18 Set 2024

La nuova Commissione Ue ai raggi X: cosa ci attende su ambiente, clima, energia e guerra? – #984

Scritto da: Andrea Degl'Innocenti
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Ursula von Der Leyen ha presentato la sua proposta ufficiale per la nuova Commissione, l’organo forse più importante nel determinare la direzione dell’Unione europea nei prossimi anni anche su tematiche centrali come il clima, l’energia, la transizione ecologica, la pace o la guerra. Quindi analizziamola con cura, per provare a intuire dove vuole andare l’Unione. Parliamo anche di un probabile, strano, attacco israeliano contro Hezbollah, con l’esplosione simultanea di centinaia di cercapersone, e delle notizie del mese dalla Sicilia che Cambia. 

Ieri mattina è stata presentata la nuova Commissione europea, la Von der Leyen 2. Si tratta dell’organo che forse più di ogni altro contribuirà a determinare le politiche europee su temi fondamentali come l’ambiente, la transizione ecologica, le scelte in tema di guerra o pace e così via. Infatti la Commissione è una sorta di governo dell’Ue, pur con tutte le differenze del caso, e inoltre, a differenza dei classici governi, ha quasi il monopolio dell’iniziativa legislativa. Cioè: le leggi le propone la commissione. Quindi è molto importante osservare chi ne fa parte perché ne va del futuro dell’Europa. Da tanti punti di vista.

Anche se, almeno in teoria, quello di von der Leyen per ora è soltanto un annuncio: nelle prossime settimane i candidati commissari parteciperanno a delle audizioni al Parlamento Europeo, che sarebbero una specie di esame sulla propria preparazione nella materia di cui si occuperanno e sulle proprie posizioni politiche. Alla fine delle audizioni – fra novembre e dicembre – il Parlamento dovrà esprimersi in blocco sulla Commissione proposta da von der Leyen. Comunque, è plausibile che sia una versione definitiva.

Quindi? Com’è? Che Europa ci aspetta? Non ho trovato nessuna analisi ben fatta che tenesse conto soprattutto delle questioni ambientali sui giornali italiani, che come spesso accade si concentrano soprattutto sulle ricadute sulla politica interna, sul successo o insuccesso di Meloni, mostrando un certo provincialismo. Dopo magari due cose le diciamo, ma intanto spostiamoci sul Guardian che invece fa una buona analisi. Anche perché essendo il Regno Unito fuori dalla Ue, si sofferma meno su questioni nazionali e analizza la squadra.

Prima di scendere nei dettagli con l’articolo del Guardian però vi do qualche informazione preliminare. La commissione è composta da una Presidente, Ursula VdL appunto, sei vicepresidenti, ciascuno/a con una o più deleghe specifiche, e 20 commissari/e, anche loro ciascuno con ruoli e incarichi specifici.

Ok, torniamo sul Guardian, articolo a firma di Jennifer Rankin, che racconta che un ruolo centrale soprattutto dal punto di vista delle politiche ambientali, ma anche in assoluto, va alla vicepremier spagnola, la socialista Teresa Ribera, che sarà una dei 6 vicepresidenti e assumerà il controllo della “transizione green” e dell’applicazione delle norme antitrust in Europa. 

Soffermiamoci un attimo in più su questa figura chiave, perché è interessante notare che si tratta di una nomina di una persona con posizioni molto molto chiare e limpide in tema di clima. In Spagna è stata ministra della transizione ecologica e anche in ambito internazionale si è già distinta per portare avanti una linea piuttosto radicale (in senso buono) in tema climatico. 

Come racconta Luca Fraioli su Repubblica “Se c’erano dubbi sulla reale intenzione di Ursula von Der Leyen di proseguire sulla strada del Green Deal, la candidatura della ministra spagnola Teresa Ribera Rodriguez a vicepresidente esecutiva della Commissione, responsabile per la transizione giusta, pulita e competitiva, sembra fugare ogni dubbio”. Anche al netto della nuova formulazione: il suo predecessore, l’olandese Frans Timmermans, era assai più esplicitamente “commissario al Clima e al Green Deal Europeo”. Ma se la denominazione dell’incarico può essere frutto di trattative volte a tranquillizzare chi ritiene le politiche ambientali europea “pericolose” per la tenuta delle industrie del vecchio continente, la biografia della Ribera la colloca in una posizione ancora più dura rispetto a Timmermans.

La ministra dell’Ambiente spagnola si prese letteralmente la scena internazionale, rubandola al malcapitato Wopke Hoekstra (subentrato a Timmermans che nel frattempo si era candidato alle politiche olandesi) lo scorso dicembre alla Cop29 di Dubai. Ribera rappresentava l’Unione in virtù del semestre europeo in quei mesi a guida spagnola. E fu la protagonista di un braccio di ferro con Abdulaziz bin Salman, il “signore del petrolio”, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita, figlio del re Salman, nonché fratellastro del principe ereditario Mohammed bin Salman. 

Da una parte la paladina dell’uscita dai combustibili fossili, dall’altra i leader indiscusso dell’Opec. Nelle concitate fasi finali della Conferenza sul clima di Dubai, fu lei a lapidare come “disgustosa” la lettera con cui l’Opec aveva cercato di serrare i ranghi dei Paesi produttori di petrolio. Ed fu lei a sedere alla destra del segretario generale Onu Guterres, nell’incontro avviava l’ultima giornata di trattative di Cop28”.

Quindi, ecco, una nomina molto interessante. Anche il Guardian spende parole di stima su di lei. Leggo: “Ribera sarà probabilmente una delle figure di spicco della prossima commissione e non ha paura di esprimere le sue opinioni. In vista delle elezioni europee, ha criticato von der Leyen per aver rifiutato di escludere la collaborazione con il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei di estrema destra, a cui appartiene Meloni.

Come commissaria alla concorrenza, Ribera seguirà le orme di Margrethe Vestager, la politica danese che ha ordinato ad Apple di rimborsare 13 miliardi di euro di tasse non pagate durante una decennale battaglia contro la “pianificazione fiscale aggressiva”. Riferendosi al suo ruolo per il clima, von der Leyen ha dichiarato che Ribera “si assicurerà che l’Europa rimanga sulla buona strada durante il green deal europeo”.

Va bene, proseguiamo nella nostra analisi. Un altro vicepresidente designato è Stéphane Séjourné, stretto alleato del presidente francese Emmanuel Macron, che sostituisce il dimissionario Thierry Breton (dimessosi in polemica con Von der Leyen, che accusa di essere poco democratica) che sarà responsabile della politica industriale, mentre l’italiano Raffaele Fitto – un altro dei sei vicepresidenti – supervisionerà i finanziamenti per le regioni più povere d’Europa. 

La decisione di assegnare a Fitto – rappresentante di un partito e un governo di estrema destra – un incarico di vicepresidente sta già suscitando polemiche nel Parlamento europeo, soprattutto tra i deputati verdi e socialisti il cui sostegno è stato cruciale per la rielezione di von der Leyen a luglio.

Un altro ritorno, l’olandese Wopke Hoekstra, che era subentrato a Frans Tiemmermans come responsabile del green deal, sarà commissario per il clima, la crescita verde e il net zero e si prevede che rappresenterà il blocco nei negoziati internazionali sulla crisi climatica. Il che è meno una buona notizia, perché Hoekstra fa parte dei popolari ed ha posizioni più titubandi sulle politiche climatiche. Mentre il socialdemocratico Dan Jørgensen avrà gli incarichi per l’energia e le politiche abitative.

Sulla carta, però, sia Hoekstra che Jørgensen sono più junior rispetto a Ribera, che dovrebbe avere un peso significativamente maggiore rispetto ai due, su questioni che sono ovviamente intrecciate (transizione, clima e energia). Sempre su tematiche connesse all’ambiente, per quanto tutto sia connesso, abbiamo poi Christophe Hansen, eurodeputato lussemburghese come commissario all’agricoltura. Anche lui membro del Partito Popolare Europeo di centrodestra.

Nel gioco di pesi e contrappesi, Hansen e Hoekstra sono appunto un contrappeso a Ribera, la cui nomina a un ruolo importante per il clima ha allarmato alcuni politici di centrodestra.

Ci sarà un commissario per la salute e il benessere animale, il che è una buona cosa, anche se la nomina è ricaduta sull’ungherese Olivér Várhelyi scelto per un secondo mandato dal governo di Orban, e considerato particolarmente problematico. Perché nella Commissione uscente era responsabile della politica di allargamento, ma era percepito come allineato all’agenda di Budapest e forse più a quella del Cremlino che a quella di Bruxelles.

Uscendo da tematiche ambientali, per la prima volta ci sarà un commissario UE per la difesa: è l’ex primo ministro lituano Andrius Kubilius, un personaggio che diversi giornali definiscono un “falco” anti-Putin. Il falco, in gergo di politica estera, è un politico che sostiene una linea dura e intransigente che non esclude la lotta aperta o l’intervento armato. Una scelta che, unita alla nomina che già conosciamo dell’estone Kaja Kallas a capo della politica estera dell’Ue, lancia un chiaro messaggio alla Russia di Vladimir Putin, perché sono due personaggi con idee molto nette e poco avvezze al negoziato, e vengono da due paesi baltici che comprensibilmente sono quelli più sensibili al tema e che più temono un’ingerenza o un’invasione russa.

Infine, anche se l’elenco sarebbe ancora lungo, la croata Dubravka Šuica, l’unica donna oltre a von der Leyen a tornare per un secondo mandato, otterrà il nuovo incarico di commissaria per il Mediterraneo.

Ecco questi mi pare siano i ruoli principali. A livello politico Il PPE, di centro-destra, ha celebrato il fatto di aver ottenuto 14 dei 27 posti al vertice della commissione, inclusa von der Leyen, e di aver consolidando il suo dominio come forza politica più forte d’Europa, che ha vinto ogni elezione europea negli ultimi 25 anni.

Mentre in Italia Meloni ha celebrato quello che a tutti gli effetti è un grosso successo strategico, dimostrando una volta di più di essere molto abile nel muoversi su vari livelli. E nel tenere assieme le spinte anti europeiste presenti nella sua maggioranza, con la capacità di prendersi ruoli di prestigio in Europa. 

Leggendo il Guardian mi accorgo che in effetti quella di Fitto è una delle nomine più discusse e criticate, che sta suscitando reazioni forti, soprattutto da parte di Verdi e socialisti. VdL ha difeso la decisione di assegnare una vicepresidenza a Fitto, dicendo:  “L’Italia è un paese molto importante e uno dei nostri membri fondatori, e questo deve riflettersi nella scelta”, ha detto. È stata forse un’ammissione tacita che, mentre tutti gli stati membri sono uguali ai sensi dei trattati dell’UE, alcuni hanno più peso di altri.

Complessivamente la commissione rispecchia un lavoro di fino e di potenza di VdL, che ha mantenuto un certo equilibrio fra rappresentanza dei vari paesi (ogni paese ha un commissario) rappresentanza delle forze politiche presenti in parlamento e parità di genere. Su quest’ultimo punto la Presidente si è imposta e sei dei vicepresidenti designati sono donne, mentre l’intera squadra di commissari UE è composta per il 40% da donne. 

Quindi non c’è ancora un completo equilibrio, ma Von der Leyen ha dichiarato ai giornalisti che la percentuale iniziale basata sulle proposte dei governo era del 22% di donne e del 78% di uomini, cosa che ha definito “completamente inaccettabile”, aggiungendo: “quindi ho lavorato intensamente con gli stati membri e siamo riusciti a migliorare la quota”.

Sullo sfondo di queste nomine, poi, c’è un tema di potere legato alla figura di Ursula VdL, che è da più parti accusata di essere un’accentratrice e di aver fatto fuori tutti i personaggi con i quali non aveva un buon rapporto. Oltre al francese Breton, non sono stati riproposti neanche l’Alto rappresentante per gli affari esteri uscente, lo spagnolo Josep Borrell, che fra le altre cose aveva pubblicamente criticato von der Leyen per la sua gestione della guerra tra Israele e Hamas, e il lussemburghese Nicolas Schmit, commissario uscente per l’Occupazione, gli Affari sociali e l’Integrazione.

E questo è più o meno tutto quello che c’è da sapere al momento sulla nuova Commissione, che sulla carta sembra pensata per essere abbastanza forte sul tema del clima e per proseguire sulla via della transizione ecologica. Che al momento, direi, è una buona notizia. 

Torniamo a parlare della guerra sempre più ad ampio spettro condotta da Israele, perché ieri è successa una cosa molto strana. Sapete che da diverse settimane vanno avanti schermaglie e attacchi incrociati al confine fra Israele ed il Lobano fra l’esercito israeliano, l’IDF, e Hezbollah, le milizie sciite libanesi vicine al regime dell’Iran. 

Che è successo ieri? Che centinaia di membri di Hezbollah sono stati feriti dall’esplosione dei loro cercapersone, che sono esplosi praticamente in contemporanea in diverse aree del Libano, tra cui Beirut, la Beqaa Valley e il sud del paese, dove Hezbollah ha una forte presenza. Anche l’ambasciatore iraniano in Libano è stato ferito leggermente, mentre tre persone sono morte, fra cui una bambina di 10 anni. Alcuni membri del gruppo sono stati feriti anche a Damasco, in Siria.

Capirete che è una roba molto strana. Secondo l’agenzia di stampa statale libanese, NNA, si ipotizza che le esplosioni siano state causate a distanza, probabilmente da Israele, anche se l’esercito israeliano non ha al momento commentato. La Croce Rossa libanese sta intervenendo con decine di ambulanze, mentre gli ospedali di Beirut sono pieni di feriti.

I cercapersone esplosi erano dispositivi di ultima generazione acquistati da Hezbollah, e si sospetta che le esplosioni possano essere state causate dal surriscaldamento delle batterie o da esplosivi inseriti nei dispositivi, anche se non ci sono ancora certezze. Un funzionario ha descritto l’evento come la “più grande violazione della sicurezza” subita da Hezbollah nell’ultimo anno.

Guido Olimpio sul Corriere ricostruisce come sembrerebbero essere andati i fatti.

In pratica da diversi mesi i vertici di Hezbollah avevano raccomandato di non usare più i cellulari per paura di essere intercettati, inoltre aveva sollecitato alla massima prudenza nell’uso di materiale elettronico nel timore che potesse lasciare traccia poi sfruttata dall’intelligence avversaria. 

Da qui la scelta, secondo i media arabi, di distribuire questi beeper o cercapersone per facilitare i contatti. “Se sono vere le ricostruzioni di queste ore concitate – scrive il giornalista – vuol dire che il Mossad ha scoperto il fornitore degli apparati, li ha in qualche modo tramutati in ordigni. Prima della consegna? All’estero? O quando sono arrivati a Beirut? Ha «lavorato» sulle batterie? Ha inserito microcariche? 

Chiusa la prima fase (la più complessa) è passato all’attacco massiccio, dalle ripercussioni pesanti. Compreso lo scenario di un conflitto generale. Mentre la fazione, non escludendo che possano esserci altre sorprese, sarà costretta a trovare alternative per fronteggiare l’emergenza.

Insomma, se come pare c’è lo zampino di Israele e del Mossad dietro a questa faccenda, siamo di nuovo di fronte a un fatto che può scatenare un’escalation. Quindi, teniamola d’occhio. Non è detto che succederà, come abbiamo visto in passato. Però sono comportamenti molto pericolosi. Per gli equilibri della regione, per gli ebrei nel mondo (perché alimentano ondate di antisemitismo) e per il mondo intero.

Oggi è il secondo mercoledì del mese e quindi esce la rassegna mensile di SCC; che ci racconta le notizie più interessanti che hanno riguardato l’isola nell’ultimo mese. Ho chiesto a Selena Meli, che la conduce assieme ad Elisa Cutuli, di darci qualche anticipazione. A te Selena.

Audio disponibile nel video / podcast

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