, con 213 milioni di abitanti). Inoltre è una democrazia che funziona abbastanza bene, è un paese moderno (con tutte le contraddizioni che questo termine si porta avanti) e molto diverso dall’immaginario che abbiamo su di esso. Ci avrei fatto probabilmente una puntata di INMR+ ma per l’appunto ho torvato questo episodio di Globo davvero ben fatto, per cui fate prima ad ascoltarvi quello. Il Post sta seguendo bene queste elezioni per èprendo spunto da un suo aritoclo per parlarvene: “La Nigeria è un paese giovanissimo: il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni (in Italia è il 28%) e l’età media è 18 anni: il risultato delle elezioni dipenderà quindi moltissimo dai consensi guadagnati in questa fascia di popolazione. L’elettorato più giovane è quello per certi versi più colpito dai fallimenti del presidente uscente Muhammadu Buhari. La sensazione diffusa di molti giovani, secondo sondaggi e ricerche, è di non essere stati presi in considerazione dai governi che si sono succeduti finora, percepiti come incompetenti e corrotti. I temi più importanti per questa fascia di elettorato sono la crescita economica e il mercato del lavoro, ma anche questioni più laterali attorno a cui negli ultimi anni sono nate proteste ampie e partecipate, come la violenza della polizia. Gran parte dell’elettorato nigeriano più giovane fa parte della cosiddetta “generazione della democrazia”: cioè i nati dopo il 1999, anno in cui in Nigeria è terminato un turbolento periodo di governi interrotti da colpi di stato, iniziato subito dopo l’ottenimento dell’indipendenza del paese dal Regno Unito, negli anni Sessanta. È una generazione che non ha conosciuto regimi ed è cresciuta in un contesto tutto sommato democratico, con elezioni periodiche. Negli ultimi decenni la politica nigeriana è stata dominata soprattutto da due partiti: il Partito democratico del popolo, di centrodestra, e il Congresso progressista, di centro a cui appartiene anche il presidente uscente Buhari. La collocazione politica dei partiti è in realtà piuttosto labile, perché le forze politiche rispondono soprattutto ad appartenenze etniche e religiose, o alla fedeltà a determinati leader. Secondo Afrobarometer, centro di ricerca con base in Ghana che fa sondaggi in tutto il continente, i due terzi dei nuovi votanti registrati in Nigeria non hanno forti legami con uno di questi due partiti. Il favorito tra i più giovani sembra essere piuttosto un terzo candidato, estraneo ai due partiti che hanno dominato la politica nigeriana finora: Peter Obi, il candidato del Partito del lavoro, di centrosinistra, che proprio per la novità che rappresenta sta attirando molte attenzioni sia in Nigeria che all’estero.  Obi ha 61 anni ed è il più giovane dei tre principali candidati (Atiku Abubakar del Partito democratico del popolo ne ha 76 e Bola Tinubu del Congresso progressista ne ha 70). È un ricco uomo d’affari che si è costruito una reputazione di persona pragmatica e affidabile, in grado di attuare riforme necessarie e a lungo attese, e che ha impostato i toni della propria campagna elettorale anche sulla propria frugalità. È un aspetto rilevante nella politica nigeriana, finora dominata anche dall’ostentazione della propria ricchezza e in molti casi dalla corruzione. Un tema centrale per molti elettori giovani riguarda la crescita del mercato del lavoro. Secondo l’ufficio statistico nigeriano disoccupazione e sottoccupazione colpiscono circa la metà della popolazione, due terzi considerando solo i più giovani. L’analista nigeriana Leena Koni Hoffmann, del centro studi britannico Chatham House, ha detto al Financial Times che sono proprio le condizioni economiche della Nigeria ad aver spinto moltissimi giovani a registrarsi per votare quest’anno. Il 28 per cento dei nuovi registrati è inoltre composto da studenti, un’altra categoria molto colpita da questo tipo di problemi, dato che chi ha la possibilità di studiare spessissimo è costretto a emigrare per poter lavorare: in Nigeria si discute da tempo della cosiddetta “fuga dei cervelli”. È un tema su cui Obi insiste da anni, e che ha ripreso in più occasioni durante la sua campagna elettorale. Un altro tema centrale per molti giovani sono i gravi e radicati problemi di insicurezza, dovuti soprattutto a conflitti territoriali interni e a frequenti attacchi e rapimenti compiuti da gruppi criminali o terroristici. La percezione di molti è che il governo sia stato finora incapace di proporre soluzioni a questo tipo di problemi, e che gli strumenti impiegati abbiano anzi finito per crearne altri. Oltre a queste faccende ci sono questioni religiose (i due candidati dei partiti storici sono  musulmani mentre Obi è cristiano) e ripercussioni anche in Europa, visto che la popolazione nigeriana è quella più presente fra quelle africane in Europa. Insomma sono da seguire sicuramente da vicino.

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